Controcorrente
Non cerchiamo colpevoli se vogliamo la pace.

di Gloria Capuano

Carrellata sul razzismo, l’immigrazione, l’energia atomica, la libertà della scienza.


Capisco non capire ciò che è rigorosamente specialistico, ma non capire quel che è o si vuole che sia alla portata di tutti non mi pare accettabile. Sto parlando di me non di altri, e mi domando se è per questo che evito di cercare colpevoli o se invece rispondo a precise motivazioni.
L’unica, per spiegarsi, è ricorrere a qualche esempio tra tanti, apparentemente tra di essi estranei.

Il razzismo, tanto per iniziare da una assai sofferta attualità per via della esorbitante immigrazione.
Sembra semplice la comprensione di questo termine, ebbene attraverso l’uso che se ne fa correntemente a mezza strada tra il luogo comune e l’informazione io non ne capisco più il senso. Per questo difficilmente imputo di razzismo chicchessia salvo nelle grandi patologie politico - sociali.
Per inciso richiamo l’attenzione sul sospetto che il luogo comune se strumentale e/o dannoso - o strumentale lo è sempre? - sia frutto quindi di una faziosa o subdola informazione.
Dicevamo dunque…poniamo i Curdi, essi si sentono soprattutto Curdi anche se divisi in quattro spicchi di territorio appartenenti a diverse nazioni, e combattono per questa loro identità, che cosa sono, razzisti?
E i Romeni che prendono categoriche distanze dai Rom - non so se solo da quelli Romeni - sono forse razzisti?
E gli Italiani esasperati da una criminalità che aggrava quella nostrana, surplus quindi di cui davvero non sentivano il bisogno, che vorrebbero rimandare a casa loro i criminali reali e quelli potenziali, sono razzisti?
(La vogliamo smettere di usare con troppa disinvoltura questo sgradevole appellativo? Ci è proprio indispensabile colpevolizzare qualcuno o una categoria?)

L’immigrazione
Dopo il delitto efferato che sappiamo, i Romeni sono stati sfrattati di colpo dal luogo dove è avvenuto il delitto. Perlomeno l’informazione ha impostato così la questione, cioè il rapporto di causa, il delitto, e l’effetto immediato, lo sgombero. Tra le righe mi viene fatto di pensare che se invece di una signora fosse stata uccisa una prostituta forse non sarebbe accaduto nulla, tranne la routine delle indagini per appurare le responsabilità del bestiale evento.
Recente il servizio tv L’Infedele (La 7 tv del 7/11)che sulla questione ha offerto una visuale ben diversa del fatto soprattutto grazie alle spiegazioni dell’onorevole Frattini addentro le decisioni della Comunità Europea. Frattini ha spiegato che in quel consesso si era finalmente giunti a concordare le necessarie complesse cautele di tutela degli immigrati in Europa in uno con la tutela dei paesi ospitanti. Quindi regole precise per tutti e che solo in caso di mancata ottemperanza a tali regole, anche i non criminali non autosufficienti potranno essere espulsi dai vari Paesi d’Europa. (Poi però tali conclusioni pare siano state di nuovo messe in discussione).
La trasmissione avrebbe dovuto avere inizio proprio da una puntuale disamina di tali regole, tirate in campo purtroppo quasi alla fine del servizio, così che i necessari chiarimenti in tema di espulsione degli irregolari già espressi troppo in fretta non hanno potuto avere luogo. Tuttavia dalle parole di Frattini si è intravista una diversa interpretazione dello sgombero subitaneo dei Romeni dalla baraccopoli di Tor di Quinto.
Forse si è trattato “solo” di una anticipazione di regole eguali per tutti e non come subitaneo straordinario, sgradevole sotto tanti punti di vista, evento.
Quel che non è emerso dal già monco dibattito, è il dato che a me pare fondamentale e cioè che l’immigrazione in genere (quindi compresi gli extracomunitari) avrebbe dovuto sin dall’inizio essere programmata in ragione della capacità di assorbimento da parte del Paese ospitante ( ben prima di vagliare la disponibilità ad integrarsi dei soggetti ospitati) e che ora il tentativo di rimediare a un danno oramai da tempo in atto è di assai difficile soluzione. Danno ancora di più difficilmente contenibile a causa dell’allargamento dell’Europa con conseguente libera circolazione di tutti gli Europei.
( Segnalo ancora una volta l’errore di paragonare l’attuale immigrazione con l’emigrazione degli Italiani in USA o in Australia o in Canada. Si trattava di gente che andava in territori sconfinati, in Paesi tutti da costruire, con la sicurezza di trovare un lavoro sia pure con tanto sacrificio specie iniziale.)

