diaologo inter-religioso
Un silenzio assordante

di Edward Kessler

Un’analisi delle posizioni della chiesa cattolica


dal TABLET:

Il Concilio Vaticano II ha segnato un nuova epoca nei rapporti tra cattolici e ebrei, sviluppatosi considerevolmente sotto il pontificato di Giovanni Paolo II. Ma il terreno guadagnato negli ultimi 20 anni rischia di essere cancellato e, secondo uno specialista del dialogo interreligioso, le nubi si addensano di nuovo.

Nei rapporti tra cattolici e ebrei, non sono tutte rose e fiori. Il momento di splendore conosciuto sotto il pontificato di Giovanni Paolo II, seguito dalla pubblicazione del "Nostra Aetate" al Vaticano II nel1965, si è bruscamente interrotto e molti di noi, che hanno speso anni per migliorare il dialogo interreligioso, sono preoccupati.

La domenica delle palme, il predicatore pontificio p. Raniero Cantalamessa, in presenza del papa, ha espresso un concetto sulla Passione, sottolineando la complicità degli Ebrei nella morte di Gesù. La sua omelia ha ignorato il punto di vista, largamente accettato tra gli specialisti ufficiali della dottrina cattolica, secondo cui la narrazione della Passione esagera la responsabilità degli ebrei sulla morte di Gesù, sminuendo quella dei Romani. Nei secoli, le omelie sulla Passione sono sempre state problematiche e pericolose per il rapporto tra cristiani ed ebrei. Particolarmente disturbante è l’inclusione dei farisei come complici della morte di Gesù, che contraddice esplicitamente le conclusioni del Concilio Vaticano Secondo, così come testimoniano anche i vangeli sinottici.

"I quattro vangeli attestano... la crescente differenza religiosa tra Gesù e un gruppo influente di ebrei (farisei, dottori della legge, scribi), in materia di osservanza del sabato, di atteggiamento verso i peccatori e gli esattori, e sul concetto di puro e impuro", ha detto Cantalamessa. "Una volta dimostrata l’esistenza di questo contrasto, come possiamo pensare che i leader ebrei non abbiano avuto un ruolo importante nella decisione di denunciare Gesù a Pilato - anche contro la propria volontà - unicamente per paura dell’intervento militare dei romani?".

Ma la dottrina cattolica è chiara: il testo finale dei vangeli fu redatto molto tempo dopo gli eventi narrati e gli autori erano preoccupati di una vendetta dei romani, che cercavano di tenere buoni. La nota del Vaticano del 1985 "come presentare correttamente l’ebraismo e il giudaismo nelle catechesi e nelle preghiere della chiesa cattolica romana" dichiara:

Non si può escludere che riferimenti ostili o quanto meno sfavorevoli agli ebrei abbiano il loro contesto storico nei conflitti tra la nascente chiesa e la comunità ebrea. Molte controversie nei rapporti tra cristiani e ebrei esistono anche molto tempo dopo la venuta di Gesù. Chiarire questo è fondamentale se auspichiamo una corretta spiegazione del significato di alcuni passi del vangelo ai cristiani di oggi.

Nel nuovo testamento i farisei sono importanti come altri rivali di Gesù, ma è importante notare la loro assenza nella narrazione della Passione. La severa critica dei farisei è maggiormente rivolta al contesto di rivalità tra le comunità dell’epoca (specialmente quella di Matteo), piuttosto che con gli avvenimenti della vita di Gesù. Infatti, la dicotomia tra gli insegnamenti di Gesù e quelli dei farisei probabilmente va oltre una semplice divergenza di opinioni. Questo accade perché, come dice la nota Vaticana, Gesù era più vicino ai farisei che a qualunque altro gruppo di ebrei, qualcosa che Cantalamessa ignora. La nota fu pubblicata per apportare correzioni alla tradizionale visione negativa dei farisei.

Ciò che maggiormente preoccupa nell’omelia di Cantalamessa è che ha generato risposte contraddittorie, sebbene sia stata pubblicata sulla stampa ufficiale vaticana. Forse ci si poteva aspettare che qualcuno sottolineasse come egli fosse andato contro lo spirito di sensibilità ed attenzione, tipico dei discorsi pubblici della Settimana Santa durante il pontificato di Papa Giovanni Paolo II. Il silenzio sembra essere all’ordine del giorno.

