Cosa sta succedendo nella Chiesa Valdese?

Un documento al Sinodo della destra valdese e le risposte


Pubblichiamo di seguito una serie di documenti scaturiti da un Appello al sinodo Valdese del 2010 in via di conclusione mentre scriviamo queste note. Pubblichiamo innanzitutto il testo dell’appello corredato dalle firme che lo sostengono. Pubblichiamo poi una serie di risposte a tale documento da parte di coloro che sono stati chiamati direttamente in causa. Il tema è la benedizione di coppie omosessuali che è stato posto all’attenzione del Sinodo Valdese di quest’anno ed il richiamo alla fedeltà della confessione di fede della Chiesa Valdese del 1655. Medioevo prossimo venturo, fondamentalismo puro e semplice o, meglio ancora, destra politica all’attacco della Chiesa Valdese visto che questo movimento è capeggiato dal senatore del PDL Lucio Malan. Il berlusconismo è anche questo, ingerenza nelle questioni religiose, uso della religione ai propri fini, come è stato ai tempi del fascismo e del nazismo, in perfetta continuità con l'impero romano. Ovviamente esprimiamo solidarietà al pastore Alessandro Esposito e alla Chiesa Valdese di Trapani e Marsala e a quanti nella Chiesa Valdese sono sulle loro posizioni. Per ulteriori informazioni visita il sito della Chiesa Valdese di Trapani e Marsala (http://www.chiesavaldesetrapani.com/)
 

Appello al Sinodo per la fedeltà alla nostra Confessione di Fede
Noi sottoscritti, membri della Chiesa Valdese,
 consapevoli che – come scrisse Giosué Gianavello nelle Istruzioni – “se la nostra Chiesa è stata ridotta in ”queste“ contingenze, causa prima ne sono i nostri peccati, dobbiamo quindi umiliarcene quotidianamente e sempre di più innanzi a Dio, chiedendogli perdono”;
certi che la Confessione di Fede del 1655, mai mutata da alcun Sinodo, sia il fondamento incrollabile della Chiesa Valdese;
ribadendo, in particolare, con gli articoli 2 e 3 di essa, che “Iddio s’è manifestato agli huomini nelle sue opere della Creazione e della Provvidenza, di più nella sua Parola rivelata dal principio con oracoli in diverse maniere, poi messa in iscritto ne’ libri chiamati la Scrittura Santa” (“nessuna profezia della Scrittura proviene da un’interpretazione personale, ma degli uomini hanno parlato da parte di Dio, perché sospinti dallo Spirito Santo” 2 Pietro 1,20-21) e “che conviene ricevere, come riceviamo, questa Santa Scrittura per divina e canonica, ciò è per regola della nostra fede e vita; e ch’ella è pienamente contenuta ne’ libri del Vecchio e Nuovo Testamento” (“se qualcuno vi annuncia un vangelo diverso da quello che avete ricevuto, sia anatema” Galati 1,9);
ritenendo che l'ordinamento valdese sia un prezioso strumento per custodire la buona dottrina che viene tramandata di generazione in generazione, da tempo immemorabile, poiché esso regola il nostro essere chiesa;
avendo a mente che la storia della Chiesa Valdese, di tanti uomini e donne che per secoli tutto hanno fatto, tutto hanno rischiato, tutto hanno dato, inclusa la vita, per restare fedeli alla propria fede, sia un patrimonio incomparabile, di cui è forse impossibile essere degni, ma che impone di fare del nostro meglio perché non paia vano;
rammaricandoci del fatto che da tempo la Chiesa Valdese, sola o insieme ad altre, impegna il proprio nome in iniziative, a volte anche lodevoli, almeno nelle intenzioni, che per la loro fallacia creano divisioni e non hanno nulla a che fare con ciò che essa deve essere: “la compagnia de’ fedeli” che “vengono ad unirsi per seguitare la Parola di Dio; credendo ciò ch’egli vi ci insegna e vivendo nel suo timore” (articolo 25 della Confessione di Fede);
affermiamo la verità di quanto Gesù disse: “I cieli e la terra passeranno, ma le mie parole non passeranno” (Matteo 24,35), mentre sappiamo che le umane dottrine che oggi trionfano domani cadono nell’oblio o nel discredito, come tante volte abbiamo visto accadere, anche di recente; e riteniamo pertanto che la Chiesa possa sì prendere posizione su temi dove l'Evangelo indichi inequivocabilmente la strada; ad esempio, contro il razzismo o a favore della libertà religiosa; quanto, però, ad essere pro e contro partiti o specifiche iniziative, riteniamo che la prudenza debba essere massima per non nuocere, con scelte imprudenti, all’unica missione della Chiesa: essere testimoni di Gesù Cristo fino alle estremità della Terra (Atti 1,8) e cooperare a far risplendere la Luce nelle tenebre (Giovanni 1,5); resta sempre ai singoli membri di chiesa la possibilità di impegnarsi su qualunque tema, assumendosene personalmente le responsabilità, senza farsi scudo della Chiesa o, peggio ancora, della Parola di Dio;
constatiamo inoltre che nella Chiesa si affermano progressivamente interpretazioni sempre più personali di ciò che essa debba fare o 
credere: apprendiamo che un pastore nega pubblicamente la Trinità e la divinità di Cristo (in aperto contrasto con l’articolo 1 della Confessione di Fede);
apprendiamo anche che, facendosi forti di un documento sinodale che parla di “accoglienza” delle persone omosessuali, quello stesso pastore, con l’appoggio del Consiglio di Chiesa, ha celebrato a Trapani ciò che gran parte dei mezzi di informazione e lui stesso hanno definito “matrimonio” tra due donne, neppure appartenenti alla Chiesa Valdese, che egli ha poi affermato di essere consapevole che ciò “può provocare una spaccatura in seno alle nostre chiese” e “incrinare i rapporti ecumenici e inter-evangelici”, ma che “questa spaccatura può anzi deve essere provocata”, che la Moderatora, pur riconoscendo che “nelle nostre chiese si è” solo “cominciato a dibattere della possibilità di testimoniare anche a livello liturgico dell'accoglienza e del riconoscimento di unioni di vita di persone dello stesso sesso” ha difeso tale atto affermando che si era solo “pregato con convinzione e affetto per due persone che si impegnavano a vivere insieme la loro vita'', che a Roma un altro pastore ha amministrato il battesimo a due bambini su richiesta del padre di uno di loro e del suo compagno presentati davanti all’assemblea come “genitori”, benché la donna che aveva partorito i bambini fosse presente; autorevoli esponenti della Chiesa chiedono ora che il Sinodo “aggiorni” le norme in modo da rendere leciti, sia pure ex post, parte o tutti questi comportamenti;
ci appelliamo umilmente al Sinodo affinché:
non si allontani mai dalla Confessione di Fede e vegli perché essa non venga mutata nella lettera, o vanificata nei fatti con la tolleranza o il riconoscimento di comportamenti che la contraddicono;
ricordi qual è la ragion d’essere della Chiesa e sia attento a non gettare discredito sulla sua dottrina quando prende posizione su temi politici e di attualità;
prenda adeguati provvedimenti verso i comportamenti che violano l’ordinamento valdese, per evitare che la prassi del fatto compiuto e delle decisioni unilaterali sopprimano nei fatti quel modo di prendere le decisioni in modo collegiale e democratico, che si conservò anche nelle circostanze in cui il pericolo dell’annientamento totale era imminente;
esaminando la questione omosessualità, ricordi i numerosi passi biblici che la condannano e temperino la tendenza a ritenerli semplicemente riflessi di una società non abbastanza evoluta, considerando che il principale di questi passi, Levitico 18, che riassume tutti i divieti biblici in materia sessuale, ne include solo sei: incesto, rapporti durante il ciclo mestruale, adulterio, sacrificio dei primogeniti, omosessualità, accoppiamento con animali; ricordi altresì le parole del pastore Alessandro Esposito, secondo il quale questo argomento “può provocare una spaccatura in seno alle nostre chiese” e “incrinare i rapporti ecumenici e inter-evangelici” e valuti se è conforme ai nostri fondamenti creare quella spaccatura.
Possa la Grazia di Dio essere sempre su tutti noi e sulle nostre chiese e illuminare in particolare coloro cui sono affidate le decisioni più importanti.
 
