Femminismo islamico
Intervista ad Asra Q. Nomami

di Ziya Us Salam (trad. M.G. Di Rienzo)

Ringraziamo Maria G. Di Rienzo[per contatti: sheela59@libero.it]per averci messo a disposizione questa sua traduzione della intervista a Asra Q. Nomami realizzata da Ziya Us Salam per “The Hindu”, 26.5.2007


Asra è una creatura rara, quasi parte di una specie in pericolo di estinzione: è infatti una femminista islamica che ricorre alle scritture religiose, alle tradizioni del Profeta ed al Corano per le sue rivendicazioni. Madre “single”, non sposata, Asra ha organizzato la prima sessione di preghiera mista, e guidata da una donna: la prima nella storia islamica a partire dal settimo secolo. Nonostante tutti gli ostacoli che le vengono messi davanti, Asra Nomani, nata a Mumbai e residente negli Usa, continua a seminare idee lungo il suo sentiero. Alcuni l’hanno lodata come la donna che ha riguadagnato il terreno perso a vantaggio delle forze patriarcali. Altri l’hanno accusata di eresia. Ma Asra resta una donna indipendente, una compiuta giornalista ed una scrittrice coraggiosa.
Ziya Us Salam: Tu hai detto di aver reclamato la voce che il Profeta garantì alle donne 1.400 anni orsono. Puoi spiegarti meglio?
Asra Nomani: Le donne musulmane del settimo secolo se la passavano meglio di molte donne musulmane del ventunesimo. Le donne pregavano nella moschea del Profeta, mentre oggi in tutta l’India alle donne viene persino impedito entrare nelle moschee. Non era richiesto alle donne di velarsi il viso. La prima moglie del Profeta Maometto, Cadigia, era la sua datrice di lavoro ed una donna d’affari di successo, mentre oggi il messaggio che più spesso arriva dal pulpito è che le donne non devono lasciare le loro case. Penso che il Profeta piangerebbe, se vedesse le ingiustizie a cui le donne sono soggette attualmente. Invece di progredire siamo andati all’indietro. Penso sia critico, per l’Islam, ritornare ai propri valori progressisti. Ho letto il rapporto del Comitato Sachar sullo status delle popolazioni in India, e le condizioni dei musulmani sono andate persino al di sotto di quelle dei Dalit (la casta degli “intoccabili”, ndt.). Non usciremo mai da questo ghetto sino a che non praticheremo i valori progressisti dell’Islam.
Ziya Us Salam: L’Islam proibisce il mischiarsi di donne ed uomini. Come pensi di riuscire ad ottenere il diritto, per una donna, di guidare le preghiere per donne ed uomini?
Asra Nomani: L’Islam non proibisce il libero incontrarsi di uomini e donne. Solo un’interpretazione puritana lo proibisce. I musulmani e i non musulmani devono imparare a riconoscere questa differenza, se vogliamo vedere il giorno in cui non sarà più consentito esclusivamente ai fondamentalisti il definire cos’è l’Islam o qualsiasi altra religione. Quando ho saputo che una donna musulmana, Umm Waraqa, guidava la preghiera nel settimo secolo per donne ed uomini insieme ho pensato: E perché non oggi? Sin dalla mia infanzia, non sono mai stata incoraggiata a credere di poter essere una leader per la mia comunità. E questa mancanza, di cui soffrono le bambine, è una perdita seria, la perdita della metà delle risorse della comunità musulmana.
Ho organizzato la preghiera in cui la dottoressa Amina Wadud ha guidato donne ed uomini perché era tempo, per le donne, di entrare non dal retro della moschea (quand’anche possano entrare) ma dalla porta principale: non solo nella forma, ma nello spirito. Non è stato un evento che è rimasto lì senza dar frutti. Congregazioni miste lo hanno ripetuto in tutti gli Usa e in Canada. Poiché siamo donne, ci è stato suggerito che non siamo abbastanza buone. Io ho sconfitto le mie stesse paure rispetto all’inadeguatezza, e sto nella mia congregazione come “la imama”.
Ziya Us Salam: Nel tuo libro più famoso, “Standing Alone in Mecca”, non dici molto della tua esperienza indiana. Puoi raccontarci qualcosa dei tuoi primi anni?
