Riflessione
Donne ed educazione alla pace

di Angela Dogliotti Marasso

[Ringraziamo Angela Dogliotti Marasso (per contatti: maradoglio@libero.it) per averci messo a disposizione il suo intervento al convegno svoltosi a Novello il 2-3 giugno 2007 sul tema "Uno sguardo pedagogico alla cultura della nonviolenza. Donne ed educazione alla pace". Angela Dogliotti Marasso, rappresentante autorevolissima del Movimento Internazionale della Riconciliazione e del Movimento Nonviolento, svolge attivita’ di ricerca e formazione presso il Centro studi "Sereno Regis" di Torino e fa parte della Commissione di educazione alla pace dell’International peace research association; studiosa e testimone, educatrice e formatrice, e’ una delle figure piu’ nitide della nonviolenza in Italia. Tra le sue opere segnaliamo particolarmente Aggressivita’ e violenza, Edizioni Gruppo Abele, Torino; il saggio su Domenico Sereno Regis, in AA. VV., Le periferie della memoria, Anppia - Movimento Nonviolento, Torino-Verona 1999; con Maria Chiara Tropea, La mia storia, la tua storia, il nostro futuro, Edizioni Gruppo Abele, Torino 2003; Con Elena Camino (a cura di), Il conflitto: rischio e opportunita’, Edizioni Qualevita, Torre dei Nolfi (Aq) 2004]



Non si parla spesso di "Donne ed educazione alla pace". Da un lato, l’educazione alla pace si pone in genere in modo "neutro"; dall’altro, il pensiero femminista non sempre si muove a proprio agio in un ambito che ricorda troppo un ruolo tradizionalmente assegnato alle donne, quello educativo.

E’ pero’ interessante provare a mettere in relazione questi due ambiti, che sono, nella realta’, strettamente connessi. Provo allora a sviluppare in modo schematico alcune riflessioni in questa direzione, senza pretesa di esaustivita’, ma come spunti per un cammino da approfondire.

1. Anche se quando si parla di educazione e nonviolenza si pensa subito a figure come Aldo Capitini o Danilo Dolci, c’e’ stata in Italia una grande educatrice come Maria Montessori, che quest’anno viene ricordata nella ricorrenza dei cento anni dall’apertura della prima Casa dei bambini, che ha sviluppato un pensiero pedagogico molto prossimo alla cultura della nonviolenza, su cui ha scritto in piu’ occasioni Giovanna Providenti (1).

L’esperienza montessoriana e’ poi stata praticata e sviluppata in Italia, in ambito nonviolento, soprattutto da Grazia Honegger Fresco (2), in molti anni di intenso e proficuo lavoro. Esiste dunque uno specifico patrimonio di esperienze e di cultura portato avanti da donne in questa direzione, che andrebbe ripreso e approfondito e che forse ci porterebbe a scoprire aspetti non ancora messi in luce dell’educazione nonviolenta.

2. Se si recupera in positivo la storia e l’esperienza quotidiana delle donne si scopre, come osserva Evelina Savini in un intervento sul notiziario telematico "Minime", una grande capacita’, acquisita nel corso di una storia di emarginazione e di subordinazione, a "pluralizzare e integrare le emozioni e i punti di vista, ad articolare le capacita’ adattive e interattive" (3). E’ un patrimonio prezioso, perche’ significa aderenza alla vita concreta, al di la’ delle ideologie e delle affermazioni "di principio" che pretendono di tagliare in due la realta’, dividere i buoni dai cattivi, imporre, nelle relazioni, la logica binaria violenta dell’integrazione/assimilazione o dell’esclusione/distruzione. Nella vita si sceglie ad ogni passo e cio’ che ci porta a fare una scelta anziche’ un’altra non e’ facilmente predeterminabile. Cio’ non significa naturalmente che non ci siano orientamenti e convinzioni, anche forti, che ci guidano.

Ma, come nell’esperienza gandhiana la nonviolenza non e’ un assoluto, ma un costante e continuo sperimentare e sperimentarsi, cosi’ mi pare che, in genere, nell’esperienza quotidiana delle donne ci sia questo patrimonio di concretezza che ci rende piu’ duttili e capaci di generare cambiamento (il documentario curato da Anna Gasco che vedremo al termine della tavola rotonda, sulle strategie di sopravvivenza, di difesa e di resistenza delle donne durante l’ultima guerra in Italia e’ molto significativo al riguardo, cosi’ come lo sono gli studi di Anna Bravo e Anna Maria Buzzone sulla resistenza civile delle donne (4) nello stesso periodo).

3. Un’altra esperienza importante, presente nella storia delle donne, anche di diverse culture e civilizzazioni, e’ quella del "prendersi cura". Alcune studiose hanno fatto risalire a questo tipo di vissuto, profondamente incardinato nella cultura di genere, una particolare attitudine delle donne a sviluppare una prospettiva relazionale anziche’ individualistica nei rapporti sociali.

