Segnalazione Libraria
Il Dio di tutti

di Luigi Sartori edizioni la meridiana - Intervista e scritti inediti a cura di Luciano Tallarico


Da oggi in libreria un libro di Mons. Luigi Sartori. Una risposta al dialogo sull’ecumenismo di Papa Ratzingher.


Questo volume raccoglie preziosi testi sullo spirito conciliare, mai pubblicati prima. E una fondamentale intervista originale, densa come un testamento, in cui, accanto ai suoi temi essenziali, Luigi Sartori svolge con libertà la sua ultima profetica provocazione: la conoscenza di Dio è sempre più grande dei nomi che gli diamo. Un testo che esce a 2 mesi dalla morte del teologo e che rappresenta un contributo imporatnte al dialogo sull’ecumenismo oggi particolarmente minato da posizione, anche e soprattutto ai vertici della Chiesa, contraddittorie.
È difficile inserire Luigi Sartori nel panorama teologico contemporaneo. Attento alle nuove proposte e al tempo stesso libero da ogni schema, può comunque essere collocato nell’ambito della generale svolta antropologica segnata dal Concilio Vaticano II. Testimone autorevole della transizione teologica dal vecchio al nuovo, «il carisma di Sartori è quello del traghettatore che mantiene in costante contatto le due rive, senza nostalgiche chiusure in una o avventure sconsiderate nell’altra». E’ il ritratto delineato da Luciano Tallarico nel libro Il Dio di tutti (collana paginealtre, 200 pagine, 15 euro) che raccoglie un’intervista a Sartori e alcuni suoi scritti inediti: “Il Concilio come ‘novità di Dio’”, “Ciò che è vivo e ciò che è morto del Concilio”, “Autonomia della politica e unità della fede”, “Il dialogo ecumenico dopo l’11 settembre”, “Il Concilio e il dialogo con il mondo”.
Per Tallarico, che sta per conseguire il dottorato a Firenze proprio con una dissertazione sul tema della dottrina su Dio in Sartori, ci troviamo di fronte a un riformista e non a un rivoluzionario, che «privilegia la pazienza dei tempi lunghi alla schizofrenia dei capovolgimenti immediati, la conciliazione delle vie all’intolleranza integristica che spesso, anche nella chiesa, passa per fedeltà ai propri ideali. Più di ogni altra cosa è un uomo della fiducia, dunque un “cattolico” in senso pieno. La teologia italiana gli deve molto, sul piano della mentalità per averne assorbito in maniera quasi inconscia lo stile, ma anche su quello del metodo e dei contenuti per aver indicato e aperto strade che altri, a volte senza un esplicito riconoscimento, hanno potuto percorrere con più libertà».
Nato il 1° gennaio 1924 a Roana (Vicenza), figlio di un sacrestano e orfano dall’età di quindici anni, Sartori ha condiviso in maniera quasi connaturale, tempo e ambienti ecclesiali. Cresciuto e formatosi in due città, Padova e Roma, nella prima ha frequentato il seminario dal ’34 fino all’ordinazione nel 1946, nella seconda si è specializzato negli studi frequentando la Gregoriana (dal ’46 al ’50), dove ha conseguito una licenza in filosofia (1948) e il dottorato in teologia con una tesi su Blondel e il cristianesimo (1952). Gli anni romani, vissuti come ospite in una parrocchia del difficile quartiere di Primavalle, anziché in un collegio per studenti, si rivelano determinanti per il consolidamento di una struttura personale che in Sartori è inseparabile dal percorso teologico. In lui, spiega Tallarico, «il passaggio fra l’uomo e l’opera è impercettibile ed egli rivela in maniera singolare quella osmosi, non sempre facile da realizzare e da alcuni non auspicabile, fra ciò che si è e si vive e ciò che si studia o si insegna».
Riguardo alla metodologia, ciò che emerge è la circolarità ermeneutica: lo sforzo di ridecifrare formule e convinzioni teologiche seguendo le caratteristiche di un procedimento induttivo (e comunitario) che non dà mai per scontate le conclusioni ma che anzi si impegna nella ricerca, aprendosi di nuovo e con pazienza a orizzonti inediti. L’ecumenicità, la dialogicità, il pluralismo teologico e l’unità armonica, dice Tallarico, costituiscono il patrimonio metodologico della teologia sartoriana. «Chi ha sentito una conferenza di Sartori o si è trovato a dialogare con lui sa che qui si tocca un punto centrale, il tratto specifico di un carattere addestrato alla conversazione più che alla lezione, alla ricezione più che all’indottrinamento, con un vocabolario attento alla vita, mai lezioso o ricercato ma franco e naturale. Non si tratta di un’abdicazione nel livello della scientificità ma anzi di un contributo rilevante ad un suo aspetto specifico che è la comunicabilità teologica».
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Mercoledì, 18 luglio 2007