STATO E CHIESA/L’ITALIA DI 30 ANNI FA E I SUOI PROBLEMI APERTI
Divorzio

QUANDO LA PIRA SCRIVEVA A BERLINGUER


di Simonetta Fiori

I contatti segreti tra l’ex sindaco di Firenze e il leader del PCI, ma anche l’eterodossia dei vescovi: un saggio di Scirè.


Dal quotidiano la Repubblica del 06-12-2007 Pagina 37


«Magari vostra moglie vi lascerà per scappare con qualche ragazzina». Tra le infauste previsioni che funestarono la battaglia per il divorzio questa di Amintore Fanfani non fu la più catastrofista. Per Gabrio Lombardi, studioso di diritto romano, lo scioglimento del vincolo coniugale rappresentava "una variante dell’harem diluito nel tempo": pornografia, droga e omosessualità ne  sarebbero stati i naturali derivati. E dalle colonne del Corriere della Sera arrivavano le geremiadi di alcuni intransigenti moralisti: «Gli scrittori saranno perseguitati, gli intellettuali dispersi nelle galere e nei manicomi, e i confini inesorabilmente aperti ai carri armati sovietici». Nel 1974 — solo trent’anni fa — l’Italia si preparava allo storico referendum, che vedrà sconfitto il partito antidivorzista. Un documentato volume di Giambattista Scirè ripercorre quella stagione rivelando contatti segreti e inattese eterodossie delle gerarchie ecclesiali per larga parte rimossi o confinati in pubblicazioni poco diffuse (Il divorzio in Italia. Partiti, Chiesa, società civile dalla legge al referendum, Bruno Mondadori, pagg. 210, euro 19). Inaugurata nel l965, la discussione sul divorzio proseguì fino al 1970 con l’approvazione della legge in Parlamento, per chiudersi quattro anni più tardi nello scontro frontale tra favorevoli e contrari. Una storia del passato?

A rileggerla oggi, non appare tale. Le questioni messe in gioco in quella accalorata contesa sono rimaste tuttora aperte. Il rapporto tra Stato e Chiesa innanzitutto, ma anche le nuove tipologie di famiglia e il confronto tra fede religiosa e impegno politico. È di questi giorni l’aspra discussione a Roma sull’opportunità di istituire un registro delle unioni civili proprio nella capitale simbolo della cristianità («Una provocazione, se non un’offesa», ha liquidato Paola Binetti). Al Senato in commissione Giustizia è ripartita la legge sui Cus — i contratti di unione solidale eredi dei Dico — sostenuta da una maggioranza trasversale, ma anche avversata da un’opposizione composita che ha raccolto anche un voto del partito democratico. Nel dibattito pubblico ritornano argomenti spesi un tempo contro il divorzio, giudicato non rispettoso del sentimento religioso prevalente tra gli italiani (allo stesso modo Massimo D’Alema ha di recente liquidato il matrimonio tra gay, suscitando reazioni polemiche). Quel che colpisce — nel raffronto tra ieri e oggi — è il maggior fermento all’interno del mondo dei credenti e della stessa curia: una realtà più articolata dell’attuale, assai più libera rispetto ai diktat del Vaticano, meno  irregimentata dentro lo stesso episcopato, reso polifonico dalle voci dissonanti del cardinal Pellegrino, vescovo di Torino, o di monsignor Bartoletti, vescovo di Lucca e fautore del disimpegno della chiesa dalla politica italiana.

Tra i tratti di maggiore continuità è l’attenzione mostrata dalla sinistra, specie dal PCI, nel rapporto con il mondo cattolico e con la Chiesa. Un capitolo rimasto nell’ombra — ricostruito da Scirè, già autore di La democrazia alla prova. Cattolici e laici nell’Italia repubblicana degli anni Cinquanta e Sessanta (Carocci) — riguarda i contatti segreti intercorsi nel novembre del 1969 tra Giorgio La Pira, ex sindaco di Firenze e protagonista negli anni Cinquanta di un primo tentativo di dialogo dei cattolici con il mondo marxista, ed Enrico Berlinguer, allora vicesegretario del PCI. In Parlamento era già cominciata la discussione sulla legge Fortuna-Baslini, accompagnata da manifestazioni pubbliche molto vivaci. A fine settembre mentre dalla storica finestra dei palazzi vaticani Paolo VI impartiva la benedizione apostolica ai fedeli mettendoli in guardia dai demolitori della famiglia, in piazza Cavour una folla raccolta dai radicali gridava il suo sì al divorzio. La Chiesa mirava a impedire l’approvazione della legge con l’argomento che essa avrebbe comportato una grave violazione dell’articolo 34 del Concordato, nel quale si attribuiva ai soli tribunali ecclesiastici l’annullamento del vincolo matrimoniale sancito con rito religioso. A metà novembre un pronunciamento solenne della Cei riassumeva le ragioni naturali prima ancora che religiose dell’opposizione al divorzio, che in ottobre aveva già superato l’esame della Camera. Di lì a poco ci sarebbe stata la discussione in Senato, preceduta da un intenso lavorio di contatti riservati.

