Segnalazione libraria
I conti in tasca alla Chiesa

di Curzio Maltese

Su "la Repubblica" sono stati pubblicati diversi articoli riguardanti la Chiesa Cattolica e il Vaticano, dei quali ho inviato quello di Maltese sullo IOR il 21 febbraio. Anche Monde Diplomatique si è occupato di Opus Dei (18 marzo).
Da molto tempo penso che invece di "chercher la femme" (e non sempre si tratta di donne, purtroppo), bisogna "chercher l’argent". I bilanci sembrano documenti aridi, ma nel caso del Vaticano e anche delle Diocesi sono un elemento essenziale di credibilità.
Di seguito un testo estratto dal libro "La questua" di Curzio Maltese.
JFPadova


I conti in tasca alla Chiesa
di Curzio Maltese
(estratto dall’introduzione del libro “La questua”, Feltrinelli)
da “La Repubblica”, 15 maggio 2008

In quasi trent’ anni di giornalismo, avevo felicemente ignorato il Vaticano e avrei continuato a farlo se non fosse stata la Chiesa cattolica a occuparsi molto, troppo, di me. E di altri cinquantotto milioni di connazionali. II papa e i vescovi intervengono nella vita pubblica italiana - perfino nel dettaglio delle singole leggi - molto più di quanto non faccia l’Unione europea, alla quale siamo vincolati. Per quanto mi riguarda, ho voluto restituire la premura. Da anni, i corrispondenti esteri a Roma mi ripetono la stessa cosa: «Voi giornalisti italiani siete capaci di scrivere poemi sull’ultima mezza calza della politica e ignorate l’influenza della Chiesa. Mentre per noi una notizia sul papa vale venti volte una sulla crisi di governo. Il Vaticano è troppo importante per lasciarlo ai vaticanisti». Ogni mattina saluto il mio vicino di casa, Udo Gumpel, della tv pubblica tedesca, che esce per andare alla sala stampa vaticana. Ormai è diventato un esperto di teologia ratzingeriana: «Avete San Pietro in casa e nell’archivio Rai non ho trovato un’inchiesta sul Vaticano, soltanto messe e interviste ai vescovi. Se scoppia uno scandalo, come la pedofilia, dovete comprare i documentari della Bbc». Ho toccato con mano la rimozione del problema quando ho cercato di documentarmi sui finanziamenti pubblici alla Chiesa cattolica: in quasi ottant’anni dal Concordato, non era mai stata fatta un’inchiesta sul tema.
Esistono naturalmente molte belle inchieste sulle finanze vaticane, quasi tutte però fra gli anni sessanta e la fine dei settanta. Dallo scandalo Ior-Ambrosiano l’attenzione si attenua fino a spegnersi. Negli articoli di Ernesto Rossi su Il Mondo ho trovato molte tracce utili e una riflessione della quale ho verificato la stringente attualità. Sul numero del 17 maggio 1960, Rossi scrive: «Quando si tratta della "roba" i monsignori del Vaticano hanno la pelle delicata come quella della principessina che non riuscì a chiudere occhio tutta la notte per il pisello che le avevano messo sotto sette materassi. L’Osservatore Romano ha incassato in silenzio la documentazione, da me portata per dimostrare che Pio XII è stato uno dei maggiori responsabili della Seconda guerra mondiale; ma ha reagito violentemente alla mia moderatissima osservazione che la politica reazionaria della Chiesa e la sua stretta alleanza con la Confindustria devono essere considerate anche un effetto dell’ingigantimento del patrimonio della Santa Sede e degli ordini religiosi che hanno avuto in pratica le clausole finanziarie contenute nei Patti Lateranensi, e una conseguenza degli investimenti massicci fatti dalla Santa Sede e dagli ordini religiosi in partecipazioni azionarie delle società elettriche e degli altri maggiori gruppi che sfruttano monopolisticamente il mercato nazionale. Tali affermazioni, scrive L’Osservatore Romano, "destano un sentimento di pena prima che di sdegno, infatti rivelano una mente chiusa alla comprensione di quanto trascende l’interesse materiale e contingente; incapace, dunque, di misurare la realtà che contempla con il metro del proprio squallore"». A distanza di quasi mezzo secolo, l’atteggiamento della Chiesa quando si toccala"roba" non è cambiato di una virgola.
Circa un anno fa, colpito dal volume di fuoco scatenato ogni giorno contro il governo Prodi dalle gerarchie ecclesiastiche, in un viavai di tonache sui telegiornali pubblici e privati, mi sono rivolto a un amico prete, cui mi legano stima e affetto. Uno che ha dedicato la vita alla lotta alla povertà, all’ignoranza e alla mafia, come io non sarei mai capace di fare. La risposta, nel tono spiccio del personaggio, è stata: «I vescovi fanno politica. Non vogliono il centrosinistra e si danno da fare per far cadere il governo. Vedrai che alla fine la vera spallata a Prodi la daranno loro». Con un candore ormai perduto, avevo allora chiesto la ragione di tanto odio politico nei confronti del cattolicissimo Romano Prodi e di un centrosinistra assai timido sui temi della laicità, certo più vicino del berlusconismo agli ideali cristiani di solidarietà. «Nessun odio, semmai convenienza», è stata la risposta. «Il fatto è che da quegli altri i vescovi ottengono molto di più».
