Recensione
I Sindacati in Italia

di Nino Lanzetta

“L’altra casta… inchiesta sul sindacato” un libro di Stefano Livadiotti, giornalista dell’Espresso edizioni Bompiani


I sindacati in Italia sono l’altra faccia del potere, e non solo politico. Parlarne male per molti è, ancora oggi, come sparare sulla Croce Rossa. Il loro prestigio, però, per la prevalente difesa di interessi corporativi e di categorie privilegiate - vedi da ultimo l’Alitalia-, comincia a scemare e molti lavoratori se ne allontanano.
Anche se nessuno può disconoscere i meriti storici che hanno avuto in Italia per l’avanzamento della classe operaia, per il consolidamento della democrazia e per la creazione di uno stato sociale tra i più avanzati del mondo, oggi le critiche sul loro comportamento e sulla difesa delle loro rendite e privilegi, si fanno sempre più serrate. Essi, nei fatti e nell’immaginario collettivo, hanno finito per costituirsi in una vera e propria casta che si affianca a quella politica.
“L’altra casta… inchiesta sul sindacato” è intitolato, appunto, il libro di Stefano Livadiotti, giornalista dell’Espresso, che è uscito nello scorso mese di aprile per i tipi Bompiani, che, però, non ha avuto, finora, le fortune del famoso libro di Gian Antonio Stella “ La Casta” sui politici.
I sindacati, come i politici, non godono più della fiducia degli italiani: solo il 5,1% li ritiene ancora utili e il 62% ritengono che non facciano i loro interessi.
Il potere sindacale si esercita soprattutto attraverso i Patronati, un non senso storico in una democrazia moderna nella quale la Pubblica Amministrazione dovrebbe erogare servizi ai cittadini senza alcuna intermediazione, specie se pagata. Questi sono finanziati dallo Stato e costituiscono inutili carrozzoni clientelari che gestiscono una rendita di posizione immensa.
Sono circa ventimila i sindacalisti occupati a tempo pieno ed a stipendi fissi. Per il numero di personale i sindacati sono l’ottava azienda del Paese. Sono una gigantesca macchina da soldi; godono di innumerevoli prerogative e privilegi, esenzioni fiscali e i loro bilanci sono segreti e nessuna forza politica è riuscita ancora a renderli pubblici. Per colmo dell’ironia i sindacati sono gli unici datori di lavoro che possono licenziare anche senza giusta causa, in barba allo Statuto dei lavoratori che loro stessi hanno contribuito a far approvare e difendono con i denti.
Sono finanziati dallo Stato attraverso i Patronati ed i Caf e usufruiscono di innumerevoli distacchi sindacali. Applicano trattenute direttamente sulle buste paga e sulle pensioni incassandole direttamente da chi le effettua. Sono pagati dall’Inps a pratica: più pratiche più soldi, ingolfando l’Ente di pratiche inutili, e con trattenute sulla Cassa integrazione e sulla disoccupazione (nel solo 2006 l’Inps ha erogato 110 milioni alla CGIL, 70 alla Cisl e 18 alla Uil). Dal Fisco incassano, per i Caf, 15 euro per ogni dichiarazione. Ne fanno più di 12 milioni. Tutti i soldi pubblici sono esentasse.
I sindacati hanno un ingente patrimonio immobiliare, in parte pagato dallo stesso Stato, sul quale non ci pagano neanche l’ici.
Su circa ventimila operatori sindacali 2600 sono i distaccati dalle Amministrazioni pubbliche a tempo e a stipendio pieno. Poi ci sono i distacchi temporanei, quelli parziali e i permessi sindacali (anche per recarsi alla banca a prelevare lo stipendio), per un costo totale stimato in 800 milioni per i distacchi e 100 per i permessi. Ci sono, poi, le riunioni sindacali e le assemblee degli iscritti che costano circa altri 8 milioni di euro.
Secondo Bruno Manghi, capo del Centro studi fiorentino della Cisl “ In Italia ci sono 700.000 persone con un mandato sindacale a tutti i livelli: delegati, dirigenti, membri di Commissioni” Nessuno nel mondo laico ha questo potere ( Un milione di giornate lavorative all’anno, 155 milioni di euro al mese).
Nel Pubblico impiego non si muove foglia che il sindacato non voglia. Oltre il 90% dei dirigenti è iscritto o di gradimento dei sindacati o di nomina politica. E la scelta o la nomina non premia certo la professionalità! Non è facile contare il numero dei dipendenti pubblici in Italia: va dai 3.500.000 ai 4.000.000 : il 62,1 ogni mille abitanti rispetto al 39,3 della Germania. Senza i sindacati non è stato possibile fare finora nessuna riforma né favorire un reale svecchiamento. Perciò appare velleitaria la crociata del pur volenteroso ministro Brunetta, che lancia messaggi su falsi problemi. Il salario pubblico, di fatto, viene erogato a prescindere, senza alcun nesso con la professionalità e la produttività. Gli annessi e connessi sono, poi, tra i più fantasiosi.
Secondo uno studio dell’Associazione artigiani di Mestre, se l’Italia riducesse le spese per il personale della Pubblica Amministrazione, al livello attuale di quella tedesca, il nostro debito pubblico, grazie anche alla riduzione degli stipendi, scenderebbe - in rapporto al PIL - dal 106% del 2007 al 54% nel 2014. Esattamente la metà. Le retribuzioni del pubblico impiego sono aumentate dal 2001 al 2006 (sotto il governo Berlusconi) del 30%. Queste cifre, contestate dai sindacati, sono state poi confermate dalla Corte dei Conti. Il salario accessorio (che dovrebbe premiare la meritocrazia) è corrisposto in forma generalizzata. Le promozioni solo per anzianità e la mobilità è di fatto inesistente. Le promozioni generalizzate hanno fatto sì che i lavori esecutivi e quelli di più alto contenuto intellettuale siano svolti all’esterno mediante consulenze ed incarichi. Con ulteriore aggravio dei costi.
A chi volesse approfondire i temi trattati e conoscerne altri rimandiamo alla lettura dell’interessante opuscolo del Livadiotti, che merita la stessa fortuna di quello di Stella!


NINO LANZETTA



Giovedì, 11 settembre 2008