Recensione
l’Inerme è l’imbattibile

Nuovo progetto di Massimo Zamboni


di Normanna Albertini

“l’Inerme è l’imbattibile”, il nuovo progetto di Massimo Zamboni che ha come tema centrale la pace e la memoria, è uscito in aprile nelle librerie, nei negozi musicali e nelle edicole di tutta Italia. Si tratta di un cofanetto contenente un cd musicale, un dvd e un libro, per le edizioni musicali de “Il Manifesto”, prodotto da “Pulse Media”, di Reggio Emilia, con il contribuito alla realizzazione della cooperativa Boorea. L’artista emiliano s’incammina idealmente da Mostar per un viaggio che va verso tutti gli Est del mondo, in un percorso di realizzazione che ripropone le ragioni etiche del nostro vivere. L’anteprima al cinema Rosebud di Reggio Emilia ha visto decine di spettatori che, per la ressa, hanno dovuto sedersi per terra o restare in piedi, altri che non sono neppure riusciti a entrare, mentre la musica ripartiva sul digradare delle note di "Sorella Sconfitta" penultimo album dell’artista. Con Massimo Zamboni, la soprano Marina Parente, Fabio Ferraboschi (basso e chitarra), Erik Montanari (chitarra), Gigi Cavalli Cocchi (ritmiche e percussioni). Conversando con Zamboni, esce che uno dei temi centrali del nostro vivere è proprio la figura dell’inerme, che non appare mai nei media e che avvertiamo solo in base alla tragedia del momento. Lo sentiamo sempre altro da noi, scordandoci che ognuno di noi è stato inerme al momento della nascita.
La scorgiamo negli altri: l’iracheno, gli ex iugoslavi, il bombardato di turno. “Io credo che gli abitanti della Jugoslavia, il giorno prima della guerra, forse anche la mattina stessa, si sentissero come noi oggi. - afferma Zamboni - Bisogna vivere come esseri umani costretti a fare i conti con l’inermità, ma anche come esseri civili costretti a vivere insieme ad altri uomini, dai quali può dipendere la nostra inermità momentanea o storica.”. È per lui necessario, in assoluto, recuperare la responsabilità, uno degli anelli basilari del nostro saper vivere, uno degli attributi propri dei genitori, ma anche attributo che possono cavalcare tutti. Parla dell’ultimo libro di Adriana Cavarero che porta come titolo una parola inesistente nel vocabolario della lingua italiana: “Orrorismo ovvero della violenza sull’inerme.” - Milano, Feltrinelli, 2007, che tratta del dilagare della violenza sugli inermi, dove vengono meno le chiare distinzioni tra la violenza “regolare” delle operazioni belliche e quella “irregolare” degli atti terroristici, e riferisce di avervi trovato tantissime parole che aveva usato in modo istintivo: “Quando scrivi o componi sospendi la tua parte razionale per andare alla profondità dei tuoi pensieri. Quel saggio mi ha chiarito molte cose, dalla scelta della copertina, ai termini, al contesto dell’inermità. Io credo che quando gli animali sono inermi hanno due scelte: o attaccare, oppure - ed è una grande difesa - ostentare la propria inermità.” L’inermità è una delle condizioni essenziali del mondo contemporaneo, ma non come scelta. Il mestiere di “civile” è un mestiere infinitamente più pericoloso che quello di soldato. I militari sono una categoria protetta, non “vanno” in guerra, “fanno” la guerra, e la fanno ai civili, i quali sono nelle loro case ad aspettare la bomba di turno. Zamboni crede sia doveroso riflettere su questo. Chi fa musica o cultura, in qualche modo, deve sforzarsi di capire quali sono i veri temi della propria epoca.
Parlando dei mezzi d’informazione, evidenzia quanto siano osteggiate ed eluse le notizie che riguardano certi luoghi o persone, tanto da evitarci di raccoglierli rendendoli invisibili e muti. È una cosa strana: sui media pare vinca la necessità di passare l’orrore quotidiano per offuscare la positività che c’è nel mondo, positività costruita dalla gente semplice, come padri e madri di famiglia. È partito da Mostar, Massimo Zamboni, perché là sono finiti i Csi, ma soprattutto perché Mostar è una città dove questi temi sono condensati in pochissimi chilometri. Là, si riesce a capire la disperazione che si è impadronita dei vincitori, i quali non usciranno mai da quel contesto disperato. Egli parte da un concetto che non sa se definire laico perché non ama pensare di essere laico, e neppure crede religioso nel senso comune del termine, ma ha idea della fortissima spiritualità che circonda l’uomo e della divinità che l’accompagna. È conscio dell’ importanza che ha, nella nostra cultura, e in ognuno di noi, l’inermità di Cristo: appena nato, figlio di persone umili, nudo in una grotta, a cui si inchinano i Magi, i potenti del mondo e, allo stesso tempo, in croce, quando si offre come corpo inerme, accettando l’inermità. Nella storia gli inermi muoiono e i forti vanno avanti, ma per Zamboni ci sono altri termometri possibili, altri parametri di lettura. Si rende conto della forza dirompente dell’inermità di Cristo, così come della forza dirompente delle inermità banali e quotidiane incontrate a Mostar, o anche della sua forza, quando mi è trovato in condizione di relativa inermità. È convinto che l’unico vero ruolo dell’artista sia un ruolo etico, anche se crede che l’artista debba cavalcare la propria irrazionalità e salvaguardare l’istinto selvatico. Ciò che gli ha dato la sensazione di ripartire da zero, e di godere di un’altra vita, è l’esperienza della paternità: “L’idea di avere dei figli è quella che ti fa tornare a Mostar per rivederla con occhi di padre e non di figlio. Gli occhi di figlio sono molto deresponsabilizzati, occhi di chi può sempre scappare, di chi non ha ricatti dal mondo. L’occhio di padre perde questa condizione; io subisco tutta la debolezza a cui ti consegna la condizione di padre, sei letteralmente, e nel senso più alto del termine, schiavo dei tuoi figli, non di loro come persone fisiche, ma di loro come categoria e come futuro.”



Lunedì, 07 aprile 2008