PIETRE VIVE della CHIESA DEL CRISTO

di Ernesto Miragoli

Quando il prete lascia il ministero e decide di chiedere la dispensa, improvvisamente si trova oberarto da problemi concreti ed esistenziali (casa,lavoro,famiglia,inserimento sociale...)che gli impediscono di pensare a quelli dello spirito. Poi però,col tempo, risolti questi problemi pratici può ritornare con calma a rivedere se stesso ed il passo fatto,recuperare i principi di fondo,soprattutto la fiducia in Dio Padre e in Cristo fratello,oltre che in se stesso.


Il seguente testo è tratto dal libro ’Preti sposati nella Chiesa cattolica’ AA. V.V.


Tracciare qualche indicazione che aiuti a sviluppare il tema di una vita spirituale per un prete che lascia il ministero sacerdotale attivo comporta la considerazione di una serie di elementi:
- il prete ha una propria storia spirituale che ha in parte subito, in parte vissuto e fatto propria
- il prete sposato vive una vita di coppia e di famiglia
- il prete che non si sposa entra comunque in un ritmo di vita diverso

Un prete che lascia il ministero non abbandona una linea di spiritualità.Preso com’é da cose nuove e molto diverse da quelle vissute precedentemente, potrà vivere in modo diverso la propria vita spirituale,ma non lascia del tutto quello che é stato il proprio nutrimento interiore fin dagli anni della giovinezza.
Una cosa che mi ha meravigliato in questi anni da quando ho cominciato a prendere a cuore il problema dei preti che hanno abbandonato il ministero per cercare di dare un contributo alla soluzione è proprio questa: non ho trovato indicazioni per una spiritualità dei preti sposati.
Eppure sia gli ex preti che i Pastori avrebbero dovuto pensarci. So che si sono realizzati incontri e dibattiti a livello teologico, ma non mi risulta che alcuno si sia preoccupato di creare delle linee di spiritualità che invece sono importantissime.
Esse devono guardare la nuova condizione del presbitero e, pur ricalcando le linee tradizionali, devono adattarsi alla situazione.