Primi firmatari:
(Come primo firmatario veniva indicato un membro della  Chiesa di Trapani e Marsala che in data 2/11/2010 ci ha chiesto di cancellare il suo nome N.d.R)
Fabrizio Malan , Chiesa di Luserna San Giovanni
Lucio Malan , Chiesa di Luserna San Giovanni
Sergio Malan , Chiesa di Luserna San Giovanni
Giorgio Mathieu , Chiesa di Pramollo
 
HANNO ADERITO E HANNO ACCONSENTITO ALLA PUBBLICAZIONE DEI LORO NOMI
 
Membri di Chiese Valdesi:
Marco Soranno, Chiesa Valdese di Roma, via IV novembre
Mario Alberione, Chiesa Valdese di Torre Pellice
Pierangelo Baschera, Chiesa Valdese di Villar Perosa
Gianni Spettoli, Chiesa Valdese di Felonica
Marco Avondet, Chiesa Valdese di Prarostino
Alma Armellino Avondet, Chiesa Valdese di Prarostino
Gianfranco Mathieu, Chiesa Valdese di Torre Pellice
Enrica Benech Malan, Chiesa Valdese di Luserna San Giovanni
Paolo Olivieri, Chiesa Valdese di Napoli, Via dei Cimbri
Archimede Bertolino, Pastore emerito della Chiesa Valdese, Terni
Alda Robba, Chiesa Valdese di Luserna San Giovanni
Daniela Boldrin, Chiesa Valdese di Torre Pellice
Giuliana Pasqualetti, Chiesa Valdese di Torre Pellice
Walter Balzana, membro del Concistoro, Chiesa Valdese di Firenze
Emilio Bracco, Chiesa Valdese di Trieste
Laura Borsatti Armani, Chiesa Valdese di Trieste
Ada Balmas, Chiesa Valdese di San Germano
Antonino Bozzi, Chiesa Valdese di Torino
Nicola Santullo, Chiesa Valdese di Vasto-San Salvo
Laura Vallini Negri, Chiesa Valdese di Como
Armando Inglese, Chiesa Valdese di San Giacomo degli Schiavoni  
Claudine Noël, Chiesa Valdese di San Giacomo degli Schiavoni
Samuele Sieve, Chiesa Valdese di Ginevra
Aldo Rostain, Chiesa Valdese di Luserna San Giovanni
Davide Arnoulet, da Fubine (AL)
Nirvana Arnoulet, da Fubine (AL)
Marcella Stalè, Chiesa Valdese di Luserna San Giovanni
Aldo Charbonnier, Chiesa Valdese di Luserna San Giovanni
Concetta Barbagallo, Chiesa Valdese di Messina
Salvatore Dalemmo, Chiesa Valdese Diaspora di Galatina
Federico Martra, membro del Consiglio di Chiesa di Bassignana
Silvana Odino, Chiesa Valdese di Villasecca
Carla Charbonnier, Chiesa Valdese di Villar Pellice
Rossella Gamba, Chiesa Valdese di Villar Pellice
Federico Martra, Chiesa Valdese di Bassignana
 
Simpatizzanti:
Cristiano Magistrali, Piacenza
Ivan Basana, presidente di Evangelici d'Italia per Israele
Francesco Pollicino, Messina
Alex Maurino, Lusernetta
Stefano Polastri, Piossasco
Maurizio Dabalà, Marghera
Antonino Merillo, Spadafora (Messina)
Giovanna Porro, Fubine (Alessandria)
Piergiuseppe Porro, Fubine (Alessandria)
Fausto Matè, Montalto delle Marche
 
Ex Valdesi:
Rita Venturi, protestante ex valdese "causa degenerazione teologica, etica e politica della chiesa valdese medesima"
Walter Fumagalli, Chiesa Anglicana di Milano, ex valdese
Norberto Bongardo, Como
Loris De Gaspari, Cuneo, Ex Valdese per "mantenere la mia fedeltà all'Evangelo di Gesù Cristo"
 
Da altre denominazioni:
Paolo Castellina , cappellano evangelico in Inghilterra, già pastore della Chiesa Riformata Svizzera
Luciano Leoni , Chiesa Cristiana Evangelica di Alatri
Andrea Diprose , Ibei, Roma
Rosaria Salamone , evangelica di Roma
Stefano Lardieri, Lucca
Simonetta Cioni-Carr, San Diego, California 
Emanuele Bosca, Canelli
Emmanuel Gau, Roma
Giovanni Maria Caltana, Centro evangelico battista di Perugina, Petrignano d'Assisi
Walter Fumagalli, Chiesa Anglicana di Milano, ex valdese
Barbara Venturello, Chiesa Cristiana Evangelica dei Fratelli Asti
Emiliano Musso, Chiesa Evangelica dei Fratelli, Asti
Luca Rajna, Lurago d’Erba
Domenico Sesta, Verona
Ugo Sottile, Roma
Gaetano Sottile, Roma
Donato Trovarelli, moderatore www.protestantesimo.it , Pescara
Fabio Speri, Agrate Brianza (Monza)
Cletti Cristaldi, Como
Alessandro Iovino, Napoli
Franco Sellan, Manfredonia
Giuseppe Cappalonga, Trento
Vincenzo Alivernini
Roberto Pasqualon, Galliera Veneta
Nazzareno Ulfo, Pastore Battista Riformato, Caltanissetta
Paolo Brancè, pastore della chiesa battista internazionale "Gesù libera" di Marghera, membro dell'associazione delle chiese conservatrici dell'CBITALY
Marco Cocuzzi, Ostia Lido, Roma
Calogero Fanara, Belgio
Nicola Martella, conduttore di una comunità, gestore del sito www.puntoacroce.it
Iulian Bobe, Roma
Marco Porro, Fubine (AL)
Fabrizio Porro, Fubine (AL)
Pietro Lucido, Chiesa Evangelica di Barcellona (Spagna)
Esteban Gignous Janavel, pastore Evangelico, Uruguay
Marilu Pannocchia, Chiesa Evangelica dei Fratelli di Concorezzo (MB)
Gaetano Rizzo, Chiesa Evangelica Riformata
Paolo Tabacchetti, Chiesa Evangelica Pentecostale "Emmanuel - Parola di Vita", Almese (TO)
Andrea Milli di Ardea, membro della Chiesa Cristiana Evangelica Battista di Roma Centocelle
 
Un fraterno ringraziamento a www.riforma.net , www.evangelici.net , www.icn-news.com e www.ubeic.org che rilanciano il nostro appello.
 
