Pianeta Carcere
Lettera per la Commissione Giustizia al Senato

di Vincenzo Andraous

Sul Disegno di Legge 623 Berselli e Balboni di modifiche legislative sull’Ordinamento Penitenziario


Lettera per la Commissione Giustizia al Senato in riferimento discussione Disegno di Legge 623 Berselli e Balboni XVI Legislatura

nonchè

per gli uomini equi che fanno buona Giustizia


Colgo l’occasione per formulare una riflessione sul tema pacchetto sicurezza e modifiche legislative sull’Ordinamento Penitenziario, specificatamente al disegno di legge n. 623 d’iniziativa dei Senatori Berselli e Balboni.
Che scrive è un uomo, detenuto, ergastolano, che ha già scontato effettivamente 33 anni di carcere, che non ha mai goduto di indulti o amnistie, a cui sono anche stati concessi 5 anni di liberazione anticipata, da un decennio usufruisce di permessi premio, di art. 21, di licenze, della semilibertà, senza mai essere incorso in una sola infrazione.
Dunque un uomo ristretto da 38 anni che nonostante alcuni benefici di legge continua essere un cittadino detenuto.
Leggo sul disegno di legge di cui sopra, la proposta di continuare a concedere permessi premio agli ergastolani che però abbiano scontato 20 anni di carcere, mentre verrebbe abrogata totalmente la possibilità di accedere all’istituto della semilibertà.
In queste mie parole non vi è alcuna intenzione di provocare sterili polemiche o confusioni dialettiche, vorrei formulare alla S.V.I. una riflessione sulla Riforma Penitenziaria, attraverso la mia esperienza, senza trincerarmi dietro ai numeri, alle percentuali.
Esperienza che non è sinonimo di parole dette in fretta per non dire niente, tanto meno elaborazioni mentali che nulla hanno a che vedere con il reale intorno.
Il mio percorso umano e esistenziale è verificabile attraverso eventuali dichiarazioni della direzione dell’Istituto in cui sono detenuto, della Magistratura di Sorveglianza da cui dipendo, del mio datore di lavoro in cui presto il mio servizio, della società tutta con cui interagisco da molti anni, senza alcuna presunzione di insegnare nulla a nessuno o di salvare alcuno dal proprio destino.
E’ chiaro che questa possibilità di destrutturazione e conseguente ristrutturazione appartiene a molti altri uomini detenuti che non hanno avuto paura di affrontare con lealtà la salita dietro l’angolo.
Quale significato o valore possiede la concessione del permesso premio a un uomo condannato alla pena dell’ergastolo, ma inibendolo dalla possibilità di usufruire della semilibertà, avendo questi dimostrato di possedere nuovamente i requisiti professionali-etici-morali-necessari?
Il permesso premio è una misura transitoria, certamente importante per il detenuto, ma se inquadrata in un progetto di reinserimento lavorativo e affettivo, possibile, e quindi attuabile.
La mia convinzione è che sia la formazione a creare le basi per ogni futuro cambiamento di mentalità e rottura dei vincoli criminali, ecco perché ritengo il permesso premio, unicamente un approccio a una nuova e ben più importante punteggiatura.
La semilibertà, ancor prima l’art.21, sono il punto di partenza su cui poggiare le fondamenta di un progetto esistenziale, di uno stile di vita che insegna a liberare la propria libertà nel rispetto di se stessi e degli altri.
L’istituto della semilibertà mi ha consentito di ritornare a essere il padre che non sono stato mai, di essere un nonno presente, di sposare una donna stupenda, di definire un ruolo sociale a mia misura, per quanto nelle mie capacità.
Prendermi delle responsabilità mantenendo fede a quel patto di lealtà stipulato con la collettività, nel fare fronte a un mutuo, nello scrivere un libro, essere titolare di una rubrica su un quotidiano, nel parlare ai più giovani.
Semilibertà come formazione, servizio, come stile educativo.
Cosa significa concedere il permesso premio e negare la semilibertà, se non rispedire al mittente qualsiasi opportunità di riscatto e consapevolezza degli impegni assunti o di quelli da intraprendere?
Da molto tempo non mi chiedo se merito quanto di buono sto ricevendo, so che più di così non posso dare. Questo non significa che mi sto ponendo ulteriori limiti ma che sono consapevole dei miei limiti. Se lo Stato, la società, non intendono perdonarmi è un discorso, se invece ritengono di aver usato il carcere per percorrere una strada costruttiva, allora credo che il discorso da fare affinché il carcere migliori le persone sia un altro.
Per quanto concerne l’uso del braccialetto elettronico, per non incorrere in strumentalizzazioni più o meno costruite a tavolino, basterebbe pensare a quanto costa alla collettività mantenere un detenuto per ogni giorno della sua pena, a come sono spesi quei soldi, alla incapacità endemica del sistema giustizia di fare riappropriare della sua funzione il carcere.
Svuotare-alleggerire i penitenziari attraverso l’uso del braccialetto elettronico? Perchè no, dal momento che deliberato l’indulto occorreva-necessariamente se non obbligatoriamente dare seguito all’amnistia, non si è fatto, per paura di perdere qualche altro voto, adesso non rimane che un’altra scelta di politica criminale, quella del cane che si mangia la coda.
Estradare gli stranieri? E i comunitari? Tutto ciò che è diverso? L’80% per cento della popolazione carceraria è indicata come umanità da doppia diagnosi. Forse estradare è una via da seguire, perchè no, l’altra potrebbe essere fare e agire in sicurezza, ma senza il bisogno di alimentare percezioni sbagliate, forse potrebbe essere salutare verificare quanti delinquenti potrebbero stare in altro loco, piuttosto che in galera, essendo titolari di reati e comportamenti che potrebbero essere meglio definiti e risolti all’interno di aree protette nelle tante comunità terapeutiche e trattamentali.


Vincenzo Andraous
carcere Pavia e tutor Comunità Casa del Giovane Pavia




Mercoledì, 10 settembre 2008