Il dialogo ebraico-cristiano è a un punto di svolta? Negli ultimi anni del pontificato di Giovanni Paolo II, c’è stata una battuta di arresto nelle iniziative del Vaticano, e nessuna è presente nell’attuale pontificato. Senza un sostegno istituzionale il rapporto tra ebrei e cristiani si deteriorerà. Il papa prende sul serio l’incontro con il giudaismo e riconosce il valore del dialogo ebraico-cristiano. Come scrisse (da Cardinale Ratzinger) nell’Osservatore Romano, dicembre 2000, "è nata una nuova visione del rapporto tra chiesa e Israele: l’auspicio di eliminare ogni forma di anti-giudaismo e di iniziare un dialogo costruttivo basato sulla conoscenza reciproca e sulla riconciliazione. Se tale dialogo dovrà essere fruttuoso, deve partire dalla preghiera al nostro Dio, affinché assicuri a noi cristiani una maggiore stima e amore verso quel popolo, il popolo di Israele, al quale appartiene "l’adozione a figli, la gloria, l’impegno, la conoscenza delle leggi, il culto e le promesse; a loro appartengono i patriarchi, da loro viene Cristo secondo la carne, lui che è prima di tutto Dio, benedetto per sempre. Amen" (Romani 9.4-5)".

Perché allora silenzio e inerzia sono all’ordine del giorno? Alcuni dicono che essi sono nati da una contesa sempre viva dei cosiddetti tradizionalisti, alcuni dei quali vorrebbero portare indietro l’orologio a prima del 1965 (quando "Nostra Aetate" aprì la strada alla trasformazione del rapporto tra ebrei e cristiani), marginalizzando sempre più gli elementi liberali all’interno della Chiesa. I neo-conservatori della Curia, sembra stiano compiendo un deliberato attacco al Vaticano II, compreso quello alle relazioni tra ebrei e cristiani.

Ho constatato questa tendenza nel 2002 quando ci fu una animata reazione a un documento pubblicato dai cattolici e dagli ebrei del Nord America intitolato "Riflessioni sull’impegno e la missione". Dapprima ben accolto, fu poi messo da parte per gli attacchi feroci dei conservatori. Il documento consisteva in due parti distinte contenenti riflessioni di cattolici ed ebrei sull’impegno e le implicazioni missionologiche. I partecipanti cattolici hanno proposto che "qualunque campagna che proponga la conversione degli ebrei al cristianesimo non è più teologicamente accettabile nella chiesa cattolica".

Sotto la guida del teologo americano Cardinale Avery Dulles, i critici hanno enfatizzato che tutti i non-cattolici devono essere soggetti al principio di evangelizzazione. Ma questi critici hanno mancato di menzionare le dichiarazioni vaticane sui rapporti tra ebrei e cristiani, nessun leader cattolico ha commentato. Bisogna pur riconoscere che l’ex presidente della Commissione Pontificia per i Rapporto Religiosi con gli Ebrei, il Cardinale Edward Cassidy, ha accolto pubblicamente il documento, ma l’attuale presidente, il Cardinale Walter Kasper, si è reso famoso per il suo silenzio.

Ci sono altre ragioni per essere pessimisti? La crescente tensione in Medio Oriente e la situazione precaria delle comunità cristiane locali, unitamente alle minacce contro Israele e il crescente anti-semitismo hanno reso sia i cristiani che gli ebrei consapevoli della propria vulnerabilità. Invece di riconoscere ed affrontare le comuni difficoltà, la reazione consueta è il silenzio e l’espressione di luoghi comuni dopo i vari incontri tra le rispettive figure istituzionali.

Il silenzio è ancor più evidente se comparato alle recenti iniziative intraprese da altre chiese. Ad esempio, Lambeth Palace e il Centro per gli Studi sul Rapporto tra Ebrei e Cristiani di Cambridge stanno sponsorizzando una serie di discussioni tra anglicani ed ebrei, che verranno riportate in alcune importanti pubblicazioni prima del meeting decennale del 2008 delle chiese anglicane.

Tuttavia, al di fuori della leadership istituzionale, ci sono motivi di ottimismo per il dialogo ebraico-cristiano. Stanno fiorendo numerosi centri per gli studi sui rapporti tra ebrei e cristiani in diversi ambienti cattolici nel Nord America e in Europa. Sembra che, al momento, università e centri specializzati siano la migliore speranza.

Fino a poco tempo fa, era ampiamente riconosciuto che la chiesa cattolica fosse propensa al dialogo tra cristiani ed ebrei. "Nostra Aetate" ha introdotto una nuova era e un nuovo linguaggio. Sono state pubblicate importanti dichiarazioni dalla Commissione per le Relazioni Religiose con gli Ebrei nel 1975, 1985 e 1998. Da allora la commissione ha taciuto e non ci sono nuovi programmi in atto e nessuna dichiarazione.