 
 

 
Breve analisi del testo   APPELLO  AL SINODO PER LA FEDELTA’ ALLA NOSTRA CONFESSIONE DI FEDE”
 
Abbiamo già riportato il testo integrale dell’  “ Appello al Sinodo per la fedeltà alla nostra Confessione di Fede” , pubblicato a p. 9 di RIFORMA del 30 luglio 2010, come “inserzione a pagamento”.
Tale “Appello”:
1) attacca esplicitamente il pastore della chiesa valdese di Trapani e Marsala, l’intera chiesa valdese di Trapani e Marsala in quanto in piena condivisione con il suo pastore e, in particolare, il Consiglio di questa chiesa che ne guida in piena assunzione di responsabilità le scelte;
2) attacca la Moderatora della Tavola valdese, implicitamente accusandola di mentire sapendo di mentire a proposito della vicenda riguardante una unione omosessuale;
3) attacca il teologo Paolo Ricca per aver amministrato il battesimo ad un bambino, che si trova in una condizione familiare del tutto inusitata, condizione resa possibile dalle più recenti tecniche riproduttive.
Tale “Appello” invita i lettori a sottoscriverlo, per rendere più forte la richiesta dei cinque “primi firmatari”, i quali intendono evitare “ che il sinodo”aggiorni” le norme in modo da rendere LECITI (sottolineatura nostra), sia pure ex post, parte o tutti questi comportamenti” ( mi ricorda la ”Semiramìs” del V canto dell’Inferno dantesco – ‘che libito fe’ licito in sue leggi’). Ritengo necessario sottolineare una aporia, che forse è sfuggita nell’empito polemico che vivacizza il testo: i cinque sottoscrittori sembrano volersi sostituire al Sinodo, in quanto hanno già deciso che i comportamenti ricordati sono illeciti e “contraddicono” la Confessione di Fede e che il Sinodo non debba far altro che seguire le loro indicazioni.
Sono convinto che Maria Bonafede e Paolo Ricca possiedono strumenti straordinari di cultura e di esperienza ecclesiale per cui non intendo intervenire, almeno in questa occasione – che è un primo approccio al testo – sulle accuse loro rivolte: mi sentirei ridicolo, come una barchetta a remi che voglia trainare due navi da crociera.
Intendo invece intervenire sulle accuse al pastore Alessandro Esposito: in questo caso, questa barchetta a remi ha a che fare con altre barchette, i cui remi mi sembrano non sincronizzati, sbandano a destra e a manca, girano su se stesse.
Non intendo però soffermarmi sui comportamenti del pastore Alessandro Esposito e della sua chiesa locale, cioè la questione “trinitaria” e la “benedizione” ( l’ “Appello” non usa mai questo termine, mostrando di ignorare la questione di cui parla) di una coppia omosessuale. Il Direttore di Riforma, sullo stesso numero del 30 luglio, in una breve nota, offre ai lettori gli estremi per documentarsi in merito. Nel sito web di questa chiesa valdese, che state in questo momento frequentando, è disponibile abbondante documentazione.
Ritengo invece, importante, per comprendere veramente questo “Appello” esaminarne la struttura e il linguaggio, sia pure non in maniera analitica, ma per linee essenziali.
 
Non considerando le frasi di apertura (“Noi sottoscritti…) e di chiusura (“possa la Grazia di Dio…),
e utilizzando la suddivisione in capoversi determinata dalla grafica di stampa, individuiamo 14 paragrafi.
Il testo è suddivisibile in tre parti.
Parte prima – par. 1 – 5  : preambolo
 
Presenta alcuni brevi, quasi telegrafici, richiami storici e dottrinali, prendendo come riferimento cronologico e teologico la Confessione di Fede del 1655. Eccettuato l’uso di un aggettivo qualificativo, sul quale tornerò tra poco, niente da obiettare. Ritengo che ogni valdese possa sottoscrivere tali richiami. Occorre soltanto annotare che vengono saltati i quattro secoli  precedenti e non si considera che possa essere avvenuto qualcosa di nuovo, di inatteso, nei quattro secoli successivi, per esempio, fra i tanti possibili esempi, assumere i principii  della civile convivenza delle democrazie occidentali,  introdurre il pastorato femminile, diffondersi oltre le Valli storiche, fino alla Sicilia e all’America Latina.
Ho accennato ad un aggettivo: si trova nel par. 2 che, essendo breve, riporto integralmente: “certi che la Confessione di Fede del 1655, mai mutata da alcun Sinodo, sia il fondamento INCROLLABILE della chiesa valdese”. Che sia il “fondamento” è ovvio, direi che è quasi banale ricordarlo. Ma sull’ INCROLLABILE  non ci sto. Ho la sensazione di essere preso per cretino e che si usi questo aggettivo al posto del suo sinonimo, molto più puntuale, meno architettonico e più teologico: IRREFORMABILE. La mia ipersensibilità di ex cattolico ( da sedici anni ho scelto la chiesa valdese ) individua una anomalia pericolosissima per una chiesa che ha spezzato le INCROLLABILI  certezze della chiesa cattolica, che ha aderito alla Riforma ed al principio del “semper reformanda”. Incrollabile è il celibato dei preti, incrollabile è l’esclusione delle donne dal sacerdozio, incrollabili persino i principii di Paolo VI sulla contraccezione, per non parlare dell’incrollabile primato del papa e della sua infallibilità.  In questa chiesa evangelica e “riformata” che è la chiesa valdese mi mette molto a disagio  che qualcuno sostenga che ci siano confessioni di fede, se non addirittura ordinamenti disciplinari “incrollabili”, cioè “ irreformabili”. Ciò esprime una sensibilità cattolica, in particolare di un certo tipo di cattolicesimo fondamentalista, che ha la sua migliore espressione nel Lefevbrismo. Definire una scelta ed una affermazione come incrollabile cioè irreformabile è voler parlare al posto di Dio.  Noi valdesi, per Sua grazia, siamo liberati da tale tentazione, di fatto atea.
 
Parte seconda – par. 6 -9 : le contestazioni.
 
