Volontariato e giustizia

di Vincenzo Andraous

Nei giorni scorsi sono stato invitato come relatore a un corso di formazione di volontariato-giustizia, rivolto ai nuovi volontari che entreranno in un istituto penitenziario a svolgere la loro opera di accompagnamento, divenuta nel tempo fondamentale per il recupero del detenuto, nonché a disegnare gli attuali processi di cambiamento e la molteplicità delle sindromi a rischio.
La domanda che più spesso è stata posta: cosa si possa fare per essere maggiormente incisivi, per essere o diventare un volontariato davvero di aiuto.
Per arrestare la deriva carceraria occorrono competenze professionali e capacità comunicative, attraverso la messa in rete, strumento di intervento in cui interagiscono le idee e le intuizioni, che a loro volta diventano terreno fertile per la sperimentazione di innovazioni necessarie a non rimanere fuori dalla porta del tempo, per evitare al carcere un futuro di ulteriore degradazione
Allargando la referenzialità a tutta una collettività attenta, si spingerà il volontariato a presentarsi come una realtà efficace, non frammentata, mai elitaria, bensì autorevole e quindi credibile.
In questa direzione vi è la possibilità di consegnare a quella sorta di terra di nessuno, occasioni e opportunità di cambiamento, certamente richiesti in primis al detenuto, ma allo stesso tempo all’organizzazione penitenziaria, per sostenere quelle modifiche tendenti al superamento delle consuete pratiche del mero contenere, a discapito del recuperare le persone detenute, nella semplicità del confrontarsi sui problemi che alimentano demotivazioni, e spesso rese ingiustificate.
Fare rete significa perseguire obiettivi comuni e condivisi, essere volontariato sottende contrasto all’emarginazione, significa essere voce degli esclusi, perciò assumere fin’anche un ruolo politico: un volontariato autorevole non accetta di svolgere supplenze, né di colmare vuoti istituzionali, perché sarebbero soluzioni di paglia, significa lavorare per una sinergia degli obiettivi comuni costruita sui mattoni della carta costituzionale.
E’ attraverso l’impegno e la collaborazione che sarà possibile smetterla con un dispendio sorprendente di parole truccate, tutte, o quasi, formulate con voce di tuono, per far passare in sordina leggi partorite da buona politica, che però rimangono solo carta scritta.
Forse occorre re-interrogarsi, imparando a credere non più negli acquartieramenti ideologici, ma alla possibilità che attraverso sensibilità diverse si possa giungere allo stesso obiettivo: riconsegnare alla persona un senso, attraverso la storia di un uomo e di una croce, o la storia di tanti altri uomini che lasciano dietro di sé orme e tracce indelebili, alle quali è impossibile sfuggire.
Quando incontro il mondo del volontariato mi viene da pensare ad un sacerdote che non c’è più, Mons. Giuseppe Baschiazzorre, per tanti anni Cappellano del Carcere di Voghera, con la sua straordinaria capacità di essere e continuare a rimanere tra incudine e martello, essere sacerdote tra l’alto e il basso della piramide, essere e rimanere santo di fronte al male, fino a raggiungere il cuore più nero.



Venerdì, 09 novembre 2007