Circa 40 anni fa, la chiesa cattolica ha rinunciato a proporre un insegnamento in cui fosse riconosciuto un rigetto divino alla gente ebrea fin dal tempo di Gesù. In altre parole, l’alleanza con il popolo ebreo non sembra più essere vista come qualcosa di inconsistente. Secondo "Nostra Aetate", "gli ebrei restano i più cari a Dio". Giovanni Paolo II ha affermato nei primi anni del suo pontificato, che l’alleanza di Dio con il popolo ebreo non è mai stata interrotta e mantiene una valenza eterna.

Il futuro non appare roseo quando cercano di riportarci ai tempi antecedenti al documento "Nostra Aetate" ed in diversi non sembrano interessati. Tutto questo rende noi, interessati al dialogo, anche quelli più addentro, vulnerabili all’attacco dei tradizionalisti e suscettibili di emarginazione. Forse ciò che ci lascia perplessi negli scritti del Cardinale Dulles e collaboratori, è il dubbio se la Vecchia Alleanza sia ancora valida. Questi commenti tornano a tono con il Vaticano II. Se questa visione è ritenuta valida, possiamo intravedere una sfida potenziale a tutto ciò che è stato raggiunto nel dialogo tra cattolici e ebrei nei 40 anni passati che, se tutto venisse chiaramente detto e fatto, trae certe origini dalla nuova teologia cattolica che persegue la completa inclusione degli ebrei nell’alleanza. Questo ripropone la vera sfida, più che i sermoni insensati del Vaticano. E il silenzio non è più una strada percorribile.

14 aprile 2007

traduzione di Stefania Salomone

Testo Originale

14 April 2007

A deafening silence

Edward Kessler

The Second Vatican Council marked a new dawn in Catholic-Jewish relations, that advanced considerably under the pontificate of John Paul II. But gains made over several decades are in danger of being forfeited, and clouds are gathering again, according to a specialist in interfaith dialogue

In Catholic-Jewish relations, all is not well. The momentum generated during the pontificate of John Paul II, following the ground-breaking publication of Nostra Aetate at Vatican II in 1965, has ground to a halt and many of us who have devoted years to improving relations and interreligious understanding are concerned.

On Palm Sunday, the pontifical household preacher, Fr Raniero Cantalamessa, delivered an address on the Passion in the presence of the Pope, which focused on Jewish complicity in the death of Jesus. His homily ignored the view, widely accepted among scholars and in official Catholic teaching, that the Passion narratives tend to exaggerate Jewish responsibility for the death of Jesus and to downplay Roman responsibility. Homilies on the Passion narratives have been both problematic and harmful through the centuries in Jewish-Christian relations. Of particular concern was his inclusion of the Pharisees as complicit in Jesus’ death, which explicitly contradicts the teaching of the Second Vatican Council, as well as the clear witness of the Synoptic gospels.

"The four gospels attest ... [to] a growing religious difference between Jesus and an influential group of Jews (Pharisees, doctors of the law, scribes) over the observance of the Sabbath, the attitude toward sinners and tax collectors, and the clean and unclean," Fr Cantalamessa said. "Once the existence of this contrast is demonstrated, how can one think that it had no role to play in the end and that the Jewish leaders decided to denounce Jesus to Pilate - almost against their will - solely out of fear of a Roman military intervention?"

But Catholic teaching is clear: the final text of the gospels was edited long after the events described and the authors were concerned with vindicating the Romans, whose goodwill they were seeking. The Vatican’s 1985 "Notes on the Correct Way to Present Jews and Judaism in Catechesis and Preaching of the Roman Catholic Church" state:

It cannot be ruled out that some references hostile or less than favourable to the Jews have their historical context in conflicts between the nascent Church and the Jewish community. Certain controversies reflect Christian-Jewish relations long after the time of Jesus. To establish this is of capital importance if we wish to bring out the meaning of certain Gospel texts for the Christians of today.

In the New Testament, the Pharisees are prominent as the main rivals of Jesus but are notable by their absence from the Passion narratives. The harsh criticism of the Pharisees is recognised as having as much to do with rivalry between the communities in which the texts were written (especially the Matthean community) as with anything that happened during the lifetime of Jesus. Indeed, the level of overlap and coherence between the teachings of Jesus and the Pharisees probably outweighs the areas of difference of opinion. This is because, as the Vatican’s Notes state, Jesus was closer to the Pharisees than any other Jewish group, something of which Fr Cantalamessa seems totally unaware. The Notes were published to provide a corrective to the traditional negative picture of the Pharisees.

What makes Fr Cantalamessa’s homily of more concern is that it generated no contradictory response, even though it was published in the official Vatican press. One might also have expected someone to point out that it went against the broader spirit of caring and sensitivity that was more typical of the public pronouncement during Holy Week during the pontificate of John Paul II. Silence seems to be the order of the day.