I cinque firmatari qui la prendono un po’ alla larga. Fanno capire di aver tante cose da contestare e da sottoporre alla discussione e valutazione del Sinodo, ma per due interi paragrafi ( 6, 7 ) non dicono niente, nessuna informazione specifica; riscontriamo generiche lamentazioni e buone intenzioni, accompagnate da citazioni dal Nuovo Testamento e dalla Confessione di Fede del 1655  (è strana questa equiparazione a livello stilistico della funzione di due testi  - NT, . Conf. di Fede - totalmente incomparabili proprio sul piano della Fede).
In particolare, nel par.6, si esprime rammarico ( “rammaricandoci…”) perché la Chiesa Valdese “impegna il proprio nome in iniziative, a volte anche lodevoli, almeno nelle intenzioni, che per la loro fallacia creano divisioni…”. Qui si sta sferrando da parte dei cinque “ primi firmatari” un attacco abbastanza netto “almeno nelle intenzioni” non tanto alla piccola chiesa valdese ( uso il minuscolo di proposito) di Trapani e Marsala ma all’intera Chiesa Valdese ( in maiuscolo).Sarebbe stato opportuno: a) tener presente che i dizionari ci dicono che “fallacia” è da intendersi come “falsità, slealtà, malafede”; quindi quel “lodevoli, almeno nelle intenzioni” è un non senso: se c’è “fallacia” c’è proprio l’intenzione ingannevole. Ma come si fa a scrivere  “a volte lodevoli” ma intrise di “fallacia”?  L’impressione è che gli estensori di questo testo non abbiano chiaro di che cosa stiano parlando; b) scrivono “iniziative” al plurale, per cui ci si aspetta che arrivi  magari un piccolo elenco di tali riprovevoli “ iniziative”; invece, dopo una lettura attenta di tutto il testo, le iniziative da condannare risultano soltanto due, una attribuibile alla chiesa di Trapani e Marsala, cioè la  benedizione di una coppia omosessuale, l’altra a Paolo Ricca, per il battesimo gia ricordato all’inizio. Ah, si dirà, c’è la questione trinitaria sollevata dal pastore Esposito. Puntualizziamo: quella non è una “iniziativa” ma una discussione storico-teologica.
Il par. 7, dopo una generica ed ovvia affermazione sulla caducità delle umane dottrine contrapposte alle parole di Gesù che “non passeranno”, esprime la preoccupazione che  le scelte concrete della Chiesa a proposito di concrete iniziative possano nuocere all’unica missione della Chiesa, che è “essere testimoni di Gesù Cristo fino alle estremità della terra”. Bene. Qui sono totalmente d’accordo, ma siamo nella vaghezza totale. La questione è : in che maniera si esprime questa testimonianza dinanzi alle situazioni concrete, qui ed oggi, nel 2010 non nel 1655? I cinque firmatari non chiariscono alcunché ma operano un pesantissimo distinguo: la Chiesa deve proporsi di  “non nuocere, con scelte imprudenti”; i “singoli membri di chiesa” si impegnino pure come vogliono. Traspare da ciò una concezione individualistica e non comunitaria della testimonianza di fede, perfettamente legittima, ma che diviene pura prepotenza quando pretende di essere l’unica scelta approvabile. Per esempio, la chiesa valdese di Trapani e Marsala nelle cose che ha ritenuto importanti ha elaborato comunitariamente le proprie scelte, coinvolgendo in questa elaborazione comune lo stesso pastore, che non ha assunto, a proposito della “benedizione” della coppia omosessuale, una posizione individualistica o personale ma ha veicolato una scelta ecclesiale.
Il par. 8 è un capolavoro di reticenze e genericità. Come nel par. 6 si era parlato di “iniziative” senza poi indicarne almeno una, ora  “constatiamo…interpretazioni  sempre più personali di ciò che (la Chiesa) debba fare o credere”.  Bene, stavolta ci siamo, vien da pensare…fuori i nomi, dove sono queste interpretazioni, presentatecene alcune! “Constatiamo” è un bel verbo, deciso. Una “costatazione” implica aver toccato con mano, esperimentato direttamente. Ma quando mai! la frase è tutta lì, è già terminata. La “constatazione” rimane sospesa nel vuoto.   Si torna al generico, con un verbo che più generico non si può: “Apprendiamo…” . Viene usato due volte: nella seconda parte del par. 8 e all’inizio del par.9, su cui proietta un’ombra  di imprecisione e incertezza. “Apprendiamo” è una formula retorica di genericità, corrispondente a un “si dice che…”, ma che permette di dare un tono più personalizzato al discorso. Non prendiamoci in giro: quando dite “constatiamo”, lì non c’è nessuno da nominare, quando c’è, finalmente, da fare una accusa specifica, nascondete la mano che tira il sasso, scrivendo  “apprendiamo”, ovvero “si dice che…” “un pastore nega pubblicamente la Trinità e divinità di Cristo”. Fate un’accusa così pesante  attaccati ad un generico “apprendiamo”? Non siete stati in grado di documentarvi, di constatare? Sembra  che voi stessi non siate sicuri di tale accusa. Infatti è falsa in radice. Alessandro si è limitato, circa due anni fa, durante una serie di incontri di studio biblico, ad illustrarci le difficoltà di elaborazione  del dogma trinitario e le varie discussioni sulla divinità di Cristo sviluppatesi nei primi secoli e come la definizione trinitaria che ritroviamo nel “credo niceno” non è detto che non possa essere riveduta.  Abbiamo pubblicato questi studi biblici nel nostro sito ed è scoppiata una “bagarre” animata da pseudo teologi pentecostali, che hanno accusato Alessandro  con le stesse parole che usa questo “Appello”. Se i cinque firmatari si fossero adeguatamente documentati avrebbero verificato che l’accusa era fasulla. Ma loro lanciano sassi in base ai “si dice”, “apprendiamo…”. Dopodichè non parlano più della questione e passano  all’altra accusa, nominando esplicitamente oltre al pastore anche il Consiglio di chiesa di Trapani e Marsala.
I cinque firmatari si avviano alla conclusione e non hanno ancora formulato una sola vera accusa: sanno benissimo che l’accusa di antitrinitarismo si sgonfierà da sé ( tanto che vi dedicano soltanto quattro righette della colonna tipografica) e decidono finalmente di lanciarsi sul tema che veramente li interessa: l’omosessualità. Accusano la chiesa valdese di Trapani e Marsala e il pastore  di  aver celebrato  “ciò che gran parte dei mezzi di informazione e LUI STESSO (sottolineatura nostra) hanno definito ‘matrimonio’ tra due donne”. In questa frase vi è un falso evidente ed una scemenza. Il “falso” consiste nel fatto che il pastore non ha mai parlato di “matrimonio” ma di “benedizione” di una coppia omosessuale che aveva celebrato la propria unione secondo le leggi vigenti, in Germania; la “scemenza” consiste nel formulare accuse pesantissime, davanti al Sinodo annuale, in base a titoli e resoconti giornalistici, per giunta di seconda mano, perché nessun  giornalista era stato invitato alla celebrazione per esplicita volontà della coppia, che teneva moltissimo alla propria riservatezza.
 