Mi sono ricordato di quelle parole nelle convulse settimane che hanno preceduto la caduta del governo Prodi. Travolto da una"spallata" finale dei vescovi. L’episodio più noto è la mancata visita del papa all’Università La Sapienza di Roma. Un caso da manuale; di più: da antologia storica del machiavellismo, di come si fabbrica un caso politico.
(...) In Italia il rapporto fra Stato e Chiesa non è di reciprocità. La Chiesa può intervenire quando vuole negli affari interni italiani, mentre il contrario è vietato dall’articolo 11 del Concordato: «Gli enti centrali della Chiesa sono esenti da ogni ingerenza da parte dello Stato italiano». Le gerarchie ecclesiastiche, dall’alto di un magistero morale, possono dunque giudicare criminali le leggi dello Stato, criticare la pressione fiscale, mettere sotto accusa una Regione o un Comune per un’apertura sui diritti degli omosessuali, e allo stesso tempo invocare contro le eventuali (in verità, scarse) reazioni la protezione del Trattato. Il Vaticano è uno Stato estero che vive grazie all’Italia, ma ha il diritto di sputare nel piatto in cui mangia. Se davvero le questioni etiche - il divorzio, l’aborto, la procreazione assistita, le coppie di fatto - fossero così centrali e dunque non negoziabili, la Chiesa non dovrebbe più accettare di ricevere finanziamenti e privilegi fiscali da parte di coloro - Stato ed enti locali - che giudica nemici dei valori cristiani. Al contrario, non vi ha mai rinunciato. Anzi, ne chiede e ne ottiene sempre di più.
Mi sono dilungato sul caso Sapienza perché anche per me, come per Clemente Mastella, la folla di San Pietro ha rappresentato, nel mio piccolo, «un’illuminazione». Decisiva per la nascita di questo libro. La prima domanda a cui si vuol rispondere è semplice: perché negli ultimi anni le gerarchie cattoliche hanno deciso di appoggiare il centrodestra? La scelta è evidente e testimoniata anche dai flussi elettorali. I cattolici praticanti in Italia sono calcolati in un terzo circa della popolazione, quanti cioè dichiarano di andare a messa (in realtà, quelli che ci vanno davvero sono ancora meno) e di essere influenzati nel voto dall’opinione del papa e dei vescovi. La percentuale coincide con il numero di italiani che dona l’otto per mille alla Chiesa cattolica. Questo elettorato cattolico, dalla comparsa del maggioritario nel 1994, si era sempre diviso a metà nel voto fra destra e sinistra. Ma nel 2006 si è spostato in maniera massiccia verso il centrodestra: due terzi dei consensi contro un terzo andato alle liste dell’Unione. La spiegazione ufficiale è la prevalenza di alcuni temi etici nella polemica elettorale, per esempio i Dico, le coppie di fatto, il presunto attacco ai valori della famiglia da parte del centrosinistra. Ma le gerarchie cattoliche usano i temi etici per mascherare importanti interessi economici. La vera differenza fra un governo di centrodestra e uno di centrosinistra non sta tanto nella difesa dei valori cattolici o laici - assai timida nel secondo caso, almeno rispetto agli altri paesi europei.
La differenza reale sta nel diverso atteggiamento nei confronti della perenne "questua" di danaro pubblico da parte del Vaticano. Si tratta di un do ut des fra due caste, quella dei politici e quella ecclesiastica, che passa sulla testa dei cittadini. Gli italiani spendono per mantenere la Chiesa più di quanto spendano per mantenere l’odiato ceto politico. Ma non lo sanno.
(...) Da laico riconosco e rispetto il diritto dei cattolici di intervenire e pronunciarsi come e quando vogliono sui temi etici. Ma sono anche consapevole che in questo paese la libertà di un laico è considerata inferiore a quella di un cattolico. Un laico non può offendere una persona sulla base di un pregiudizio personale, né può intromettersi nella vita privata o giudicare le scelte sessuali altrui, tanto meno boicottare le leggi dello Stato, o accusare il prossimo di reati inesistenti. Per esempio, sostenere che la Chiesa cattolica "ruba" il danaro pubblico. Un cattolico invece può offendere qualcuno perché è ebreo, o musulmano, o omosessuale, invitare i medici a boicottare la legge sull’aborto e bollare come "assassine" le donne che ricorrono a una pratica legale sancita dalle leggi dello Stato e approvata da un referendum popolare.



Venerdì, 16 maggio 2008