Iran
«Cambiamento per l’eguaglianza»

Testo del discorso di Parvin Ardalan alla Olaf Palme Foundation, inviato via video durante la cerimonia in cui la sorella Shirin ha ritirato per lei il premio assegnatole dalla Fondazione. Traduzione Maria G. Di Rienzo


Ringraziamo Maria G. Di Rienzo[per contatti: sheela59@libero.it]per averci messo a disposizione questa sua traduzione.

(Ndt. Parvin Ardalan era sull’aereo che doveva portarla a Stoccolma il 3 marzo, ma ne è stata letteralmente trascinata fuori dalla polizia poco prima della partenza. Sarà utile ricordare che negli ultimi due anni molte ong iraniane sono state accusate di condurre attività antinazionali e bandite: a quelle femminili e femministe rimaste è proibito tenere incontri pubblici e affittare sale, e non possono pubblicare libri. L’unico giornale femminile indipendente, “Zanan”, che usciva da 16 anni, è stato chiuso d’autorità lo scorso febbraio. Migliaia di donne “comuni” sono ormai state arrestate ed accusate di “comportamento immorale” su tutto il territorio iraniano perché non osservano il cosiddetto codice d’abbigliamento islamico.)


“Signore e signori, saluti. Sono molto compiaciuta ed onorata dell’essere stata scelta come assegnataria del premio Olaf Palme 2007. Questo riconoscimento, dato ogni anno in ricordo di una persona che scelse come sentiero di vita il perseguimento di giustizia e pace, ed in cambio pagò questa scelta con la vita, porta con sé un profondo senso di responsabilità. Io credo che porre questo onore su di me non è solo un riconoscimento alle lotte individuali delle attiviste per i diritti delle donne, ma qualcosa che onora le azioni collettive dei movimenti delle donne e degli altri movimenti sociali iraniani. Questo premio dimostra che gli sforzi di coloro che lavorano per difendere eguaglianza di diritti e le libertà civili in Iran, nonostante gli alti e bassi a cui vanno incontro, e gli ostacoli patriarcali posti sulla loro via, sono stati invero efficaci. E sì, oggi la nostra richiesta di giustizia risuona nella comunità internazionale. Sono assai conscia che l’accettare questo premio mi renderà soggetta a maggiori pressioni e nuove accuse in patria.

Lo dedico a tutte le donne del mio paese, a mia madre, alle madri dei prigionieri di coscienza, a tutte le altre madri della mia terra, che nel mentre resistevano hanno insegnato a noi ad opporci alle discriminazioni, di modo che potremo passare questi insegnamenti ai nostri figli ed alle future generazioni. Avevo sperato, in questa grande occasione in cui si commemora anche il centenario del Giorno Internazionale delle Donne e le giuste lotte delle donne in tutto il mondo, di essere con voi. Sfortunatamente, poco prima che partissi, sono stata bandita dal viaggiare per ordine del tribunale e perciò impedita di partecipare all’evento. Tali tipi di azione non sono infrequenti nel mio paese, dove essere una donna e dar voce alle proprie richieste di uguaglianza richiede una lotta continua e porta con sé l’esclusione.

Io sono orgogliosa di essere una donna laica, e di appartenere ad un movimento che ha cento anni di storia fatta di lotte e resistenze per ottenere diritti per le donne. Per più di cento anni anche noi, come le nostre sorelle in tutto il mondo, abbiamo lottato per poter godere dei basilari diritti umani, inclusa la libertà di scelta nelle nostre vite private e nel nostro abbigliamento, richieste che sono state ripetutamente sacrificate alle politiche ideologiche dei nostri governi. Specialmente nei tre decenni seguiti alla rivoluzione islamica in Iran, molte conquiste delle difensore dei diritti delle donne sono state sequestrate dall’adozione di tali politiche. Leggi come l’Atto di protezione della famiglia sono state stravolte e la nostra libertà di scegliere i nostri vestiti è stata trasformata in un codice obbligatorio di abbigliamento, imposto e forzato per legge.

Sono trent’anni ormai che lottiamo per avere il diritto di divorziare e di godere di eguaglianza di diritti all’interno del matrimonio. Abbiamo ripetutamente sostenuto che consentire la poligamia agli uomini crea una realtà insopportabile e disgraziata per le donne. Ma queste leggi patriarcali restano in vigore. Per anni abbiamo obiettato all’ineguale “diyeh”, o “compenso per le ingiurie fisiche”, e ci siamo chieste cosa c’entra il fatto che le vittime siano uomini o donne in rapporto alla compensazione dovuta alle loro famiglie. Ci chiediamo perché le nostre leggi riconoscono gli uomini come completi esseri umani, e ne fanno il modello standard nel mentre valutano le donne come metà di questo standard, e a volte persino meno.