Un punto cruciale di massima frizione - lo sappiamo - è quello dell’alloggio che si vorrebbe rendere disponibile per l’immigrato (solo quello integrato o tutti?). Mi chiedo allora se giova o non ha importanza puntualizzare quanto è arcinoto e cioè che il problema della casa è il primo problema degli Italiani? Si ha un’idea di quanto costi in programmazione di vita alle giovani coppie di Italiani l’inaccessibilità di una casa? Quanti potenziali matrimoni vanno deserti o vanno in crisi per mancanza di alloggi economicamente accessibili?
Allora tutto questo che cosa ha da vedere con l’essere o il non essere razzisti?
Come poi sia possibile capire il criterio con il quale si ordinano demolizioni delle baraccopoli, senza alcuna indicazione di dove gli sfrattati sia loro consentito di recarsi per stare, non so.
Non sarebbe opportuno chiarire che l’Italia non è più in grado di offrire a nuovi afflussi di persone quanto non è in grado di offrire agli stessi connazionali, e cioè oltre l’alloggio ora anche il lavoro? Dunque a che serve ripetere con monotonia che se non ci fossero immigrati, in specie Romeni, in Italia si paralizzerebbero tante imprese e in special modo l’edilizia?
Anche l’auspicio ripetuto anch’esso con assillante monotonia che l’Italia non investe in ricerca e che il Paese ha necessità di cervelli cioè di persone altamente specializzate mi pare alquanto sibillino poi che se guardi il mercato del lavoro trovi che il lavoro forse ancora disponibile è quello manuale quanto mai tradizionale, muratori pittori fabbri idraulici elettricisti, fornai, giardinieri, stagionali per le raccolte agricole, autisti, camerieri, cuochi, domestici, badanti, infermieri e via di seguito. Mentre per gli Italiani più scolarizzati o laureati e altamente specializzati non c’è che la disoccupazione o l’emigrazione o il precariato (ma quest’ultimo è un argomento a parte che rientra in un disegno assai critico d’economia, non so se sotto particolari profili mondiale o solo occidentale, nel quale il precariato ci salva da molti disoccupati in più).

C’è chi dice che il grave malessere occupazionale attuale dipenderebbe da una troppo veloce globalizzazione però non spiega - o non ha l’opportunità per spiegarlo - se questa responsabilità sia da imputare alla grande finanza e che da essa per ricaduta verrebbe compromessa l’occupazione (appunto, ma quale?).
Allora si torna, almeno io, alle aste prima dell’alfabeto sempre in tema di cose da capire e di eventuali colpe da attribuire.
Che cosa è che dobbiamo sempre di più globalizzare, la più avanzata tecnologia o un ritorno all’artigianato e ai lavori che stanno alla base della vita quotidiana delle diverse culture?
La gente ha bisogno di tecnologia avanzata o viceversa di tutte quelle utilità indispensabili per la vita giorno per giorno?
Non è tempo di disgiungere la tecnologia del superfluo o del dannoso dalla tecnologia umanitaria? Ma qual è la mole di lavoro offerto proprio dal superfluo e dal dannoso?

Né mi pare spiegato abbastanza che da questa troppo veloce globalizzazione deriverebbe anche il perdurare della fame nel mondo (sempre esistita, ma questa non è una giustificazione), né è spiegato se è con la più esasperata tecnologia che sarebbe possibile debellare questa fame o se invece è proprio la tecnologia avanzata a far dilatare i bisogni dei più abbienti, declassare le classi medie e relegare definitivamente nella povertà i già poveri.
C’è chi la pensa così e io l’ammiro ma con perplessità. Con perplessità perché non hanno dubbi e a me sembra che non li abbiano non tanto perché sanno dare convincenti risposte, ma perché si dicono in grado di additare con precisione i colpevoli,

