Recensione
Il giardino del Liceo: quando emozioni vere ed idee forti diventano scrittura.

di Mario Corbo

Un libro splendido, il Giardino del Liceo di Aldo Bifulco, che getta immediatamente un “ponte” verso l’animo del lettore. Emozionante ed anche avvincente, racconta un’esperienza didattica - l’impianto di un giardino in un terreno brullo circostante ad un Liceo della provincia di Napoli - che ha unito nel “pensare” e nel “fare” alcune generazioni di studenti e docenti nell’arco di quasi un trentennio.
La magia del libro è nel modo in cui l’esperienza è raccontata.
L’autore, la voce narrante, racconta prelevando dal flusso della memoria alcune “gemme”, che si trasformano senza filtri in una scrittura avvolgente, in grado di restituire a pieno l’originaria densità emozionale. E’ un libro sulla “relazione”, che racconta relazioni significative fra persone e con la natura e crea nuove “relazioni”, coinvolgendo il lettore che si sente parte di quel Tutto che, pagina dopo pagina, il testo disegna con plastica evidenza.
L’immagine dei protagonisti dei singoli capitoli si delinea sempre e solo nella relazione con l’altro e con la natura. Il racconto li coglie nella loro interazione rispetto al contesto umano e ambientale in cui hanno operato, ma riesce anche a farli interagire fra di loro, a renderli coevi, annullando la distanza temporale e generazionale che in realtà li connota.
Il risultato è un grande equilibrio narrativo da cui traluce “armonia”, finanche nella descrizione dei conflitti. L’armonia della narrazione riflette l’armonia dell’animo dell’autore, che conferisce unitarietà a fatti avvenuti in tempi diversi e lontani, le cui tracce non sono andate disperse solo per la disposizione all’accoglienza, che fa di Aldo una persona speciale.
Ne viene fuori, pertanto, un testo speciale: poetico e riflessivo, avvincente come un romanzo e, nello stesso tempo, rigorosamente scientifico, ricco di spunti pedagogici e filosofici, che delineano una visione del mondo pienamente laica, ma pervasa da una profonda spiritualità.
L’esperienza “contingente” del giardino didattico, nonostante non sia mai presentata dall’autore come modello, diventa di fatto “esperienza emblematica”, carica di significati pedagogici nuovi ed alternativi. Una pedagogia “scomoda” che, fondendo teoria e prassi, relativizza la parola astratta trasmessa solo ex cathedra, a vantaggio di una parola, strumento dell’azione, che provoca e, nell’interazione, acquista significati plurimi. Una pedagogia “scomoda” che, facendo propria la logica del “dono” e dell’impegno “gratuito” e disinteressato, mentre costruisce intorno a sé una rete virtuosa di relazioni formative, interroga in profondità, fino alla provocazione, la coscienza di quelli, e non sono pochi, che misurano il loro impegno nella scuola in termini meramente quantitativi e retributivi. Fatta salva, naturalmente, la legittima pretesa ad una retribuzione dignitosa ed adeguata da parte dei docenti, è inaccettabile che essa diventi un “alibi” che giustifichi l’immobilismo e la rassegnazione. Le riforme vere non provengono mai dall’alto, ma sono sempre il risultato dell’incontro fecondo tra saggi ed equilibrati cambiamenti strutturali proposti dal legislatore e gli innumerevoli fermenti di creatività nati dal basso, frutto dell’impegno di chi vuole davvero una scuola diversa. Senza questo humus, anche la migliore delle riforme sarebbe destinata al fallimento o a produrre risultati sterili. L’esperienza descritta nel libro di Aldo, nella sua peculiare emblematicità, indica agli operatori della scuola la via maestra da seguire e a tutti i lettori una visione del mondo centrata sull’accoglienza e il rispetto per ogni forma di vita. L’amore per la vita e il senso di responsabilità verso tutti gli esseri viventi, straordinariamente diversi e insieme profondamente simili e interdipendenti, costituiscono il motore ideale ed emozionale da cui scaturiscono le riflessioni più propriamente filosofiche. Esse definiscono i contorni di un universo “partecipativo”, le cui sorti future sono sempre più legate all’imperativo categorico di un “patto fra le generazioni”. Un “macrouniverso” le cui dinamiche sono state sperimentate e vissute nel “microuniverso” di un giardino, frammento del Tutto, le cui sorti sono anch’esse legate ad un patto non scritto nel fluire del tempo.
Concludendo, vorrei “contraddire” Aldo solo su un punto. A pagina 61 egli afferma: “ho sempre tenuto a freno la dolcezza, la tenerezza e ne ho accumulata tanta senza esprimerla adeguatamente”. Io che conosco Aldo da quasi 50 anni mi sento di dire che non è stato così. Ha riempito nel corso degli anni i nostri cuori di una dolcezza e di una tenerezza senza fine, amando autenticamente ed insegnandoci ad amare, pur attraverso l’impervio cammino della ricerca e del dubbio. E questo libro senz’altro costituisce un’ulteriore testimonianza di come si possa “sognare” e perseguire il cambiamento a partire dal volto dell’altro.

Mario Corbo



Venerdì, 14 novembre 2008