Parte terza – par. 10 – 14 : richieste al Sinodo
 
Il par. 10 è semplicemente una frase di passaggio, “ci appelliamo….ecc.”
In questa terza parte i richiami al N.T. scompaiono  e prevalgono “Confessione di fede” e “dottrina”. Tutte le “iniziative” e le “interpretazioni” che preoccupano i cinque “primi firmatari” e che mai sono state specificate si riducono ad una sola: l’omosessualità. Invitano a ricordare “i numerosi passi biblici che la condannano” e richiamano Levitico 18. Omettono qualunque richiamo al Nuovo Testamento. Insomma, se l’unica cosa che vogliono dire al Sinodo è  di porre all’ordine del giorno la questione della omosessualità, ciò è stato già richiesto, ben prima di questo “appello”, dal Consiglio della chiesa valdese di Trapani e Marsala alla Tavola. Naturalmente, al Sinodo potranno confrontarsi le varie riflessioni ed esperienze. I cinque “primi firmatari” sembrano esprimere la convinzione che le proprie riflessioni e le proprie scelte non possano che essere le migliori e che i dissenzienti dovrebbero essere ridotti al silenzio o addirittura estromessi dalla Chiesa: insomma dogmatismo e scomuniche. Per gente che si dichiara strenua sostenitrice della Confessione di fede del 1655 si tratta di un approdo sconcertante.
Questa analisi potrebbe concludersi qui. Mi sembra però indispensabile una breve appendice.
Per ben tre volte nel corso dell’ “Appello” i firmatari esprimono la preoccupazione che all’interno della Chiesa Valdese si creino della “divisioni”, citando per ben due volte il pastore Alessandro Esposito, “reo” di aver espresso la consapevolezza che le scelte a proposito della accoglienza degli omosessuali possano “provocare una spaccatura in seno alle nostre chiese”.  Questo appello sembra voler sostenere  che la salute della chiesa e la sua fedeltà alla propria tradizione ed alle proprie origini debba manifestarsi con l’omogeneità dei comportamenti e delle scelte, che ogni “divisione” sia un danno: è la concezione di una Chiesa statica, volta alla contemplazione e sacralizzazione di se stessa, indifferente ad una umanità in costante mutamento, in continua ricerca; perfino i nostri “ordinamenti”, le nostre “discipline”  affrontano, anno dopo anno, il continuo sforzo  di confrontarsi con il nuovo. Ecco, probabilmente è questo il vero tema sottoposto al Sinodo.
Marsala 3 agosto 2010 
Giovanni Lombardo
(membro del Consiglio della chiesa valdese di Trapani e Marsala)

La 'destra' valdese esce allo scoperto e sferra un attacco contro le nozze gay
Un duro attacco, una polemica (non solo religiosa, ma anche politica e culturale) che ha tutta l'aria di voler durare a lungo. Un gruppo di valdesi, concentrati soprattutto nelle valli del Pinerolese e guidati dal senatore del Pdl Lucio Malan, ha pubblicato a pagamento sul settimanale evangelico "Riforma" un appello contro le nozze omosessuali e l' adozione di bambini da parte di coppie gay. I firmatari del documento, "Appello al Sinodo per la fedeltà alla nostra Confessione di fede", si riferiscono a un episodio preciso, la benedizione - celebrata a Trapani dal pastore Alessandro Esposito - di una coppia di donne tedesche già legata da un patto civile, nel giugno scorso. In maggio invece, a Roma, il pastore Paolo Ricca - una delle personalità più eminenti tra i Valdesi, storico e promotore dell' opera di Lutero in Italia - aveva a sua volta celebrato il battesimo di due gemellini "adottati" da una coppia di uomini italiani grazie all' inseminazione artificiale, all' ovodonazione e alla pratica dell' "utero in affitto" in California. In quell' occasione, Ricca aveva indirizzato a entrambi i "padri" l' appellativo di "genitori" suscitando le ire non solo dello stesso Malan ma anche di altri fedeli "conservatori". Oltre a Malan, tra i primi firmatari dell' appello ci sono il pinerolese Giorgio Mathieu, dirigente del Pdl nella zona, Fabrizio e Sergio Malan (che come l'omonimo senatore appartengono alla chiesa di Luserna) e un gruppo di fedeli e simpatizzanti anche di altre chiese evangeliche. Sullo sfondo sta il nodo difficile del rapporto tra fede e omosessualità, che da parecchi anni viene affrontato a intervalli regolari anche in margine al Sinodo e che nel 2007 è stato oggetto di un documento congiunto approvato a maggioranza dalle chiese valdesi e battiste, nel quale si afferma che occorre tutelare «i diritti delle persone e delle coppie omosessuali». Ma nulla è stato ancora stabilito per quanto riguarda i matrimoni né, sia pure in linea di principio, sulle adozioni. La Moderatora Maria Bonafede ha espresso la sua solidarietà al pastore Esposito, e più volte si è pronunciata in favore di una maggiore «accoglienza» nelle chiese per le persone omosessuali. Paolo Ricca ha risposto - in due puntate - alle prime rimostranze espresse per lettera da Malan, ma anche dalle sue parole, ricche di riferimenti biblici, traspare la consapevolezza di un tema delicato: «Quello che dobbiamo chiederci è che cosa dice la Scrittura sull'omosessualità, se ciò che dice risente di condizionamenti storici e culturali che potrebbero relativizzarne il valore o se dobbiamo considerarla parte integrante della "eterna e indubitabile verità" che la Scrittura contiene e come impostare questo discorso nel quadro dell' etica cristiana che ruota intorno all'unico comandamento dell' amore». Ma le risposte di Ricca, come peraltro quelle della Moderatora, non hanno convinto il senatore del Partito della libertà, e ne hanno provocato l' appello, la cui pubblicazione in forma di pubblicità ha suscitato un certo clamore nel mondo valdese ed evangelico. E, anche se le chiese valdesi, 30.000 fedeli in Italia, sono già da decenni schierate su posizioni "progressiste" (sono state favorevoli alla legge sul divorzio come a quella che consente l' aborto, e si sono schierate contro molte delle restrizioni previste dalla legge sulla fecondazione artificiale), anche al loro interno esiste una non insignificante area "conservatrice", rappresentata dai fedeli più anziani, dalle piccole comunità, da membri di chiesa più legati a un' interpretazione rigida della Bibbia. Ora questi fedeli sembrano aver trovato in Malan e nei suoi alleati, in gran parte politicamente schierati col centrodestra, il loro più o meno provvisorio megafono. Un tema caldo per il Sinodo, che si aprirà il 22 agosto e durerà una settimana: l' annuale assemblea dei delegati delle chiese valdesi e metodiste dovrà pronunciarsi sui temi più importanti, con decisioni che la Tavola e la Moderatora dovranno mettere in pratica nell'anno successivo. Non a caso è proprio ai delegati dell' assemblea che si rivolgono Malan e i suoi. VERA SCHIAVAZZI
(Repubblica — 05 agosto 2010   pagina 1   sezione: TORINO) 
 