Ecco, proprio il dato della certezza di un colpevole mi rende ancora più perplessa.
Voglio dire, siamo davvero certi che si tratti di colpa non aver calibrato velocità dei cambiamenti in uno con quella della globalizzazione secondo i diversi livelli di vita dell’intero mondo, o che invece si tratti di meccanismi difficilmente pilotabili che s’innescano a valanga? Come dare per certo che altri (e chi?) avrebbe fatto meglio?
E’ lecito caricare non solo di responsabilità ma di responsabilità colpevole, quindi consapevole, una molteplicità di individui diversi diversi tra di loro per mentalità preparazione e senso morale ( oltre che per razza) solo perché appartenenti a un’area geopolitica “privilegiata” perché trainante tutto il resto del mondo?
Come non supporre che se fosse in loro potere tenere nel modo giusto le redini del cosiddetto progresso certamente inizierebbero con il mettere riparo alle gravi sacche di povertà del loro stesso Paese?
Visto che queste sacche di povertà persistono è sufficiente dedurre che si tratterebbe di un Paese egemone decisamente cinico che pur di mantenere la sua egemonia sacrifica i suoi stessi figli?
Come non dirsi e valutare e dimostrare - lo ripeto - che cosa altro altri avrebbero o hanno dimostrato di saper offrire al mondo in alternativa, oltre ai modelli di pura imitazione sfrenatamente competitiva (e con successo soprattutto perché privi di regole) da una parte o uno stolido terrorismo foraggiato a petrodollari dall’altra?
Chi e come ci può chiarire tutto questo, sballottati come siamo tra il nostro particulare nelle condizioni precarie del contesto che ci appartiene, e quel disegno mondiale che la società globale mi sembra subire anzi che pilotare?
Ma soprattutto, a che serve cercare colpevoli se non a veicolare odio e mobilitare o formare “sicari” pronti a tutto, parte in osservanza a storiche tradizioni proprie dei governi anche democratici e parte alle ragioni opposte del ben più abietto terrorismo?

A me pare che per tutti quelli che operano per la pace il primo passo da fare sia quello di non creare capri espiatori a torto o a ragione
, su cui indirizzare e scagliare con violenza le frustrazioni popolari, la fabbrica dell’odio per intenderci, ma piuttosto cercare idee illuminanti per porre rimedio prima di tutto alla piaga dell’estremo bisogno per poi affrontare quella di un equilibrato bilanciamento tra il cosiddetto progresso e un ragionevole benessere adeguato alle diverse civiltà.

Per muoversi in questa direzione mi appare tassativa la necessità di rivedere la Storia non secondo la sequela di fatti messi in atto dalla volontà egemone di ogni civiltà a turno, ma secondo una analisi del dipanarsi delle diverse culture, per coglierne il livello di elaborazione coscienziale, nelle diverse epoche ancora inconsapevoli.
Passo quindi a un altro esempio anch’esso attuale, solo in apparenza indirettamente e collateralmente calzante, sempre in tema di comprensione e di colpevolizzazione.

L’energia atomica
Il dibattito sull’energia atomica anch’esso risponde a una sequenza di fatti e di comportamenti che ritengo privi della necessaria conoscenza delle idee e dei fatti che li hanno preceduti. Chi come e perché ingenera questa sorta di frattura tra i comportamenti che guidano le scelte attuali e la relativa necessaria consapevolezza?

( Per seguirmi si tenga presente il concetto dell’unitarietà della cultura umana artificiosamente divisa in settori diversi. E’ solo in questo olismo culturale che si evidenzia la grande sfida del destino dell’Uomo. Solo se tutto ciò che va sotto i termini di progresso e di evoluzione potrà essere vagliato olisticamente senza eccezioni né interruzioni temporali, potremmo forse indirizzare “giustamente” la bussola del futuro.)
Non si può parlare di energia atomica senza accennare prima alla libertà della scienza e senza farsi un idea precisa su di essa.

Libertà della Scienza (l’energia atomica deriva da una libera scelta della scienza?)
Sembra un assioma scontato che la scienza debba essere libera, mentre invece è un concetto quanto mai sofferto e ambiguo.
Si guardi nella Storia dei popoli quanto la scienza sia stata veramente libera e non al servizio della Ragion di Stato, e quanto e come e da chi sia libera oggi.

Inciso utile alla comprensione di questa sommaria analisi: oggi più che mai, almeno io la penso così, la Scienza non dovrebbe essere libera ma neppure dipendente dai Governi e tanto meno alla mercé di ideologhi paranoici o di incoscienti ricercatori.
Dovrebbe essere autonomamente finalizzata al bene comune.
Ma sul “come” sia possibile trovare un accordo sul significato di bene comune e sul come sia possibile realizzarlo è il rompicapo dei più impegnati.