È in questo clima che La Pira spedisce una lettera a Berlinguer, nell’ambito di una consolidata abitudine epistolare. Nella missiva gli chiede esplicitamente l’astensione al Senato, e lo fa in nome della trojka fondativa del comunismo italiano. «Credimi», gli scrive il 21 novembre 1969, «il PCI, se si astenesse, compirebbe un "atto rivoluzionario": un atto che avrebbe certamente conseguenze incalcolabili sulla strategia storica e politica del nostro tempo. Se Togliatti fosse vivo, farebbe (penso) così (come per l’articolo 7); Gramsci (penso) farebbe così. Forse anche Lenin farebbe così». Non può il PCI votare una legge " socialdemocratica-liberale". «È cosa antiscientifica; è tipicamente borghese; "vecchia"; segno d’una civiltà tramontata!». La Pira concludeva il suo appello con l’invito a elaborare «un piano di diritto famigliare nuovo».

La proposta, secondo la ricostruzione di Sciré, non rimase senza effetti. «Al Senato otto divorzisti disertarono il campo nel segreto dell’urna, costringendo il fronte laico a trattare con la DC e a modificare in extremis la legge». Se certo non è dimostrabile che le defezioni appartenessero al PCI, è indubbio che a Botteghe Oscure si procedesse con prudenza. «In certi settori del partito c’è molta tepidità», lamentava Terracini. E Ingrao biasimava una diffusa "sordità".

Fino al settembre dell’anno successivo — il divorzio diventerà legge dello Stato il 1 dicembre del 1970 — La Pira continua a incalzare Berlinguer, nel tentativo di convincerlo ad ammorbidire la propria posizione sul divorzio. «Il PCI non può permettere che una legge così stupida e così eversiva della unità fondamentale del corpo sociale entri come un veleno intossicatore del nostro popolo: è una legge tipicamente "borghese" (della borghesia deteriore: quella dei ricchi e degli oppressori!). Un grande partito popolare come il vostro non può permettere che una ferita così grave sia inferta nel corpo del popolo italiano! Tu che sei una guida politica e un padre di famiglia esemplare puoi bene valutare queste cose. Sono certo che farai tutto il possibile perché questo terribile errore politico ed umano non sia commesso!». Il postscriptum non diverge dai richiami precedenti: «Togliatti, se fosse vivo!, direbbe le stesse cose». La legge fu approvata, ma anche nel prosieguo della discussione il PCI si mostrò vigile nel mantenere i rapporti con i credenti contrari al divorzio.

Non meno articolato si presenterà più tardi, nella campagna referendaria, il fronte cattolico, con alcuni alti prelati assai critici verso l’ala più intransigente della Chiesa. Anche grazie alle lettere inedite di Mario Gozzini, protagonista della Sinistra Indipendente, Scirè ricostruisce il ruolo "ribelle" di monsignor Pellegrino, secondo il quale sarebbe stato un gravissimo errore «negare la comunione in Cristo» a chi «per motivi di libertà di coscienza, di pace sociale e per valutazioni politiche contingenti» era contrario all’abrogazione della legge. E una prima bozza della Conferenza Episcopale, stesa da monsignor Bartoletti nel rispetto delle novità conciliari sull’autonomia del laicato cattolico, inizialmente fu approvata da Paolo VI con l’appoggio dei cardinali Lercaro e Pellegrino e dei vescovi Capovilla, Baldassarri e Bettazzi, mentre in un secondo momento fu giudicata inaccettabile e definitivamente respinta dal partito di Siri. Una spaccatura non irrilevante, questa all’interno dell’episcopato, su cui il vaticanista Giancarlo Zizola scrisse un documentato articolo per II Giorno. Ma il quotidiano lo censurò per i veti intrecciati di Chiesa e Democrazia Cristiana: il pezzo sarebbe uscito più tardi su Testimonianze, la rivista del dissenso fiorentina.

Il resto è storia nota. Diciannove milioni di italiani votarono contro l’abrogazione, ossia il 59,1 percento degli elettori. «Con stupore e dolore» il Pontefice accolse l’esito referendario. Per l’ortodossia ecclesiastica, e per il blocco conservatore rappresentato da Amintore Fanfani, fu una pagina nera. Per l’Italia dei diritti civili, una fondamentale vittoria. Ma questa, sì, sembra una storia lontana.



Giovedì, 13 dicembre 2007