Anagrammando
Ho cercato di leggere con attenzione l'Appello al Sinodo per la fedeltà alla nostra Confessione di fede e ho riflettuto se fosse opportuno che vi replicassi: considerato il fatto che il mio nome vi figura espressamente ho infine rotto gli indugi, decidendo di redigere questa risposta. Voglio precisare sin d'ora che non ho alcuna intenzione di scadere nella polemica, atteggiamento che ritengo inadeguato ed infruttuoso: mi preme, soltanto, affrontare nel merito le questioni rispetto alle quali gli estensori di tale documento hanno ritenuto che le mie affermazioni o i miei atti si siano rivelati impropri. Le obiezioni mossemi riguardano, nello specifico, due tematiche che, nella mia replica, vorrei in un primo momento scindere, per poi provare ad esprimere la mia opinione circa il perché esse vengano menzionate insieme. La tesi di fondo degli estensori del documento è quella secondo cui, nelle mie esternazioni teologiche così come nella mia prassi liturgica, io abbia contravvenuto alle indicazioni contenute nella nostra Confessione di Fede del 1655 (confessione che, in quanto pastore, ho firmato immediatamente prima della mia consacrazione al ministero) e, quel che è più grave, alle Scritture alle quali tale Confessione si richiama espressamente e delle quali, si ritiene, io mi sono indebitamente «fatto scudo» per portare avanti quella che, in verità, altro non è se non una «interpretazione personale» delle medesime.
·                     La prima obiezione menzionata dal documento è di tipo dottrinale e riguarda la mia elaborazione (senza alcun dubbio limitata) della questione trinitaria e della correlata divinità di Gesù. A tale riguardo questo giornale ha già ospitato un dibattito che ho trovato assai serio e pacato, concedendomi, tra l'altro, lo spazio generoso di due repliche, alle quali rimando per evitare di ripetermi e, così facendo, di tediare oltremodo le lettrici ed i lettori. Tale dibattito si è chiuso con un intervento, eccellente per profondità ed acume, del professor Ferrario: le sue parole costituiscono l'esempio di un dissenso argomentato ed estremamente rispettoso dell'interlocutore. Caratteristiche che, invece, mi pare non pervadano lo spirito dell'Appello, nei cui toni intravedo più una condanna delle mie affermazioni (peraltro, come già ricordato dal direttore di Riforma, non correttamente riportate) che non un invito al dialogo e, a partire da esso, ad un eventuale approfondimento nella trattazione di questa (complessa) tematica. Per cui, ben venga una discussione, ampia e documentata; ma vorrei che si evitassero, dall'una come dall'altra parte, velate scomuniche o espliciti anatemi: non credo, difatti, che tale atteggiamento possa contribuire in alcun modo a instaurare quello spirito di fraternità a cui più volte il documento si richiama, giacché, per quanto mi riguarda, la fraternità si costruisce mediante il confronto, nel quale ciò che ha valore sono le argomentazioni che si portano a suffragio di una tesi, nel rispetto della (ma non in ossequio alla) tradizione e della sua evoluzione storica, che possono anche (e in alcuni casi devono) essere esaminate, discusse e reinterpretate.
·                     La seconda obiezione rivoltami concerne l'aspetto disciplinare giacché, nella benedizione da me concelebrata di una coppia omosessuale, vengono ravvisati un'esplicita violazione degli ordinamenti stanti a fondamento della nostra prassi ecclesiale e, quel che è più grave, uno stravolgimento delle indicazioni che, a tale proposito, forniscono i testi biblici (in particolare Levitico 18). Anche a questo riguardo, eccettuata l'imprecisione con cui, nuovamente, le mie parole vengono riportate dagli estensori dell'Appello, rimando le lettrici ed i lettori alla lettera inviata a Riforma dal Consiglio di Chiesa di Trapani e Marsala, nella quale sono già contenute le motivazioni che ci hanno portati ad esprimere, circa tale benedizione, un sì pieno e convinto. Ciò che fatico a comprendere è come i redattori del documento intendano manifestare uno spirito di accoglienza nei riguardi delle persone e delle coppie omoaffettive, salvo poi considerare l'omosessualità alla stessa stregua, cito, dell'«accoppiamento con animali». Un simile accostamento non merita nemmeno una replica, a tal punto esso denota assoluta mancanza di rispetto. A tale proposito intendo chiarire perché ho affermato che, su alcune questioni, una rottura con il fondamentalismo cristiano, di qualsiasi natura esso sia, è non soltanto possibile ma persino inevitabile: perché laddove manca il rispetto della persona umana e dei suoi diritti inalienabili (tra i quali rientra a pieno titolo l'orientamento affettivo e sessuale), nessun dialogo, dal canto mio, è praticabile. I termini fratello e sorella, aggiungo, non dovrebbero avere, in primo luogo, una connotazione ecclesiastica, che rischia sempre di sconfinare nel settarismo: sorelle e fratelli sono le donne e gli uomini che ci è dato di incontrare lungo gli intricati sentieri dell'esperienza e una chiesa che intenda orientare la propria prassi all'evangelo dovrebbe riservare un'attenzione costante a coloro che, ingiustamente, vengono discriminati, talvolta all'interno degli stessi contesti ecclesiastici. Personalmente credo in una chiesa dell'accoglienza, capace di convertirsi prima che di convertire.
·                     Un'ultima osservazione circa l'accostamento, all'apparenza piuttosto singolare, delle due obiezioni rivoltemi: ho motivo di ritenere, in ultima analisi, che esse sottendano un concetto di chiesa secondo cui ogni dissenso, seppur motivato, vada appianato mediante un'omologazione indebitamente confusa con l'appartenenza identitaria. Ciò che viene richiesto, o, per meglio dire, comandato, è un appiattimento su un'interpretazione univoca dei testi e della loro funzione normativa. Ma c'è uno spirito, che informa questi testi, che travalica il loro letteralismo e, talvolta, giunge a contraddirlo esplicitamente. Non so se gli estensori del documento siano appassionati di anagrammi, ma vorrei proporne uno assai curioso alla loro riflessione. Alcuni, citando la verità, vi leggono immediatamente e senza esitazione l'espressione rivelata; ma è bene che non tralascino di considerare che, con gli stessi caratteri, è anche possibile scrivere -e, va da sé, leggere- relativa.  
Alessandro Esposito - 19 agosto 2010
 

