Recensione
Il Caos Prossimo Venturo. Il Capitalismo Contemporaneo e la Crisi delle Nazioni

di Angelo Baracca

Un libro di Prem Shankar Jha, Neri Pozza, Vicenza, 2007, pp. 675.


Ringraziamo Angelo Baracca per averci messo a disposizione questa sua recensione. Angelo Baracca e’ un prestigioso scienziato e docente universitario impegnato per la pace, fa parte dell’associazione "Scienziate e scienziati contro la guerra"


Viviamo in un mondo che non risulta facilmente decifrabile. Un nuovo Marx non è all’orizzonte, e se nascesse avrebbe un compito incomparabilmente più complesso del vecchio Karl. Questo saggio mi sembra un tentativo interessante, e riuscito, di mettere almeno un certo ordine in questo caos, di proporre una linea interpretativa che consenta di collegare i molteplici aspetti di questa realtà convulsa e invasiva, individuando una tendenza e discutendone i limiti. L’analisi di questo economista indiano di primo piano - ha studiato ad Oxford, lavorato per le Nazioni Unite e insegnato all’Università della Virginia - è basata su una solida analisi economica e su una rigorosa ricognizione storica. Non è un libro di denuncia, ma un’analisi obiettiva della situazione, della sua genesi e delle linee di tendenza. Molto netta è la scelta di campo, la presa di distanza dalle posizioni di Fukuyama, di Huntington e dei neocon: tutte le tesi che vengono contestate sono esposte e discusse con chiarezza. Solidi sono i riferimenti: Polanyi, Hobsbawm (autore della presentazione), Arrighi. Il volume è ponderoso ma scorre bene, perché tutti i passi sono diffusamente argomentati, con spiegazioni chiare, ripresi più volte.
La tesi di fondo è relativamente semplice. I cicli di espansione del capitale hanno portato ad allargamenti degli ambiti geografici interconnessi dai processi economici: l’allargamento del mercato capitalistico ad altre aree genera fasi di caos, spezzando gli equilibri precedenti e smantellando le vecchie istituzioni politiche ed economiche: finché una nuova fase di equilibrio si è instaurata, su una base più ampia, con nuove istituzioni e soggetti economici. Anche se non si tratta di una tesi marxista, mi risuonano all’orecchio le parole di Marx nella Prefazione a Per la Critica dell’Economia Politica: “A un dato punto del loro sviluppo, le forze produttive materiali della società entrano in contraddizione con i rapporti di produzione esistenti [che], da forme di sviluppo delle forze produttive, si convertono in loro catene. Allora subentra un’epoca di rivoluzione sociale… Ma le forze produttive che si sviluppano nel seno della società borghese creano in pari tempo le condizioni materiali per la soluzione di questo antagonismo”. Jha ricostruisce queste fasi nel passaggio dalla formazione delle città-stato, poi degli stati-nazione, suggellato dall’«ordine westfaliano» stabilito dalla pace del 1648 che pose fine alla guerra dei 30 anni. L’ultima di queste fasi è quella attuale, e corrisponde all’allargamento del capitalismo dallo stato-nazione all’intero pianeta (la globalizzazione diviene in questo contesto un processo storico concreto, non nuovo rispetto alle fasi precedenti, ma di un ordine - si potrebbe dire, dialetticamente - superiore) e comporta la deindustrializzazione dell’America, la migrazione dell’industria verso i paesi a basso reddito e la ricollocazione nel settore dei servizi, disoccupazione e immigrazione. In questa fase di “caos sistemico”, essendo il mercato divenuto inevitabilmente globale, gli Stati Uniti non potevano che giocare la carta dell’impero globale (ed essendo i processi oggettivi, la differenza tra democratici e repubblicani è minima), attaccando lo stato-nazione e l’ordine westfaliano. Ma hanno ormai perduto definitivamente l’egemonia (in un’accezione esplicitamente gramsciana), per cui lo sbocco finale rimane del tutto oscuro e il caos è destinato comunque, per la forza dei processi economici, a peggiorare. In questo quadro l’11 settembre rimane, a mio avviso giustamente, un momento di accelerazione, e non di svolta.