Possiamo attestare che nella nostra società la cultura ha oltrepassato la legge. Le alte percentuali di donne che frequentano l’università e la loro lotta attiva per essere presenti nelle sfere sociali, politiche e culturali, danno ragione alle nostre richieste, e riaffermano che non possiamo sopportare una situazione in cui le leggi vanno all’indietro rispetto alla nostra cultura. Noi chiediamo, poiché il governo iraniano è firmatario di convenzioni internazionali quali quelle NU sui diritti civili e politici, economici e sociali, che esso si senta obbligato ad implementarle. Noi chiediamo, in accordo con tali convenzioni, che tutte le forme di discriminazione, inclusa quella di genere, vengano abolite. Perché le nostre leggi non si conformano agli impegni presi in sede internazionale? Perché, ad esempio, vi sono quote che limitano l’accesso delle donne nei settori di studi universitari?

Per anni abbiamo parlato della necessità di un innalzamento dell’età in rapporto alla responsabilità giuridica, pure bambine di nove anni e ragazzini di quindici vengono ancora riconosciuti colpevoli di offese penali e continuano ad essere trattati come adulti. L’unico sconto fatto a questi giovani “criminali” è il posporre la loro esecuzione, se vengono condannati a morte, a quando compiranno 18 anni. Ci opponiamo in generale alla pena capitale, ma ci chiediamo perché non si possa porre fine alle condanne di bambini. Sono anni che le donne iraniane fronteggiano una moltitudine di problemi perché hanno sposato un rifugiato afgano o iracheno: grazie alle nostre leggi discriminatorie sulla cittadinanza, queste donne non possono passarla ai loro figli. Noi chiediamo perché.

Sono anni che parliamo di mettere fine alle lapidazioni ed ai delitti d’onore, e di cambiare le leggi che sostengono tali pratiche, le quali violano i diritti umani delle donne. Pure i delitti d’onore e le lapidazioni continuano a fare vittime. Questi crimini non possono più essere visti come pratiche “tradizionali” o “culturali”. Sono chiaramente forme di violenza contro le donne rinforzate dalla legge e, come tali, implementate con grande vigilanza e forza. In questo momento sciami di donne ed uomini sono bersagliati, molestati ed arrestati dalla polizia morale, in tutto il nostro paese, a causa dei loro vestiti. E questo programma governativo viene spacciato come una misura intesa a proteggere la sicurezza sociale dei cittadini.

Le richieste dei movimenti sociali in Iran, inclusi quelli degli studenti, dei lavoratori e degli insegnanti, parlano a favore della giustizia e della libertà. Ma molti degli attivisti coinvolti in questi movimenti sono attualmente in prigione. Ai membri di questi movimenti si impedisce di connettersi e collaborare con altri movimenti, e la pressione e la repressione nei loro confronti sta crescendo. Come attiviste per i diritti umani delle donne, abbiamo reso evidente l’impatto negativo delle leggi nelle nostre vite impiegando una varietà di tecniche del tutto civili. Criticando le leggi violente ed opponendoci ad esse, abbiamo chiesto riforme e cambiamento. Ma in risposta alle nostre obiezioni civili e pacifiche il governo ci ha accusate di crimini contro la sicurezza, come “l’agire contro lo stato” o “il far propaganda contro lo stato”. E se noi, attiviste della società civile, difensore dei diritti delle donne, e cittadine, siamo le distruttrici della sicurezza nazionale, chi sono allora, chiediamo, coloro che proteggono la sicurezza nazionale?

Nonostante tutte le pressioni, noi continuiamo a perseguire i nostri obiettivi, a lottare per i nostri diritti umani. Lo facciamo tenendo presente coloro che lo hanno fatto prima di noi, rinforzando la nostra memoria storica, utilizzando le esperienze delle femministe iraniane che sono venute prima di noi, e delle femministe di altri paesi, imparando dalle vittorie e dalle sfide, dalle teorie, dalle esperienze delle femministe iraniane oggi in esilio, nel mentre valutiamo le nostre vite quotidiane e ci rafforziamo nel nostro attivismo. Grazie a queste azioni meditate, ascoltando ed imparando da differenti idee e prospettive, abbiamo arricchito il nostro pensiero. Attraverso tali strategie abbiamo tentato di allargare gli spazi della nostra lotta per raddrizzare le ineguaglianze legali e conseguire eguali diritti per le donne.