a) Un cammino penitenziale
Mi sembra anzitutto che sia importante vivere quotidianamente un cammino penitenziale.Il sacramento della Penitenza deve essere riscoperto e vissuto da noi che per tante volte l’abbiamo amministrato.
Dobbiamo pregare il Signore di donarci la grazia del perdono.
Assieme dobbiamo chiedere perdono, tutta la Chiesa deve chiedere perdono al Padre delle proprie infedeltà.
Si danno in questo caso due aspetti di infedeltà: quella dei preti che "hanno posto mano all’aratro e poi si sono volti all’indietro" dimenticando che "non voi avete scelto me, ma io ho scelto voi" e quella dei Pastori che sanno che "Dio non fa differenza di persone" e che "fa piovere e splendere il suo sole sui giusti e sugli ingiusti".
La grazia del perdono va chiesta ogni giorno. Solo ripetendo continuamente "Donaci,Signore,la gioia del perdono" ci si immerge nella grandezza di Dio che non misura l’uomo con il metro dell’uomo e si coglie lo spirito profondo della propria vita nel suo significato più pieno:siamo tutti al servizio del Regno di verità e di vita,di santità e di grazia,di giustizia,di amore e di pace.
Anche i preti sposati sono santi, assieme alla propria moglie ed ai propri figli. La loro famiglia, questo nucleo dopo anni di travaglio interiore e contro ogni disciplina, porta dentro di sè i germi della santità. Dobbiamo insieme cercare la santità e tendervi con tutte le nostre forze perchè dobbiamo essere convinti che siamo un seme profetico.Non guardiamo ai frutti immediati che il nostro essere nella Chiesa può ottenere: carpent tua poma nepotes, diceva Virgilio. Badiamo a vivere ogni giorno nella pienezza della Parola e dei sacramenti la nostra vita di testimonianza cristiana. Per citare Michea dobbiamo sentirci una minoranza, un resto:" Il resto di Giacobbe sarà in mezzo a molti popoli come rugiada madata dal Signore e come pioggia che cade sull’erba che non attende nulla dall’uomo e che nulla spera dai figli dell’uomo" (Mich.5,6).
Anche il prete che lascia perchè in crisi con la chiesa istituzione é santo se cammina in coerenza con il fuoco che lo divora, se sa offrire i momenti quotidiani di sofferenza per quella Chiesa nella quale ha vissuto e che ha amato.
Ciò significa che non dobbiamo nasconderci, vergognarci, rifiutare di parlare con qualcuno della nostra esperienza.
La nostra vita non è più ritmata, come un tempo, dalla scansione metodica della preghiera: il lavoro ci costringe ad una materialità alla quale non eravamo abituati. Vorremmo staccare anche solo mezz’ora, chiuderci in noi stessi e pregare per ritrovare la forza di continuare:non si può. E’ però possibile fare di quel lavoro una testimonianza per gli altri. Essere sereni sempre, in ogni momento, anche quando la routine ci avvolge con tutto il suo grigiore o quando l’ambiente è totalmente estraneo a quello in cui eravamo fino a poco tempo prima;essere sereni anche in mezzo alle difficoltà più disperate perchè sappiamo "che tutto possiamo in colui che ci dà forza" è una testimonianza bellissima che vale molto più di una predica. Dio ci è vicino anche quando non sappiamo dove posare il capo, anche quando la tentazione di fare un tuffo nel passato o rimpiangerlo è molto forte.
"Tutto posso in colui che mi dà forza": il richiamo che Paolo grida prima a se stesso che ai fratelli deve essere un costante ritornello della nostra esistenza. Stiamo tranquilli: prima o poi gli altri si accorgono di noi e lì comincia la nostra testimonianza, continua la nostra silenziosa predica,si perfeziona la nostra strana vocazione. Sì, anche se non consacriamo più ogni giorno il pane ed il vino; anche se non tracciamo più su alcuno il segno del perdono del Padre, siamo sempre noi: abbiamo il potere di annunciare la buona novella in ambienti che i nostri confratelli non raggiungono, di parlare a uomini come noi che mai parlerebbero con un prete con la medesima disinvoltura e confidenza, di gettare semi del vangelo nel cuore di un incallito affarista che vede prima i soldi di se stesso ( figuarsi se vede gli altri ), di essere come l’eunuco al servizio della regina di Candace che per caso incontrò Filippo lungo la sua strada. Non abbiamo più l’abito,non indossiamo più i paramenti sacri:mai come adesso è vero il proverbio "Non è l’abito che fa il monaco". Perchè siamo preti "dentro": il carattere dell’Ordine non ce l’ha tolto nemmeno il Papa quando ha posto la sua firma alla nostra richiesta di dispensa dagli oneri sacerdotali e ci ha benignamente concesso di contrarre matrimonio religioso. Le nostre mani puzzeranno di soldi,di vernice, di olio, ma profumeranno sempre del sacro Crisma che il nostro indimenticato Vescovo ha posto con un segno di croce in quel meraviglioso giorno dell’ordinazione sacerdotale che abbiamo ancora impresso nella mente. La nostra testa sarà arrovellata da conti, da impegni,da preoccupazioni familiari, ma è sempre quella testa sulla quale si posarono le mani di quel vecchio Pastore che possedeva la pienezza del sacerdozio e che in quel momento ci ha partecipato lo Spirito che lava ciò che è sordido, bagna ciò che è arido, sana ciò che sanguina, piega ciò che è rigido, scalda ciò che è gelido, dirizza ciò ch’è sviato, che è padre dei poveri, luce dei cuori e che è riposo della fatica, riparo nella calura, conforto nel pianto.
Non dobbiamo mai smettere di avere coscienza della nostra dignità, non per sentirci superiori ai fratelli che Dio ci ha messo accanto,ma per essere meglio al loro servizio.
La vita clericale ci ha abituati a standard esistenziali che poche volte ci hanno fatto cogliere l’essenziale logica della croce. Perchè non pensare che forse Dio ci privilegia, che proprio attraverso le quotidiane sofferenze perfeziona il nostro sacerdozio, cioè il nostro essere totalmente consacrati a quel Dio che " regnavit a ligno " ?