Asra Nomani: Sono nata a Bombay nel 1965. Poco dopo la mia nascita la famiglia si trasferì a Hyderabad, e là ho vissuto per i primi quattro anni della mia vita. Mio padre era lettore all’Università di Osmania, e per conseguire il dottorato in filosofia si spostò negli Usa con mia madre. Il mio fratellino maggiore ed io restammo con i nonni, e ci ricongiungemmo a loro quando io avevo appunto quattro anni. Arrivammo all’aeroporto Kennedy di New York da soli, vestiti in modo sgargiante e identico perché non andassimo persi in caso ci smarrissimo. Dal mio primo viaggio transatlantico ho vissuto la vita alienata di molti immigrati indiani: mi cambiavo gli abiti durante il viaggio, sull’aereo, se tornavo dai nonni per le vacanze estive, e detestavo i messaggi della mia famiglia estesa indiana, ovvero che il silenzio per una ragazza è d’oro, che le ragazze non devono far questo e quello, eccetera. Ma c’era anche molto amore per me, e l’identità musulmana che io ho costruito per me stessa deve molto ai valori dell’onestà, dell’etica, dell’amore e del lavoro che ho assorbito dai miei parenti indiani.
Ziya Us Salam: Nel libro parli delle donne musulmane negli Usa, in India e Pakistan, fra le altre. Sono incastrate in una società patriarcale ovunque? O tutto dipende dal fatto che i chierici non permettono un libero dialogo sulle scritture?
Asra Nomani: L’Islam non ha il monopolio del sessismo. Purtroppo, esso è virtualmente il marchio di tutte le società. I chierici musulmani non sono i solo a volere che la loro interpretazione da “club degli uomini” sia vissuta come legge religiosa. Se al primo posto delle lettere che ricevo, per numero, ci sono quelle delle donne musulmane, al secondo posto ci sono quelle delle donne cristiane, frustrate dalle restrizioni che si trovano ad affrontare. Frequentando i templi Hindu mi immaginavo l’esperienza di una religione priva di segregazione per genere, ma non ho visto una sola donna sacerdotessa, in quei templi. Credimi, l’ordine che rende inferiori le donne è la maledizione di tutte le società e noi dobbiamo sfidarlo.
Ziya Us Salam: La comunità musulmana statunitense come ha reagito alle tue azioni?
Asra Nomani: Per molti musulmani è stato uno shock non solo il fatto che io abbia concepito un figlio al di fuori del matrimonio, ma anche che abbia osato parlarne apertamente, invece di passare il resto della mia vita in un angolo della moschea a pregare per il perdono. Sono stata chiamata con ogni termine possibile per offendere una donna. Non importa. Tutto quello che mi hanno detto non è nulla di cui non avessi timore io stessa. Ho vissuto i nove mesi della gravidanza con il senso dell’illegittimità, ma quando il mio bellissimo figlio è nato, e sul suo viso non vi era traccia delle lacrime che io avevo pianto, ho preso la decisione di vivere una vita libera dalla vergogna.
Questa scelta mi ha permesso di ergermi con chiarezza e forza rispetto ai valori profondi che io credo sia necessario risuscitare nella nostra comunità musulmana: compassione, amore, tolleranza, giustizia sociale e diritti delle donne. E sono entusiasta di poter dire che ho fatto la differenza, a livello personale e persino globale. La più grande organizzazione musulmana negli Usa ha rilasciato un rapporto, nel 2005, in cui testimonia tutti i modi che le moschee stanno adottando per riformarsi e diventare “amiche delle donne”. Una moschea, a S. Francisco, ha abbattuto il muro dietro il quale dovevano sedere le donne. Un’altra a Chicago ha nominato per la prima volta una donna nel consiglio d’amministrazione. A Seattle, una nonna dell’Asia del sud ha sussurrato il richiamo alla preghiera nell’orecchio del suo nipotino appena nato, una tradizione che tipicamente si riserva agli uomini. La prima voce che un maschietto della nuova generazione ha udito, rispetto all’Islam, è quella di una donna, per la prima volta nella storia della sua famiglia. Questo è ciò che il cambiamento comporta.



Sabato, 26 maggio 2007