Non e’ questa la sede per approfondire, ma ci sono studi sviluppati negli anni Ottanta nell’ambito della ricerca per la pace che sembrano confermare questa ipotesi, come ha in seguito mostrato anche Carol Gilligan (5) nelle sue ricerche sullo sviluppo morale in un’ottica di genere, che evidenziano modelli significativamente diversi tra maschi e femmine, mettendo in discussione i modelli "neutri" elaborati nell’ambito della psicologia dell’eta’ evolutiva, in particolare i sei stadi di sviluppo morale di Kohlberg (6): "Una moralita’ intesa come cura degli altri pone al centro dello sviluppo morale la comprensione della responsabilita’ e dei rapporti, laddove una moralita’ intesa come equita’ lega lo sviluppo morale alla comprensione dei diritti e delle norme. Questa diversa interpretazione del problema morale da parte delle donne spiega come il loro sviluppo appaia bloccato se considerato entro i limiti imposti dallo schema di Kohlberg". Non si puo’ dunque utilizzare come universale un modello che in realta’ e’ quello maschile (dal primato dell’individuo all’affermazione di principi generali) e non quello relazionale-femminile (dal primato della relazione alla salvaguardia di relazioni e valori).

Un pensiero che sottolinei la differenza di genere come significativa anche in ambito educativo potrebbe riscoprire e dare valore a questo tipo di attitudini, ricollocandole in un contesto nuovo e piu’ ampio.

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Pero’ tutto cio’ non basta, perche’ processi positivi come la messa in discussione dei ruoli tradizionali da un lato, ma anche processi negativi come la forte pressione all’omologazione a modelli dominanti connotati da forme di competitivita’ e di violenza piu’ o meno esplicite, fanno si’ che oggi sia piu’ facile che anche i comportamenti delle ragazze tendano a caratterizzarsi come fortemente competitivi, quando non apertamente violenti (il caso piu’ evidente e’ forse quello del bullismo, fenomeno fino a poco tempo fa prevalentemente maschile, almeno nelle sue forme piu’ esplicite, che ora si sta diffondendo rapidamente anche tra le ragazze).

Allora forse si tratta di recuperare con forza il valore simbolico di alcune attitudini relazionali tipicamente nonviolente e "femminili" e proporle come punto di riferimento essenziale per far crescere donne e uomini capaci di costruire rapporti di pace.

Nella cultura della nonviolenza ci sono infatti alcuni principi metodologici che hanno una forte valenza educativa e che sono proprio di questo tipo (si potrebbe sostenere che "la nonviolenza e’ donna"!), come:

- La capacita’ di empatia, che presuppone una visione binoculare;

- L’affermazione positiva, o assertivita’, o combattivita’ nonviolenta, che si colloca in una prospettiva relazionale: non far violenza agli altri e non lasciarsi fare violenza, ma affermare con una forza, diversa dalla violenza, i propri fondamenti (punti di vista, valori, bisogni, sentimenti, visioni del mondo...);

- Capacita’ di indignazione depurata dall’odio, che implica un lavoro su di se’ per saper gestire, con lo sviluppo della propria forza interiore, le emozioni e saper distinguere tra l’errore e la persona che lo compie;

- Il riconoscimento e l’accettazione del conflitto dentro di se’, per evitare le proiezioni esterne di cio’ che non ci piace in noi;

- L’assunzione di responsabilita’ personale, che, collocandosi nell’orizzonte dell’etica di cura, e’ una sorta di traduzione "politica" di tale atteggiamento.

Si tratta, se vogliamo assumere un modello fortemente simbolico, di preservare e alimentare l’Antigone che e’ in noi per "riattivare la forza dirompente della sua pietas e la sua capacita’ di commuoversi" (7) contro le derive dell’indifferenza e della violenza.

In altre parole, affermare la forza della fragilita’, la "forza del debole", come fa la nonviolenza, potrebbe essere una bella prospettiva, orientata da una consapevolezza di genere, nell’educazione.

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Note

1. Giovanna Providenti, "La dimensione ecologica dell’educazione montessoriana", in Centro studi montessoriani, Linee di ricerca sulla pedagogia di Maria Montessori, Annuario 2004, Angeli, Milano 2004; "L’educazione come progetto di pace in Maria Montessori e Jane Addams", in Annuario 2003, Angeli, Milano 2003; si veda anche, a cura di Giovanna Providenti, La nonviolenza delle donne, Quaderni Satyagraha - Libreria Editrice Fiorentina, Pisa-Firenze 2006.

2. Grazia Honegger Fresco, Maria Montessori, una storia attuale, L’Ancora del Mediteraneo, Napoli 2007.

3. Evelina Savini, Le donne, la nonviolenza, in "Minime", n. 73/2007.

4. Anna Bravo, Anna Maria Bruzzone, In guerra senza armi. Storie di donne 1940-’45, Laterza, Roma-Bari 1995.

5. Carol Gilligan, Con voce di donna. Etica e formazione della personalita’, Feltrinelli, Milano 1987.

6. Ivi, p. 27.

7. Elena Pulcini, La violenza senza emozioni, in "La domenica della nonviolenza", n. 110/2007.

Tratto da
Notizie minime de
La nonviolenza è in cammino


proposto dal Centro di ricerca per la pace di Viterbo a tutte le persone amiche della nonviolenza

Direttore responsabile: Peppe Sini.
Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100 Viterbo, tel. 0761353532, e-mail: nbawac@tin.it

Arretrati in:
http://lists.peacelink.it/

Numero 110 del 4 giugno 2007



Luned́, 04 giugno 2007