b) Un cammino di preghiera.
Ricuperata la dimensione penitenziale come costante della vita e che aiuta a capire le difficoltà quotidiane, va da sè che non si può evitare di recuperare il senso profondo della preghiera.
Forse nel ministero attivo avevamo smesso di pregare.
Il dovere ci portava a recitare il breviario, a celebrare la messa, ad annunciare la Parola per mestiere. Ma quando si fa il callo alle grandi cose si perde il senso di quella grandezza. Succede come agli indigeni di una località incantevole: ce l’hanno sotto gli occhi tutti i giorni e non riescono più a coglierne la bellezza! Magari, da preti, avevamo meritato il rimprovero di Gesù: "Quando pregate non fate come i pagani che credono di essere ascoltati a furia di parole!" O dei profeti: "Questo popolo mi onora con le labbra, ma il suo cuore è lontano da me". Per esperienza personale posso dire che si fa molta fatica a riprendere il ritmo di preghiera di prima.
Non è più possibile recitare nel silenzio della propria chiesa il breviario o il rosario.Ma è possibile riprendere in mano quel vecchio compagno e pregare, bene, solo una parte di esso.A recitare bene solo l’ufficio di letture ci vuole un quarto d’ora. Possiamo trovarlo un quarto d’ora di silenzio, magari alzandoci prima o coricandoci dopo.Lutero era esagerato. Diceva: "Oggi devo lavorare otto ore; ne pregherò almeno quattro". Io ne lavoro fino a quindici, se ne prego sette e mezzo, mi resta un’ora e mezza per mangiare, dormire, badare alla pulizia personale, alla famiglia. Ma un quarto d’ora se si vuole si trova.
Ancora un’esperienza personale. Un mattino con i salmi avevo pregato: "Beato l’uomo che non segue il consiglio degli empi, non indugia sulla via dei peccatori..." e ancora :"...scuote le mani per non accettare regali..." Durante la giornata ricevetti la visita di un fornitore che mi raccomandava i suoi prodotti e mi disse, fuori dai denti, che, se avessi incrementato gli aquisti, avrei ricevuto una provvigione accreditata direttamente su un conto in banca svizzera. Ho resistito alla tentazione.Poi non ho resistito alla vendetta che, come si sa, è un piatto da mangiare freddo: in modo molto soft ho diminuito gli acquisti fino ad estrometterlo del tutto dall’azienda.

c.Una preghiera "eucaristica".
E poi c’è l’assemblea eucaristica, sacramento visibile del Verbo.
Con estrema intelligenza spirituale la Chiesa ortodossa, alla proclamazione del Vangelo, innalzando il testo, grida: "State attenti! E’ Dio che parla". Enzo Bianchi annota: "E la Parola diventa così,in questa proclamazione, potenza di Dio, capacità creativa". L’Eucaristia, culmine e fonte della vita della Chiesa, che per anni abbiamo celebrato per gli altri e con gli altri, è un dono che non possiamo disinvoltamente trascurare.
Non ne siamo più protagonisti. Non siamo più sull’altare e se qualche volta abbiamo usato quell’ambone per predicare le nostre idee e non quelle del Vangelo adesso ce ne accorgiamo.Ma non dobbiamo andare a messa per criticare la predica, anche se la tentazione c’è. In quell’assemblea Dio ci convoca per parlarci e per redimerci; per rafforzarci nella fede e per rimandarci nel mondo; per nutrire il nostro essere cristiani nel quotidiano con il pane della sua Parola e del suo Corpo.
Fare eucaristia significa rendere quotidianamente grazie al Signore per averci chiamato al ministero e per aver permesso la nuova esperienza che viviamo da soli o con la nostra famiglia. Un rendere grazie che si concretizza ogni giorno nell’alzare le mani perchè la giornata "sia un sacrificio perenne a Dio gradito" e perché nel nostro vivere quotidiano non dimentichiamo che non stiamo lavorando per noi stessi,ma " per lui che è morto e risorto per noi".

