Controcorrente
Culinaria batte filosofia K.O.?

di Gloria Capuano

E’ quello che vado chiedendomi da anni.
In un albergo estivo feci rimanere di stucco due signore: posso farvi una domanda?
Al gentile cenno affermativo: qual è attualmente il vostro problema filosofico?
Delle due una apparve interessata più ancora che incuriosita e sorpresa, l’altra si adeguava per educazione.
- Il problema filosofico che più m’ intriga e mi angoscia - interloquii - è quello
del cibo, meglio dell’alimentazione.
E cercai di spiegarmi.
Dal mio principio pensante e culturale il problema era: perché sono, chi sono, è poi vero che sono?, (quando con il volgersi del tempo mi sono accorta di essere una donna, la cosa si è ingarbugliata ancora di più, ma tralascio questa direzione).
Poi grazie alla guerra e alla guerra civile, traghettata sulla filosofia dei rapporti tra gli esseri umani configurati come masse mi sono vista scomparire come individuo e catapultata in formule in qualche modo catalogate.
Poi ancora, negli anni della ripresa del Paese, filosofia e politica hanno ceduto il passo all’impegno verso una stabilità sociale (lavoro, famiglia, avanzamenti economici e culturali; salto la sfera privata, anche se forse la più determinante).
Il tutto covando nel sottofondo il forte bisogno - gravissimo dilemma della religione, ora liberatorio ora angoscioso.
Nella conclusiva maturità sono quindi subentrati interrogativi filosofici più complessi sul tipo “perché io sono io e non tu”.
Ma alla fine, alla resa dei conti definitiva mi ritrovo miseramente ad ammettere che il problema filosofico preminente e dominatore è quello di quel che accade in una cucina.
- Perché? Perché è in cucina che si consuma la più elementare primordiale e poi sofisticata subdola delle violenze: l’elaborazione culturale dell’uccisione di esseri viventi.
In cucina avviene infatti la culturalizzazione dell’assassinio così da renderci giustificati ( e mitridatizzati) nei confronti del dato etico e irrimediabilmente dipendenti dall’evocazione palatale di noti abituali graditi sapori.
Anche ogni evoluzione culinaria, leggi della cultura dell’alimentazione, ha rinforzato gradualmente in noi questa assuefazione che mi pare difficilmente amovibile e che ci rende tutti fratelli sia pure con contrastanti tabù.
Certo ci sono gli eletti, i vegetariani, ai quali guardo con sentita ammirazione anche se nei modelli drastici con motivata riserva. Ma quanti sono i vegetariani? C’è una tendenza evolutiva in tal senso? Non conosco sondaggi di questo tipo e in genere non ne tengo gran conto.
Quel che mi risulta è un prevalere massiccio del piacere della tavola rispetto tutto il resto forse perfino superiore all’incombente sessualità.

Tutto questo ai miei occhi suona come campane a morte per la Pace. La Pace vuol dire non uccidere e non danneggiare in alcun modo arrecando dolore qualsiasi essere vivente; almeno questo pensano tutti quelli che operano per la Pace nonostante siano consapevoli d’essere parte di una orrida catena alimentare.
Sappiamo che gli esseri viventi sono forse da sempre divisi come è noto in prede e predatori, per questo non riesco a convincermi che questo assetto possa bloccarsi eccezionalmente a livello umano (adulti maschi predatori, donne e bambini prede) se non condividiamo non solo razionalmente ma anche sensitivamente la necessità di azzerare l’assassinio a scopo alimentare come azione lecita o diritto.
Ecco, conclusi con le due signore, perché non mi pare avere alcun senso continuare a speculare sul nostro ubi consistam e anche aggirarci confusamente nelle teologie se prima non abbiamo sciolto questo per me ineludibile nodo.
O c’è ancora chi crede alla perfezione della natura?