 
SERENITEZZA
Mi scuso per il neologismo, vorrebbe essere un modo simpatico e sdrammatizzante per il mio amico Franco che ha scritto un breve testo su questo stesso sito dal titolo “Amarezza”.
Intervenendo sul dibattito sollevato dalla benedizione di una coppia Gay nella comunità di Marsala, come valdese, come pastore e come marsalese desidero scrivere due parole rivolgendomi, oltre che a Franco, anche al collega Esposito, il mio caro amico Alessandro e alla comunità valdese di Marsala. Ad Alessandro va tutta la mia stima e lo ringrazio per la passione che mette nella sua ricerca teologica e nel suo ministero. Io posso non condividere alcune sue posizioni, ma rifletto con serietà e serenità per le sollecitazioni che esse pongono al mio cammino di fede ed alla mia riflessione teologica. Conosco la comunità valdese di Marsala da quarant’anni e la sua storia fin dalla fondazione. Forse anche chi si pone in dibattito con scelte non facili e “di confine” con le comunità di Trapani e Marsala dovrebbe conoscere il contesto storico e sociale in cui testimonia la propria fede.
Essere valdesi a Marsala non è come esserlo a Pinerolo o a San Germano. Questa piccola comunità ha subito i controlli e le irruzioni degli anni Scelba, le sassate durante il culto e la derisione di essere “vangilisti”. Dagli anni cinquanta agli anni ottanta i pastori da Garufi, Panascia e Manocchio (da Palermo) e Giunco hanno curato e sostenuto questa piccola comunità, che si incontrava in un “oratorio valdese” (così era chiamato un vecchio locale in affitto usato per il culto), formata da poche famiglie e che ha mantenuto la fede in una città che le era indifferente, quando non le era ostile. Sia la comunità di Marsala che quella di Trapani rimanevano comunque un punto di riferimento fermo per chi, come me o come Giuseppe Ficara (entrambi divenuti pastori), erano alla ricerca di una chiesa con una solida spina dorsale. Mi è doveroso ricordare il fratello Garzia, che gettava delle bottiglie in mare con un Vangelo in arabo quando i venti spingevano verso Sud e che dava parte del suo guadagno della vendita del vino per un fondo che servisse alla costruzione di un locale di culto a Marsala, un valdese che ovunque si trovasse testimoniava la sua fede evangelica sopportando le ingiurie e le derisioni con dignità.
Il cambiamento è avvenuto con Laura Leone, “la torinese”, come la chiamavano in città. Laura è stata la prima pastora che ha abitato a Marsala, la prima pastora (donna), la prima che, negli anni di cambiamento generazionale della comunità, ha schiuso la stessa alla città e fatta partecipe e componente viva dell’impegno ecumenico e civico. Si rese così indispensabile un nuovo locale di culto (sia a Marsala che a Trapani) degno di accogliere attività, incontri e nuovi membri. Il cambiamento non è stato facile e Laura a volte si è trovata sola ad affrontare le nuove sfide, ma la comunità, soprattutto i giovani, l’ha seguita. I giovani pastori che la Tavola ha inviato successivamente, Ficara, Salvaggio ed Esposito, hanno continuato questa apertura. È stato così che la comunità ha accolto nuovi membri, che vi continuano ad approdare, e si è impegnata in nuove sfide.
I problemi che oggi dividono le chiese non riguardano soprattutto la dogmatica, ma l’etica!
Pacifismo, politica, ecologia e temi come l’omossessualità o la bioetica dividono le chiese molto più e forse molto più a fondo che la cristologia o l’ecclesiologia, in un contesto ecumenico divenuto stretto e riduttivo rispetto all’odierno contesto interreligioso.
Alessandro Esposito, il giovane pastore Alessandro Esposito, con la sua formazione culturale, il suo personale cammino di fede e teologico, il suo appassionato impegno e amore col quale svolge il suo ministero, sta conducendo queste piccole comunità “di confine” ad una testimonianza di fede che in questa città è apprezzata e seguita con interesse su temi scottanti, sia sul fronte dogmatico sia su quello etico: temi che spaventano, mettono a disagio o su cui si vorrebbe semplicemente chiudere gli occhi. Questi stessi temi, dieci anni fa, era impensabile affrontarli in queste stesse comunità di Trapani e Marsala, ma esse sono andate avanti. Chi ha il diritto di fermarle?
Il dialogo e l’apertura al dibattito culturale e teologico è una caratteristica delle nostre chiese, figlie di quei valdesi medievali che venivano trucidati per l’intolleranza di chi questa stessa apertura culturale non l’aveva. Chi ha il diritto di fermare un dibattito nella nostra chiesa? Fa bene il pastore Esposito e le comunità di Trapani e Marsala a lasciarsi coinvolgere in un dibattito su temi di attualità o a rivisitare i dogmi del IV secolo, così come fanno bene i sottoscrittori dell’Appello al Sinodo a prenderne le distanze, purché ogni cosa si faccia nel rispetto umano e fraterno dell’altro e si abbia il coraggio di lasciarsi mettere in discussione.
Da una visione autoritaria che fa della fede una fede nell'autorità i nostri padri nella fede ci hanno aperto verso una fede libera, ispirata alla Scrittura ma non sottomessa dogmaticamente neppure ad essa, come spiega nel saggio Sulla Libertà del cristiano Lutero stesso. Ai sottoscrittori dell’Appello al Sinodo per la Fedeltà alla nostra Confessione di Fede vorrei chiedere cosa ne è della libertà del cristiano. Forse può essere utile rileggere alcuni passi iniziali dello scritto di Lutero, nei quali egli scrive: "(...) Affinché possiamo comprendere fino in fondo che cosa sia un cristiano e in che cosa consista la libertà che Cristo ha acquistato per lui e ha a lui donata - della qual cosa S. Paolo molto scrisse - voglio proporre due proposizioni: Un cristiano è libero signore su tutte le cose e non è soggetto a persona alcuna. - Un cristiano è servo in tutte le cose ed è soggetto ad ognuno" (M. Lutero, “Sulla libertà del cristiano” in Scritti politici, U.T.E.T., Torino p. 367). Il cristiano, nella concezione della Riforma, è signore su tutto in quanto “essere spirituale” (anèr pneumatikòs) e soggetto a tutto in quanto essere carnale (anèr sarkotikòs). La componente spirituale, che Dio ha posto nel cristiano, lo rende libero di fronte a tutto e contemporaneamente lo congiunge spiritualmente (e, si badi, in senso non dogmatico) con la Scrittura - come attesta, ad esempio, ciò che Lutero scrive poco dopo: "(...) L'anima non ha altra cosa né in cielo né in terra nella quale vivere pia e libera ed essere cristiana, oltre al santo Evangelo, la parola predicata da Gesù" (ivi, p. 368).
Vorrei terminare domandando ai sottoscrittori dell’Appello al Sinodo per la Fedeltà alla nostra Confessione di Fede a quale confessione di fede si riferiscono. Forse non sanno che la confessione della nostra chiesa del XVII secolo, firmata dai pastori valdesi a tutt’oggi (che sull’eucaristia e la venerazione di Maria e dei santi sarebbe considerata oggi molto vicina alle posizioni delle chiesa cattolica), è stata fatta oggetto di dibattito e di revisione nel 1894? Karl Barth con la confessione di Barmen, i riformati del Sud Africa, di Cuba, del Canada, di Scozia e di tante altre parti del mondo hanno ricontestualizzato la loro confessione di fede per testimoniare la loro fede ai contemporanei nella determinata situazione storica in cui ciò si rendeva necessario. Non è un caso che la chiesa evangelica che non ha aderito al nazismo si autodefinì “Chiesa Confessante”, così come la chiesa valdese di Palermo, nel periodo delle stragi di mafia, si è sentita in uno “status confessionis” sentendo la necessità di formulare, in quello specifico contesto storico, una propria dichiarazione di fede (entrata nella raccolta delle confessioni di fede delle chiese riformate del XX secolo curata da Henry Mottu, (Jérome Cottin, Didier Halter et Félix Moser coll.), Confessions de foi réformées contemporaines : et quelques autres textes de sensibilité protestante, Labor et Fides, Genève 2000).
Davanti a Dio bisogna sempre togliersi i calzari, come Mosè sul Sinai, perché siamo tutti discepoli di un unico maestro. Scriveva Lutero, nel suo ultimo appunto a mano: "Siamo mendicanti: questa è la verità", intendendo in questo modo sottolineare l'inadeguatezza di tutti noi davanti a Dio, e con ciò porre nella giusta luce gli sforzi della ricerca teologica. Nella sua concezione, infatti, la natura di Dio era tale che maggiore era la presunzione di comprenderla e minore era l'effettiva capacità di farlo. Seguendo la lezione dei Salmi, in cui è scritto “Dio resiste ai superbi e fa grazia agli umili”, Lutero affermava la necessità dell'umiltà di fronte a Dio, facendone il principio più profondo della ricerca e del dibattito teologici.
Con serenità, chi ha da discutere discuta e ascolti, ma non giudichi, e chi ha da dibattere dibatta e rispetti la debolezza o la forza dell’altro, senza pretendere di essere possessore della verità, perché tutti ne siamo lontani e le nostre continue approssimazioni ad essa ci fanno fratelli nel cammino della fede “portando gli uni i pesi degli altri” come ci esorta l’apostolo.
Pastore Giuseppe La Torre,
Marsa1a, 15 agosto 2010
 