d.Una spiritualità fatta di sacramenti
Essere preti sposati o comunque preti non più esercitanti il ministero attivo non significa dimenticare che abbiamo ricevuto i sacramenti dell’iniziazione cristiana ed in più il sacramento dell’ordine. Non possiamo rinunciare ad essere segno visibile dell’amore di Dio.
Ci dobbiamo amare come coppia. Insieme abbiamo affrontato tante difficoltà. Adesso c’è la routine. E’ più logorante la guerra di trincea che la battaglia. Prima i problemi ci facevano sentire più uniti;il gusto di realizzare il nostro sogno d’amore ci spronava a camminare mano nella mano lungo le vie più tortuose.
Non dobbiamo perdere quello smalto.
I rischi ci sono.
C’è il rischio di essere buoni compagni di vita che si ricavano uno spazio e vivono egoisticamente sotto lo stesso tetto, ma con interessi diversi e senza dialogo. Può succedere che l’ex prete si rifugi nei suoi libri o nella musica: la moglie farà la buona serva ed i figli vedranno il papà come un uomo misterioso tutto dedito a cose diverse dai loro interessi. Non si parla più fra marito e moglie di cose di vita quotidiana, ci si ama di tanto in tanto, si fa qualche carezza ai bambini. L’ex prete si annoia, ripensa alla sua vita passata; la moglie si pente del proprio matrimonio; i figli non riescono ad inseririsi in questa partita a scacchi in perenne fase di stallo.
L’esperienza ministeriale ci ha fatto incontrare tantissime situazioni analoghe a questa. Perchè non ricordare che abbiamo spesso predicato alle coppie di riscoprire ogni giorno la novità del proprio matrimonio e le smisurate grandezze dell’amore? Abbiamo scelto una nuova vita:viviamola intensamente, fino in fondo. "La vita dell’uomo è un tutto:se egli incomincia decisamente da una parte,la sua coscienza si desta, la sua energia morale si rafforza anche verso altre parti" (R.Guardini,Virtù).
C’è il rischio di scoprire che non abbiamo un carattere facile. La vita del prete è una vita da protagonista. Forse anche per questo la sua donna s’è innamorata di lui.Da sposati non si è più protagonisti di nulla. Diventiamo, come coppia, protagonisti della nostra vita. Dio ci ha chiamati su questa strada. E’ noiosa come quella che ogni giorno percorriamo per portare a scuola i bambini o per andare a lavorare? Se così ci sembra, proviamo a toglierci gli occhiali dalle grigie lenti.Su quella strada possiamo scoprire un foglio di giornale abbandonato che ieri non c’era; incontrare un amico; vedere dei fiori che qualcuno ha messo alla finestra e perfino un gatto che l’attraversa velocemente.
Cioè le piccole cose di ogni giorno. Proviamo ad andare oltre il carattere difficile del nostro coniuge. Se lei è pettegola o irascibile può darsi che lo faccia per suscitare una nostra reazione;se lui è imperioso e scostante può darsi che abbia bisogno di sentirsi importante. Un uomo ed una donna non si conoscono mai abbastanza.
Giovanni Paolo II ha una bella pagina a questo proposito: "Nel matrimonio e nella famiglia si costituisce un complesso di relazioni interpersonali-nuzialità, paternità e maternità, filiazione, fraternità-mediante le quali ogni persona umana è introdotto nella famiglia umana e nella famiglia di Dio, cioè la Chiesa" (Familiaris consortio n.15)
C’è il rischio di chiuderci in noi stessi: stiamo benissimo da soli. Non ci ha dato una mano nessuno, quelli che si accostano a noi lo fanno solo per curiosità, allora è meglio che non ci apriamo a nessuno. Non dobbiamo dimenticare lo slancio missionario che ci è connaturale perchè battezzati ed è urgente perchè ordinati al sacerdozio."Credi a ciò che leggi, insegna ciò che credi, pratica ciò che insegni", ci è stato detto con solennità il giorno dell’ordinazione al diaconato. E’ importante viviere in pienezza il proprio amore e farlo viviere agli altri: "Guardate come si amano". Qualcuno si scandalizzerà di noi, ma dobbiamo avere anche questo coraggio.Se crediamo che sono possibili le ragioni del nostro amore, non dobbiamo temere di renderle visibili e di lasciarci mettere in discussione.Noi come coppia non siamo strani, i nostri figli non sono alieni. La nostra casa deve essere aperta a chi ha bisogno, a chi vuole conforntarsi con noi, a chi crede nella nostra amicizia.
Ci sono tantissimi altri rischi. Quello che è importante è che noi crediamo al nostro matrimonio come una testimonianza per la nostra famiglia e per i fratelli della grande misericordia di Dio.Se crediamo a questa verità tutti i rischi si superano e le difficoltà si banalizzano. Gesù, ai farisei (gli uomini del sacro di quel tempo) che pettegolavano sulla disinvoltura con cui trattava pubblicani e prostitute, ha detto lapidariamente: "Misericordia io voglio e non sacrificio". La sua misericordia è amore e la gente ha bisogno di vedere l’amore, quello vero, quello che tutti vorrebbero realizzare nella propria vita e che rincorrono e credono di raggiungere nel sesso sfrenato, nelle amicizie interessate; che credono di comperare con il denaro e di afferrare in una realtà che si rivela subito effimera e che non offre mai la felicità vera.
Perchè non fare in modo che gli altri, vedendoci,dicano: "Ecco una famiglia felice" ? Non per il gusto di suscitare invidie, ma con la convinzione di essere un segno della grande misercordia di Dio.
Da sposati non dobbiamo cessare di amare la Chiesa, è stata la nostra prima madre cristiana. E’ fatta di uomini, lo so, e questi uomini che la governano non ci vogliono, taluni ci fuggono come i lebbrosi o ci ostacolano in ogni nostra iniziativa. Quando si comportano così prevale in loro la debolezza e non la forza del Vangelo. Non è successo anche a noi, da preti, di essere caduti in questo peccato? Non lasciamoci andare a giudizi ingenerosi nei confronti dei nostri confratelli o superiori e non abbandoniamo troppo sfiduciati la strada del dialogo con tutti. E’ la strada più difficile,ma non può evitare di portare frutti.

