A proposito della proposta di Mons. Ravasi
“Atrio dei gentili” o “vangelo per i non circoncisi”?

di Alberto Simoni

I - “La moltitudine di coloro
che eran venuti alla fede” (Atti 4,32)
È impressionante la fortuna che sta accompagnando la nuova formula di successo “Atrio dei gentili”, rilanciata da Benedetto XVI il 21 dicembre 2009. Che la cosa possa dare adito a qualche perplessità lo avevo già segnalato su Koinonia di febbraio (Il ritorno dei “gentili”), adducendone anche qualche ragione. Ma visto che dopo Alberto Melloni (Corriere della sera, 5 gennaio), ora scendono in campo grandi firme - E. Bianchi, G. Ravasi, B.Forte – il rischio di creare nuove formule di comodo aumenta, e le perplessità non diminuiscono.
Viene da riprendere un pensiero di don Armando Matteo, con cui ci siamo confrontati e interrogati sulla “prima generazione incredula” nell’incontro di Koinonia del 28 febbraio, e quindi sulla inedita situazione antropologica di un uomo non più “capax Dei”: diceva appunto don Armando che siamo vittime di una inesauribile “strategia del cambiamento” di programmi e di formule, mentre ci vorrebbe un “cambiamento di strategia” per entrare nel vivo delle situazioni. Anche in quelle della incredulità o della non fede, che attraversano anche la chiesa. 
E qui si ripresenta la “questione di metodo” o di impostazione teologica nel rapporto chiesa-mondo, fede-storia e si ripropone la scelta tra i due versanti messi in luce nel Vaticano II quando parla di chiesa “ad intra” e “ad extra”: o una chiesa al centro del mondo, o il mondo all’ordine del giorno della chiesa. È fuori dubbio che l’immagine dell’”atrio dei gentili” è in linea con tutto l’insieme del magistero di Benedetto XVI in senso centripeto, verso una chiesa regista della storia, fulcro dell’antropologia, della ragione, dell’etica, della cultura e quindi, anche a non volere, di una certa politica!
Dove però il dialogo è asimmetrico e portato dal piano storico (come poteva essere negli anni passati) a quello culturale. Prova ne sia la soppressione del “Segretariato per i non credenti”, trasformato in “Pontificio consiglio della cultura”, che ora si farebbe promotore di una Fondazione denominata appunto “Atrio (o cortile) dei Gentili” come istituzionalizzazione dell’incontro credenti-atei o agnostici, in analogia a quanto avviene nel dialogo inter-religioso.
Enzo Bianchi si fa interprete di questa linea – non so se solo come chiarificazione o anche con convinzione – quando dice: “Credo che dobbiamo tener conto di quanto Benedetto XVI afferma, ovvero l’esigenza di purificare la ragione. C’è bisogno di pazienza e audacia per mettere la fede al vaglio della ragione e saper rispondere a chi chiede le ragioni del nostro credere. Non in nome di un razionalismo stretto ma per il fatto che il logos, riflesso del Logos divino, accomuna gli uomini. Questo è il primo sforzo da fare, ma ci crea difficoltà: dobbiamo parlare un linguaggio antropologico, non teologico e dogmatico, per far capire a tutti che quello cristiano è un cammino di umanizzazione. Per far comprendere che tra fede e antropologia non c’è antagonismo, bensì che il cristianesimo è a servizio dell’essere umano” (Avvenire, 26 febbraio).
Gianfranco Ravasi, promotore della Fondazione, ci dice quali sono gli obiettivi di questa iniziativa:«Primo, creare una rete di persone agnostiche o atee che accettino il dialogo e entrino come membri nella Fondazione e quindi del nostro dicastero. Inoltre, vogliamo avviare contatti con organizzazioni atee per avviare un confronto (non certo con l’Uaar italiana, che è folcloristica). Terzo, studiare lo spazio della spiritualità dei senza Dio su cui aveva già indagato la Cattedra dei non credenti del cardinale Martini a Milano. Infine, sviluppare i temi del rapporto tra religione, società, pace e natura. Vorremmo, con questa iniziativa, aiutare tutti ad uscire da una concezione povera del credere, far capire che la teologia ha dignità scientifica e statuto epistemologico. La Fondazione vorrebbe organizzare ogni anno un grande evento per affrontare, di volta in volta, uno di questi temi»(Avvenire, 25 febbraio).
Le considerazioni potrebbero essere tante, ma quello che conta è un discernimento che ci aiuti a non farsi debitori di formule, a saper distinguere tra “Atrio dei gentili” e “Vangelo per i non circoncisi”, tra nuovo Aeropago portato dentro il Tempio e il Vangelo portato fuori da spazi sacri. È ciò che dopo Atene fa dire a Paolo: “Noi predichiamo Cristo crocifisso, scandalo per i Giudei, stoltezza per i pagani” (1Corinzi 1,23).
Per cogliere quale sia questa differenza basta forse chiedersi perché Benedetto XVI pensa che “la Chiesa dovrebbe anche oggi aprire una sorta di ‘cortile dei gentili’”: “Anche le persone che si ritengono agnostiche o atee devono stare a cuore a noi come credenti. Quando parliamo di una nuova evangelizzazione, queste persone forse si spaventano. Non vogliono vedere se stesse come oggetto di missione, né rinunciare alla loro libertà di pensiero e di volontà. Ma la questione circa Dio rimane tuttavia presente pure per loro, anche se non possono credere al carattere concreto della sua attenzione per noi. A Parigi ho parlato della ricerca di Dio come del motivo fondamentale dal quale è nato il monachesimo occidentale e, con esso, la cultura occidentale. Come primo passo dell’evangelizzazione dobbiamo cercare di tenere desta tale ricerca; dobbiamo preoccuparci che l’uomo non accantoni la questione su Dio come questione essenziale della sua esistenza. Preoccuparci perché egli accetti tale questione e la nostalgia che in essa si nasconde”.
Niente da eccepire, ma nella consapevolezza che qui si propone un modello di chiesa e di evangelizzazione che non è e non può essere l’unico: altro infatti è una chiesa che pensa di veicolare il vangelo attraverso una cultura definita e strumentale (quasi nuova circoncisione) e altro una chiesa che lo fa risuonare nel cuore dell’uomo, ringraziando “Dio continuamente, perché, avendo ricevuto da noi la parola divina della predicazione, l'avete accolta non quale parola di uomini, ma, come è veramente, quale parola di Dio, che opera in voi che credete” (1Tessalonicesi 2,13). Appunto una “Chiesa dei gentili” che propone un “vangelo per i non circoncisi” (cfr. Gal 2,7)
Senza riaprire cortili interni, ma aprendosi davvero al mondo degli uomini, come ci ha insegnato a fare col suo magistero e con la sua tradizione!
Alberto B.Simoni
 