Il cucinato carneo è forse quasi da sempre globalizzato, i sapori s’incrociano a seconda degli stili culinari e mi sembrano costituire anche segnali di appartenenze etniche ben precise a volte di differenziazione e a volte di compatibilità o di similitudine tra genti e genti.
L’agghiacciante bizzarria è che nella norma le prede sono rappresentate dagli esseri viventi più mansueti, bovini, ovini, equini, ungulati (cerbiatti, camosci, struzzi e altri) volatili specie di piccole dimensioni, quasi un destino naturale a soccombere dei più deboli. Mi viene fatto di supporre che sarei disposta piuttosto a nutrirmi di carne di leone e di tigre o di qualsiasi altro animale predatore nella presunzione di compiere così un atto di giustizia trasversale. Invece i predatori sono in genere specie protette perché in pericolo di estinzione.
No, effettivamente la biologia e il cucinato che la reinventa, superano ogni criterio e ogni aristocrazia filosofica, e mentre lo dico cerco disperatamente una via di uscita, un barlume di speranza finché mi appare infatti, a sprazzi, ed è la tanto discussa e discutibile tecnologia.
Va bene, lo sappiamo che tanto tempo fa già qualcuno parlava di alimentazione a base di pillole, e che non ha avuto seguito salvo forse tra i cosmonauti.
… I cosmonauti, ma per l’appunto non si vorrà esportare in altri pianeti il nostro consumatissimo e raffinatissimo gusto truculento…?
Se uccidiamo per mangiare perché mai non dovremmo uccidere per tante altre convincenti ragioni?
L’idea che questo punto di vista possa mettere in gioco anche il destino della Pace mi sbigottisce, e mi fa sentire in colpa come chi sovrapponesse un ulteriore problema ai tanti, troppi altri che ci sovrastano. In fondo è così confortante sedersi a un tavolo imbandito e mangiare tutto ciò che per abitudine e cultura il nostro ambiente ci procura, ed è rassicurante riflettere che tutto il mondo gode di questo stesso beneficio, salvo rare eccezioni e differenze.
Ma se invece fosse verosimile che anche la Pace dovrebbe per forza di cose passare attraverso una preventiva rivoluzione in cucina?
Immagino di sentire “ma che cosa c’entra la Pace con la culinaria, è un’ esasperazione ideologica”.
Non ne dubito ma rimango perplessa nella contemplazione della crudeltà umana, di solito a spese dei più deboli o in situazione di dipendenza, nei costumi e in altre situazioni di scompenso di potere, ma anche nei comportamenti belluini “nobilitati” o non dalla tecnologia.
Perché - voglio dire - non si tratta forse della stessa forma di barbarie? In che cosa differirebbe?
Il dubbio è atroce, il diritto di uccidere per mangiare non è assimilabile al diritto di stupro per soddisfarsi sessualmente o al diritto alla pedofilia, o al diritto alla poligamia e a chissà quanti altri pseudodiritti esercitati da ipoevoluti su i più indifesi?
Spero di essere in errore, ma il dubbio permane in me.
Del resto è vero o non è vero che gli uomini (non importa qui quanti dove e in quale periodo e se ancora oggi se ne annoverano casi) hanno superato un periodo storico di antropofagia?

Le nozioni, le cognizioni con il tempo sbiadiscono, si confondono quando si tratta di tirare sintesi di avvenimenti viceversa non tanto sintetizzabili perché dissimili l’uno dall’altro e del tutto sperequati temporalmente. Ma se corrispondesse alla realtà il dato antropofagico non potremmo forse azzardare di considerarlo un fatto evolutivo cui potrebbe seguire un successivo passaggio vegetariano?
Preciso che penso ad un vegetariano allargato ( non solo vegetali ma latte formaggi uova e, pesce (specie in questo caso da noi tradita visto la nostra storia filogenetica) perché il pesce è inserito in una catena alimentare totale della quale ci approfittiamo; né mi sfugge l’alibi di comodo.
Ciò che mi sconforta è che vedo per prima me stessa succube della nostra cultura, cultura dai molti distinguo assai discutibili tra violenza e violenza.
Buon per me, o blocco evolutivo per tutti?
15/1/2008


Gloria Capuano



Giovedì, 17 gennaio 2008