e. Un modo nuovo di vivere l’opzione fondamentale.
In questo cammino occorre riscoprire l’opzione fondamentale riferendoci direttamente a Cristo.
Gesù realizza la sua missione facendo la volontà di Dio. Questa è la scelta che ha operato fin dal momento dell’Incarnazione e che l’accompagnerà fino alla croce ( Gv.4, 34 ). Se é vero che siamo pietre vive, ebbene dobbiamo sentirci tali anche se i costruttori dell’attuale casa le scartano buttandole nel mucchio.
Sul modello di Cristo realizziamo la nostra missione in questo modo nuovo, diverso dagli schemi ufficiali, osteggiato persino, ma non per questo meno autentico.
Non dimentico che la scelta fondamentale ha condotto Cristo alla morte.
Non solo questo pensiero non mi consola, ma addirittura mi atterrisce.Vorrei fare presto, vorrei trovare la formula magica che mi consentisse di far leva immediatamente sui responsabili della disciplina ecclesiale per attuare immediatamente tante cose che potrebbero tornare a beneficio e non a nocumento della comunità ecclesiale.Ma occorre avere pazienza; soffrire nella ricerca di un dialogo che non si riesce ad impostare, cioé morire giorno dopo giorno.
Non è una prospettiva molto esaltante se non si inserisce nella logica della totale dedizione a Cristo e nell’impegno quotidiano di aderire alla volontà del Padre.

f. La dimensione profetica.
Vi è anche la dimensione profetica.
Un gesto totalizzante come è quello di rinunciare al servizio pastorale attivo per una scelta diversa che può essere anche quella matrimoniale é da configurarsi nella dimensione profetica.Non sappiamo se e quando sarà possibile che il prete operi facoltativamente la scelta celibataria, né sappiamo se e quando sarà possibile che il prete sia un ministro al servizio di tante realtà pastorali che non siano solo quella parrocchiale o quelle codificate dalla prassi più che dal diritto. Sappiamo però che gesti nuovi, proposte nuove, modi nuovi di vivere il ministero sacerdotale ordinato anche se non riconosciuti ufficialmente da coloro ai quali il Signore ha dato il potere di riconoscere i miniteri ed i carismi sono realtà vive e stimolanti un cammino da guardare in prospettiva.Cioé sono realtà profetiche.
Perchè non ricordare che nella prospettiva attuale della realizzazione di una nuova ecclesiologia anche il sacerdozio ministeriale non canonicamente configurato, ma vissuto da tanti "ex" potrebbe essere un segno di novità, un carisma che lo Spirito suscita e che richiama i Pastori ad una verifica prima che ad una indiscriminata e facile bocciatura?
"L’imposizione delle mani é segno e strumento di una grazia e la grazia consiste nella capacità di realizzare la missione pastorale.Siccome ogni grazia è dono e compito,è partendo dallo svolgimento del compito, nella concretezza dei problemi e degli impegni che il cristiano chiamato al ministero potrà costruire la sua personalità nel solco che il dono ricevuto gli scava dentro indelebilmente " (S.Dianich,Diz.di Spiritualità, Ed.Paoline,Milano 1978,voce:Ministero Pastorale").

Una nuova teologia del sacramento dell’Ordine?