Are Jewish-Catholic relations at a crossroads? In the last few years of John Paul II’s pontificate there was a noticeable slow-down in Vatican-led initiatives, and none during the present one. Without institutional nourishment, Catholic-Jewish relations will eventually deteriorate. The Pope takes seriously the encounter with Judaism and acknowledges the value of Christian-Jewish dialogue. As he wrote (as Cardinal Ratzinger) in L’Osservatore Romano in December 2000, "a new vision of the relationship between the Church and Israel has been born: a sincere willingness to overcome every kind of anti-Judaism, and to initiate a constructive dialogue based on knowledge of each other, and on reconciliation. If such a dialogue is to be fruitful, it must begin with a prayer to our God, first of all that he might grant to us Christians a greater esteem and love for that people, the people of Israel, to whom belong ’the adoption as sons, the glory, the covenants, the giving of the law, the worship, and the promises; theirs are the patriarchs, and from them comes Christ according to the flesh, he who is over all, God, blessed forever. Amen’ (Romans 9:4-5)".

Why then are silence and inertia the order of the day? Some suggest that they are born out of a struggle between increasingly confident and outspoken traditionalists, some of whom wish to turn the clock back to a time before 1965 (when Nostra Aetate opened the way to a transformation of Catholic-Jewish relations) and increasingly marginalised liberal elements within the Church. Neo-conservatives within the Curia, it is suggested, are undertaking a determined attack on Vatican II, including Catholic-Jewish relations.

I first noticed this trend in 2002 when a vociferous reaction followed a document published by Catholics and Jews in North America entitled "Reflections on Covenant and Mission". At first welcomed, it was quickly shelved when it came under fierce criticism from conservatives. The document consisted of separate Catholic and Jewish reflections on the covenant and its missiological implications. Catholic participants proposed that "campaigns that target Jews for conversion to Christianity are no longer theologically acceptable in the Catholic Church".

Following the lead of the American theologian Cardinal Avery Dulles, critics emphasised that all non-Catholics must be subjected in principle to evangelisation efforts. Although these critics failed to mention any of the Vatican’s statements on Christian-Jewish relations, no senior Catholic leader responded. Admittedly, the previous president of the Pontifical Commission for Religious Relations with the Jews, Cardinal Edward Cassidy, publicly welcomed the document, but the current President, Cardinal Walter Kasper, was more noticeable by his silence.

Are there other reasons for pessimism? The increasingly tense situation in the Middle East and the precarious situation of local Christian communities, combined with threats against Israel and rising anti-Semitism have made both Christians and Jews more aware of their vulnerabilities. Rather than acknowledging and tackling shared difficulties, the common reaction is silence or the utterance of platitudes after infrequent meetings of senior institutional figures.

The silence is more noticeable when compared to recent initiatives undertaken by other Churches. For example, Lambeth Palace and the Centre for the Study of Jewish-Christian Relations in Cambridge are co-sponsoring a series of discussions between senior Anglicans and Jews, which will result in some important publications before the 2008 diennial meeting of the Anglican Communion.

Yet, outside the institutional leadership, there are reasons for optimism in Catholic-Jewish relations. Centres for the study and teaching of Jewish-Christian relations are flourishing in a number of Catholic environments in North America and Europe. It seems that universities and specialist centres are our best hope at the moment.

Until recently, it was widely held that the Catholic Church led the way for Christians in dialogue with Judaism. Nostra Aetate ushered in a new era and a new language of discourse. Important statements were published by the Commission for Religious Relations with the Jews in 1975, 1985 and 1998. Since then the commission has been silent and there are no plans to produce a new statement.

Just over 40 years ago, the Catholic Church renounced the teaching of the divine rejection of the Jewish people since the time of Jesus. In other words, the divine covenant with the Jewish people is now no longer viewed as having been annulled. According to Nostra Aetate, "the Jews remain most dear to God". John Paul II spelled it out in the early years of his pontificate that God’s covenant with the Jewish people had never been broken and retains eternal validity.

The future does not look rosy when some try to take us back to a day before Nostra Aetate and others do not effectively respond. This leaves those of us involved in the dialogue, perhaps even those at a senior level, vulnerable to attack from traditionalists and marginalised. Perhaps most troubling, found in the writings of Cardinal Dulles and others, is the question as to whether the Old Covenant was still valid. Such comments fly in the face of the Second Vatican Council. If this view is allowed to stand, we will face the potential of a challenge to all that has been achieved in Catholic-Jewish relations over the past 40 years which, when all is said and done, has been rooted in the new Catholic theology of continuing Jewish covenantal inclusion. This presents a far more severe challenge than insensitive sermons in the Vatican. Silence is no longer an option.



Martedì, 04 settembre 2007