 
Lettera del prof. Fulvio Ferrario agli autori dell’Appello al sinodo
 
 
Care sorelle e cari fratelli,
ho letto con interesse il Vostro Appello al Sinodo e ho visitato il sito che avete allestito. Mi auguro che i problemi che sollevate nell’Appello trovino riscontro nella discussione sinodale. E’ bene che membri di chiesa esprimano le loro perplessità su tematiche del genere. Siamo una chiesa presbiteriana, nella quale il contributo dei laici ha spesso indicato ai teologi strade importanti e non sempre ritenute, almeno di primo acchito, comode. Bene, dunque, che il disagio, quando c’è, si faccia sentire.
Con la stessa chiarezza, desidero dirVi che non sono altrettanto edificato da due aspetti dell’Appello: il tono e il metodo teologico.
Il tono. Dall’Appello si ricava l’impressione che, a parer Vostro, la nostra chiesa sia in preda alla più totale confusione e che anzi, tenda a venir meno alla propria vocazione. Ad esempio, lamentate che «da tempo la Chiesa Valdese, sola o insieme ad altre, impegna il proprio nome in iniziative, a volte anche lodevoli, almeno nelle intenzioni, che per la loro fallacia creano divisioni e non hanno nulla a che fare con ciò che essa deve essere» (grassetti nel testo). A parte qualche tensione tra le singole espressioni (non riesco a immaginarmi iniziative «lodevoli» che non abbiano «nulla a che fare» con ciò che la chiesa deve essere, e ciò a motivo della loro «fallacia»), si tratta di un giudizio assai pesante, che non mi pare adeguatamente motivato. Come ho detto, sono realmente convinto che i punti di dissenso debbano essere discussi. Ho tuttavia l’impressione che questo tipo di giudizi non aiuti un dibattito sereno. Suggerire l’idea di un’armata Brancaleone ecclesiastica, nella quale imperversano le tesi più stravaganti, non corrisponde alla verità e non è nell’interesse di alcuno. Capisco l’esigenza di esprimersi in modo energico e di indicare con incisività il nocciolo dei problemi: attenzione, però, a che la semplificazione non si trasformi in semplicismo e la perentorietà non sfoci nella calunnia (autolesionistica, visto che di questa chiesa tutti facciamo parte). Polemiche aggressive e poco fraterne possono essere, per la comunione ecclesiale, più pericolose di opinioni teologiche improvvide o espresse in modo approssimativo.
Con questo siamo già al secondo punto, il metodo teologico. Dubito che la contrapposizione secca di citazioni bibliche e dalla Confessione di fede all’opinione altrui ci permetta di avanzare nella reciproca comprensione. Per quanto riguarda le opinioni del past. Esposito, non è necessario porre la questione nei termini di affermazione o negazione del dogma, o addirittura della testimonianza biblica. La discussione riguarda, a mio giudizio, tre punti: l’interpretazione del rapporto tra Scrittura e affermazioni dottrinali della chiesa, la comprensione della funzione della Confessione di fede (compresa, per quanto Vi riguarda, la sua storicità) nella chiesa evangelica e la responsabilità di un ministro di culto quando si esprime in pubblico su questi temi. Non sono bazzeccole. Discutiamone francamente, ma anche con la dovuta pacatezza. Nessuno, su questo vorrei rassicurarVi, è disponibile a svendere la retta dottrina della chiesa. Se un pastore o un teologo si esprimono, come anch’io credo sia avvenuto nel caso che, in modo che altri ritengono inadeguato, è giusto farlo presente, il che, peraltro, è accaduto. Fa però anche parte del ministero di vigilanza della chiesa saper distinguere tra letture teologiche problematiche o anche, semplicemente, superficiali, e interventi che mettono in pericolo la fede della chiesa, che molti e molte, come giustamente ricordate, hanno testimoniato col sangue.
 
Quanto all’ “omosessualità” (in realtà un intreccio di questioni tra loro piuttosto diverse), il dibattito è in corso in tutte le chiese protestanti. Anche in questo caso, è utile partire dal presupposto che i versetti biblici costantemente addotti siano noti ai sostenitori delle diverse posizioni. Detto questo, una ricerca pluridecennale, che non può essere liquidata da giudizi sbrigativi, impone scelte meditate e responsabili. Diverse persone, nella nostra chiesa, hanno offerto, ancora nelle scorse settimane, contributi che mi pare vadano in tale direzione, anche discutendo con firmatari dell’Appello. Nel prossimo o in successivi Sinodi, verranno discusse almeno alcune delle tematiche controverse, ad esempio quella della benedizione di unioni omosessuali. Sarà un confronto complesso, ma abbiamo tutte le ragioni per affrontarlo serenamente, in termini teologicamente documentati e spiritualmente responsabili. La linea che Voi indicate è certamente ben presente nelle nostre chiese; altrettanto sicuramente, non è l’unica. Ne discuteremo. Sarebbe meglio, però, farlo in spirito di preghiera e non di polemica.
Come dicevo, oltre a leggere l’Appello, ho visitato il sito. Non posso dire di esserne rimasto entusiasta. Più ancora che nel primo documento, prevale un’acrimonia che non vedo come ci possa aiutare. Ancora una volta: la franchezza del dibattito è certamente una virtù protestante, oltre che civile. Mi chiedo tuttavia, e chiedo a Voi, se lo stile degli interventi (da quello contro il direttore di Riforma a quello sulla faccenda degli ospedali) corrisponda alle esigenze di un confronto tra persone che condividono la responsabilità della testimonianza evangelica in questo paese e hanno a cuore la comunione nella chiesa.
Fraternamente e (non guasta, io credo) amichevolmente,
Fulvio Ferrario
 


Venerd́ 27 Agosto,2010 Ore: 14:57