”ATRIO DEI GENTILI”: COSA ERA
 
Per Atrio dei Gentili si intende quello spazio che si trovava immediatamente oltre i portici del Tempio di Gerusalemme accessibile anche ai pagani, occupato da cambiavalute, venditori di animali per i sacrifici, visitatori (Gv. 2,14; Mc. 11,15), maestri della legge (Gv. 18,19); tutti gli stranieri che giungevano a Gerusalemme non mancavano di visitare il Tempio, di cui il Talmud scriverà: “Colui che non ha visto il Tempio di Erode in vita sua, non ha mai visto un edificio maestoso”.
Al centro dell’Atrio dei Gentili, si ergeva un luogo sopraelevato, separato dal resto con una balaustra di pietra che segnava il limite oltre il quale pagani e incirconcisi non potevano avanzare. Numerose iscrizioni in greco e latino ammonivano gli stranieri, come quella ritrovata nel 1871, che recita: “Nessuno straniero metta piede entro la balaustrata che sta attorno al Tempio e nel recinto. Colui che vi fosse sorpreso, sarà la causa per se stesso della morte che ne seguirà”.

Articolo tratto da:

FORUM (192 3 marzo 2010) Koinonia

http://www.koinonia-online.it

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Mercoledì 03 Marzo,2010 Ore: 16:53