Da tanti anni sogno e mi dico che gli scienziati dovrebbero lavorare insieme fuori quindi dai loro confini nazionalistici, liberi tra di loro ma in continuo confronto d’intenti.
Auspico una ricerca univoca per una tutela globale che perciò svuoti i governi e i popoli della necessità di sempre più elaborati armamenti.
Come si vede un’utopia che riguarda una sorta di tassativa rinuncia a priorità soprattutto di natura politica e piuttosto saggiamente attenta a un uso umanitario dell’ economia.

“Il cittadino e ancora di più chi rivendica il diritto alla Pace come fa a non prospettarsi una meta di questa fatta? Come fa a non dirsi che non abbiamo bisogno di colpevoli da combattere e da annientare ma di fiducia e collaborazione tra i popoli e tra i Capi?
Certo si tratta di un’utopia, ma la Pace E’ una utopia.
E’ una utopia perché se l’analisi è facile, se il prospettarsi una meta è facile, ripeto, non è affatto facile il come realizzarla.
La fiducia non s’induce dall’oggi al domani come vorrebbe il pacifismo protestatario, ma rappresenta il fine di un lungo tragitto da percorrere tutti insieme.
Ma per procedere tutti insieme è urgente una diversa comunicazione in altro modo e con altro linguaggio globalizzata. Questa comunicazione ha come scopo principale quello di strappare i potenziali sicari dalle mani dei mandanti.
Penso appaia chiaro a quanto di enorme e complesso preluda questo proposito.

Le centrali atomiche.

E’ vero, sono un derivato delle ricerche sulla bomba atomica ma rappresenta se non la norma una notevole storica dipendenza del progresso della società civile dalle innovazioni belliche, così come lo è infatti da tempo appunto una delle terapie contro il cancro o ad esempio lo sono i grandi avanzamenti nella chirurgia grazie agli eventi bellici, o dell’anestesia grazie all’uso dei gas nelle guerre d’Africa.
Troppe poche parole dunque per una assai complessa e ambigua visione di quel che viene comunemente detto progresso, sempre con l’umanità nel ruolo di cavie.

Mi pare pertinente e doverosa, ora, la seguente fuggevole apparente digressione: ma il cancro non avrebbe potuto essere debellato attraverso altro tipo di ricerca?
Penso di sì, ma è un concetto difficile da spiegare o da far accettare essendo il mondo diviso tra i sostenitori della medicina detta allopatica e quelli delle altre medicine di diverse culture e tradizioni. Comunque ci provo.
L’intero portato scientifico ufficiale non costituisce la prova del nove di una verità insostituibile di tutto quello che in natura era tassativamente ed esclusivamente da scoprire o identificare o replicare secondo i nostri parametri formatisi nel tempo.
Ritengo che la natura, l’universo cognito e non cognito, siano di una inesauribile complessità e che per i ricercatori le porte di accesso alla cosiddetta scoperta e derivate “invenzioni” siano infinite e che tutte avrebbero potuto offrire risultati da sistemizzare sviluppare e utilizzare con risultati migliori o peggiori. (Carlo Rubbia ha usato l’immagine della porta che una volta aperta ne mostra via via molte altre da aprire fino all’ultima prevedibile, quella irraggiungibile impenetrabile del mistero.)
E’ importante quindi quanto ovvio precisare che normalmente la ricerca si svolge seguendo il percorso intrapreso dall’apertura di una qualsiasi tra quelle ora specificatamente mirate ora del tutto casuali porte, poiché trova ovunque abbondanza di segnali o stimoli o interrogativi su cui lavorare scientificamente.
Su questa abbondanza si è costruito una messe enorme di collegamenti e di sviluppi e poi di prodotti, la cui attendibilità è suffragata dalla sperimentazione, cioè dalla riproduzione dello stesso fenomeno allo stesso modo e con gli stessi risultati.
Ebbene tutto questo costituisce la Scienza ufficiale, quella sulla quale è giocoforza lavorare non esistendo eguale mole di lavoro in altro tipo di ricerca almeno sul nostro pianeta che non sia stata ufficializzata.
Con ciò si vuole dire che è vero, la scienza ufficiale è ineludibile, ma non vuole anche dire che rappresenti l’unica risorsa dell’intelligenza umana, non tanto per l’altrettanto inesauribile genialità dell’Uomo ( genialità nella quale personalmente fino ad oggi non mi riesce di credere) ma, ripeto, per la misteriosa e a volte implacabile “ricchezza” insita nell’Universo.