Sembra naturale,dopo quanto sin qui descritto,arrivare ad una conclusione:occorre riscrivere una teologia del sacramento dell’Ordine.
E invece no. Non solo perchè per farlo bisogna essere teologi seri (non è la caratteristica di chi scrive), ma anche perchè, ferma restando la mia limitata preparazione, nonostante mi sia sforzato di compulsare tesi antichi e moderni che trattano del sacramento dell’Ordine, credo proprio che la teologia così come proposta dalla Chiesa cattolica ci stia tutta, tutta. Nella mia limitatezza, allora, credo di avere ragione: si tratta di un problema pastorale e disciplinare.
Nella Chiesa anche i dati di fede che non hanno immediate conseguenze operative (ad esempio il dogma della Trinità) non esistono allo stato puro, sono frutto di elaborazioni teologicihe basate sul dato rivelato che sono andate via via formulandosi nei secoli. Sempre a titolo esemplificativo citerò il dogma dell’Assunta. Nella coscienza ecclesiale dei primi secoli era naturale presentare Maria assunta in cielo anche con il corpo (un grande Padre della Chiesa che ha parlato spesso in questa direzione è stato S.Giovanni Damasceno), ma solo nel 1954 il Papa Pio XII sentì l’esigenza di codificare quanto era tradizione ecclesiale con la proclamazione del dogma dell’Assunta.
"Tanto più i dati di fede che si risolvono in precisi e concreti fenomeni storici, come appunto il ministero del sacramento dell’Ordine, vanno sempre ricoperti di peculiari vesti culturali che, mutevolmente, li accompagnano lungo la loro esistenza storica" ( S.Dianich, Diz.di teologia, Ediz.Paoline, Milano 1976, voce:Ministero )
Senza tema di essere tacciato di semplicismo o riduttivo schematismo credo che la teologia del sacramento dell’Ordine così come recepita dalla Chiesa cattolica si trovi nel Concilio di Trento e nel Vaticano II.
Il Tridentino è, come sua natura, dogmatico e lapidario.
"E’ sembrato bene,a proposito del sacramento dell’Ordine,insegnare ai fedeli da un punto di vista generale che esiste nella chiesa un nuovo sacerdozio,visibile, esterno (D.S.1770) che è stato istituito dal Signore nostro salvatore e che agli apostoli ed ai loro successori nel sacerdozio è stato dato il potere di consacrare, offrire ed amministrare il suo corpo ed il suo sangue, di perdonare e ritenere i peccati" ( D.S.1764 ) .
Sempre il concilio di Trento insegna che: "L’Ordine è veramente e propriamente uno dei sette sacramenti della santa chiesa e che in questo sacramento,come nel battesimo e nella cresima, viene impresso un carattere che non si può cancellare nè togliere" (D.S. 1766-1767).
Infine a Trento i Padri hanno stabilito che: "I vescovi sono superiori ai preti e possono amministrare il sacramento della cresima, ordinare i ministri della chiesa e fare molte altre cose che i ministri di ordine inferiore non hanno il potere di fare" ( D.S.1768 ).
Il concilio Vaticano II, nella costituzione dogmatica sulla Chiesa Lumen Gentium, insegna che :" Con la consacrazione episcopale viene conferita la pienezza del sacramento dell’ordine; con essa vengono conferiti coll’ufficio di santificare, gli uffici di insegnare e governare. I preti, partecipi del ministero dei vescovi, sono consacrati per predicare il vangelo, pascere i fedeli e celebrare il culto divino quali veri sacerdoti del Nuovo Testamento ( L.G. nn.21 - 28 ) .
La teologia del sacramento dell’Ordine è tutta qui.
Vi sono contestazioni?
Sì. Ad onor del vero negli anni postconciliari diverse correnti teologiche hanno contestato che il sacerdozio avvenga per l’imposizione delle mani da parte della gerarchia cattolica preferendo il prete come espressione della comunità e, più radicalmente, quando ci si è riferiti all’Eucaristia contestando il dogma della transustanziazione e preferendo le parole transignificazione e transfinalizzazione si è giunti a concludere che il sacerdote non è altro che una degna persona di una comunità che,essendo da questa ritenuto autorevole, può commentare la Parola e celebrare la Cena in memoria di Cristo senza ricevere alcuna autorità da alcun vescovo.
Ho sintetizzato molto sommariamente le contestazioni perchè non interessano chi si accosta a questo libro.Va detto che esse in parte sono superate e che permangono solo a livello di dibattito teologico anche nei centri di dissenso dalla posizione ufficiale della Chiesa.
In questa sede mi interessa dimostrare che con quanto detto sopra la teologia non viene per nulla intaccata e non intendo assolutamente rimettere in discussione i principi dottrinali che fondano il sacramento dell’Ordine.
Si deve discutere, invece, della pastorale e della disciplina canonica.



Giovedì, 30 ottobre 2008