Ma banalizzata in questo modo, per non lasciare nel vago l’impostazione del libro, la tesi di Jha perde la ricchezza e l’articolazione delle argomentazioni che la supportano, e che costituiscono un grande valore del saggio. Che, al di là degli inevitabili limiti, non è solo la ricerca di una chiave di lettura del caos attuale, ma anche un sano bagno nella realtà, per quanto dura possa essere: i processi analizzati acquistano infatti un’oggettività, materiale e storica, che non consente di farsi illusioni sulle possibilità di un mondo migliore a scadenza ravvicinata. Disoccupazione, deregulation, smantellamento del welfare, pensioni, sfruttamento dei bambini, immigrazione, fame, e via dicendo, acquistano la forza e la necessità dei processi storici (mi sembra questo un aspetto fortemente marxiano), che nessuna soggettività è in grado ora di arrestare, tanto meno di invertire. Mi sembra interessante il significato circoscritto che in questo contesto acquista un concetto ormai svuotato quanto abusato come quello di democrazia, come determinazione storica coincidente con la fase regolatrice dello stato-nazione; associato al ruolo della socialdemocrazia e alla trasformazione dei sindacati come fattori di regolazione economica e sociale nell’«età dell’oro», di piena occupazione, nell’accezione di Hobsbawm.
L’azione degli Stati Uniti per smantellare gli stati-nazione - affinché la globalizzazione possa procedere alla formazione di un unico sistema economico mondiale integrato - viene associata alla strategia finanziaria delle grandi aziende, che la mondializzazione dell’economia spinge ad investire nel settore dei servizi, poi nelle aree periferiche dove i costi sono inferiori: strategia che viene seguita attraverso l’offensiva di sfondamento dei mercati nazionali, con il passaggio dalla concertazione alla coercizione e l’istituzione del WTO, e documentata attraverso la lucida ricostruzione (e la lucida demolizione delle versioni ufficiali) dei conflitti, dalla prima guerra del golfo, alla guerra in Bosnia, all’attacco alla Serbia del 1999, all’invasione dell’Iraq, sottolineando l’escalation delle violazioni dei diritti degli stati-nazione. Anche il fenomeno chiamato superficialmente “terrorismo” viene caratterizzato come correlato di questa azione imperiale, e contestualizzato con analisi puntuali.
Non tutto, sia chiaro, mi convince nell’analisi di Jha, a volte pretende forse un’eccessiva generalità: ma la capacità di collegare in un quadro unitario gli aspetti di una realtà così complessa ha un’indubbia efficacia. Molte sono forse le lacune: che però, qualora possano essere colmate, non migliorerebbero certo l’allarmante panorama. Raramente compare, ad esempio, la parola petrolio (anche se il cenno a pp. 629-30 contiene l’illuminante argomentazione che l’apprezzamento delle valute dei paesi esportatori ne impediscono l’industrializzazione), e non viene considerata la prospettiva del picco di produzione e di esaurimento delle risorse (ma si tratta forse di una visione diffusa tra gli economisti, che vedono possibilità imprevedibili nell’innovazione tecnologica: la quale gioca infatti un ruolo essenziale nella ricostruzione storica di Jha). Per altro verso, mentre mi ha francamente colpito la competenza e la documentazione delle guerre nella ex Jugoslavia, rilevo una scarsissima attenzione invece per l’America Latina, il continente che a mio avviso presenta oggi il fronte più avanzato e coeso, pur con tutte le contraddizioni, dello drammatico scontro in atto: può darsi che la collocazione geografica dell’autore abbia influito su queste accentuazioni.
Sappiamo anche che esistono analisi che sembrano contrastare con quella di Jha. Ad esempio, Vasapollo insiste nei suoi saggi su un rinnovato ruolo degli stati nazionali, e cerca forse di approfondire maggiormente un’analisi di classe: che però, a mio avviso, rimane ancora piuttosto vaga, mancando una più precisa individuazione dei soggetti. Ma queste impostazioni contrastano forse più in apparenza che nella sostanza, e si possono considerare complementari: molti nessi stabiliti tra i problemi cruciali della situazione odierna non sembrano differire in modo sostanziale. L’attacco degli Usa agli stati-nazione appare infatti nell’analisi di Jha una necessaria, più precisa reazione all’allargamento del mercato alle aree periferiche. Il “caos sistemico” di cui egli parla è la conseguenza dello scacco di questo tentativo (che Vasapollo chiama semmai “Scontro di potenze”).
Queste note non fanno certo giustizia della complessità e dell’articolazione di questo libro, ma mi auguro che ne incoraggino la lettura, accessibile ed utile anche a chi, come me, non è in alcun modo esperto di economia.


Angelo Baracca



Domenica, 30 dicembre 2007