Il nostro impegno è anche andato alla costruzione di successi per le nostre sorelle in tutta la regione, al condividere regionalmente informazioni ed esperienze. Questa strategia sta funzionando nell’espandere e nel rafforzare i movimenti delle donne nella nostra regione ed oltre essa. La “Campagna per un milione di firme” è una delle tecniche innovative del movimento delle donne in Iran che ha utilizzato le esperienze delle nostre sorelle marocchine. Nel mentre le nostre sorelle del Marocco hanno dato inizio alla loro campagna e l’hanno implementata con il sostegno del loro governo, le donne iraniane hanno implementato il loro movimento dal basso, con la raccolta di firme a sostegno di una petizione che chiede il cambiamento e la riforma delle leggi discriminatorie contro le donne, dando le informazioni faccia a faccia, da persona a persona, agli altri cittadini. Entrando in contatto con essi, noi speriamo di aumentare la consapevolezza e la forza necessarie per ottenere il cambiamento delle leggi correnti che discriminano le donne.

A tutt’oggi, ad un anno e mezzo dall’inizio della Campagna, nessuna legge è cambiata, ma la discussione democratica attorno all’istanza è aumentata. Abbiamo lavorato affinché il nostro discorso sui diritti delle donne penetrasse in vari settori della società, insediandosi anche nelle istituzioni, ed abbiamo costretto i funzionari governativi a reagire e a rispondere alle nostre richieste. In questo processo, tentiamo di democratizzare la società, perché crediamo che il sentiero verso la democrazia deve in primo luogo includere l’eguaglianza di diritti per le donne. Non si può continuare a marginalizzare la richiesta d’eguaglianza delle donne, e dobbiamo respingere la vecchia scusa che vi sono richieste più urgenti a cui rispondere.

La “Campagna per un milione di firme” ha creato una vasta eco internazionale: perché le sue richieste sono specifiche e concrete, perché il suo approccio è civile e pacifico, perché le attiviste e gli attivisti hanno pagato un alto prezzo per le loro attività e perché i nostri avvocati e le nostre avvocate hanno provveduto il loro lavoro in modo generoso e gratuito. Dall’inizio della campagna più di cinquanta attivisti, in maggioranza ventenni, uomini e donne, sono stati arrestati, minacciati, portati in tribunale. Due di essi sono ancora in galera. Le accuse concernono azioni del tutto pacifiche in sostegno alla campagna, come il raccogliere firme in metropolitana, o il partecipare a seminari sui diritti umani, o scrivere articoli a favore dei diritti delle donne per il sito web della campagna, “Cambiamento per l’eguaglianza”. Al cuore di questo movimento ci sono le loro madri, che sono diventate attive nella campagna. Hanno sostenuto i giovani e le giovani al momento dell’arresto, hanno continuato a seguire i loro casi e a far pressione per il loro rilascio. Prendono parte alla lotta delle loro figlie e figli per l’eguaglianza di diritti con azioni di resistenza civile. L’ingresso delle madri, e dei padri, e di altri membri familiari, nei movimenti per i diritti umani e per la pace ha allargato la portata del nostro impegno, ed ha formato legami tra i diversi movimenti iraniani. Attualmente, i membri dei movimenti degli studenti e dei lavoratori continuano ad essere arrestati, e le loro famiglie sono diventate parte attiva degli stessi movimenti. Oggi lo slogan della nostra campagna, “Cambiamento per l’eguaglianza”, ha trasceso i suoi originari confini geografici. Ha potuto farlo grazie agli attivisti ed ai sostenitori interni ed esterni, al sostegno dei network iraniani ed internazionali, delle femministe, dei difensori dei diritti umani. Questo significativo sostegno, da parte delle organizzazioni femministe internazionali, della stampa internazionale e dei gruppi per i diritti umani, hanno provvisto agli attivisti iraniani la possibilità di amplificare le loro richieste e di mettere in luce la loro situazione, ed è cosa che merita grandissime lodi. Le domande delle donne iraniane sono state ascoltate e sostenute da movimenti sociali, attivisti e associazioni in tutto il mondo. Il poter continuare la nostra lotta deve molto ai sostenitori che abbiamo dentro e fuori il paese. Beneficiando di queste relazioni, il movimento per l’eguaglianza di diritti in Iran sta guadagnando forza e rispetto. Com’è ovvio, i nostri oppositori sono diventati allo stesso modo più determinati. Ma niente paura! L’attivismo pacifico in cui crediamo ci renderà saldi nei nostri propositi. E continueremo a ricevere forza ed energia dalle nostre esistenze quotidiane, che agiamo in modo innovativo, produttivo, stimolante e forte. Salvaguarderemo questo con le nostre vite. Grazie.”



Giovedì, 13 marzo 2008