Ecco perciò che la locuzione “libertà della scienza” diventa ancora più criptica.
Perché nei fatti siamo quasi costretti a lavorare su i dati a nostra disposizione, dati spesso anche di grande utilità e salvezza per l’uomo. La realtà dunque c’impone regole e tragitti difficilmente sostituibili in una rincorsa anche appassionante tra il “nuovo” o quello che a noi appare nuovo, e i suoi effetti ora benefici ora distruttivi e relative applicazioni e ricerca spasmodica dei rimedi.
Il filone della ricerca nucleare ne è dunque un esempio prorompente, che ci piaccia o non.
(Ma del resto e non tanto tra le righe, come ignorare la sorte terribile di tutti gli uomini che lavorano nelle miniere? Perché l’informazione e l’opinione pubblica non insorgono contro queste stragi come se esse costituissero “inconvenienti” abituali e perciò accettati, mentre contro le centrali atomiche ci si è mobilitati in massa? )
Anche io sarei stata contraria all’energia atomica ma solo a patto che almeno tutta l’Europa avesse aderito al suo bando.
Che cosa devo pensare dei politici e anche dei cittadini che hanno orchestrato la chiusura delle centrali, con una certa Europa che intorno a noi le sfrutta a pieno regime?
Non è mancanza di coerenza quella degli ambientalisti che nel pagare una bolletta esorbitante vorrebbero farci credere di non essere consapevoli di pagare l’energia atomica fornita da paesi viciniori?
Ecco ancora che i fatti e certi comportamenti sono lontanissimi dalle idee e dalle scelte che li hanno indotti.
Poiché la politica del futuro sarà un ininterrotto braccio di ferro tra la tecnoscienza e l’etica, quel che mi pare di dover dire con forza è la necessità di lavorare di prevenzione oggi più che mai, specie appunto nella ricerca scientifica, aprendo solo le porte giuste. Ma le sappiamo scelte già di per sé ostiche e quanto mai controverse (cui sono da aggiungere le rivalità professionali), ancora oggi purtroppo soggette all’ insidia dei conflitti egemonici e dei grandi interessi consumistici, e infine strattonate negli ambiti nazionali dalle litigiosità tra le diverse anime o interessi politici.
Dovrebbero essere per primi gli scienziati, per cominciare, a depurarsi dalla vanità, a trovare un comune accordo nel mettersi esclusivamente a servizio dei popoli, e a darsi regole di prudenza soprattutto negli orientamenti, cioè nella scelta di quelle sopra menzionate porte. Tutto questo per evitare repliche del tipo della ricerca atomica che è stata notoriamente un frutto di un albero velenoso quello dello scontro tra èlite politiche e culturali per ragioni di predominio, ragioni da sempre indissolubili dal concetto di difesa dagli intenti di predominio altrui.
In siffatto clima la scelta del cittadino contro l’energia atomica non poteva e non può che essere illusoria, quanto per forza di cose troppo tardiva. Per contrastare questo forzato sistema di disinformazione che porta a decisionalità fraintese non vedo altra via d’uscita, ripeto, che la costruzione di un clima diverso, quello della fiducia e della finalizzazione umanitaria d’ogni tipo di progresso. Si tratta di un coinvolgimento totale.

Quest’ultima asserzione spiega anche perché ancora oggi non credo alla genialità umana. Finché il progresso andrà avanti così, a me sembra quasi alla cieca o per filoni preferenziali ( c’è chi muore di fame e chi si prolunga incredibilmente la vita grazie alla sempre più avanzata ricerca scientifica) con tutto il virtuosismo intellettuale che sappiamo, e al contempo continuiamo a cercare colpevoli e quindi nemici da combattere, sarà inevitabile saccheggiare la ricerca per dotarsi di armi sempre più efficaci per difendersi e preservare le relative conquiste o privilegi, tutti assassini e tutti vittime, incolpevoli.
E’ su tale handicap che la tanto decantata genialità dell’Uomo dovrebbe esercitarsi, su questo handicap che lo fa particolare essere vivente, munito ai nostri occhi di un grande spazio e dinamismo intellettuale, tuttavia imprigionato in una sua paralizzante etologia che pare privarlo del tutto di un libero arbitrio di specie.

Chi vuole la pace dunque non indichi colpevoli, ma elabori progetti di pace, ( o almeno sostenga chi le idee da proporre, sia pure senza illusioni, le ha. E non alludo soltanto a me stessa, per fortuna siamo in tanti.)


Gloria Capuano
Roma - 9 dicembre 2007





Sabato, 08 dicembre 2007