No alla pena di morte
Di quale "Tradizione" parla la Chiesa?

di diacono Giuseppe Cavallaro

Il principio di liceità morale della pena di morte, che la Chiesa Cattolica riconosce al potere pubblico ( Nuovo Catechismo della Chiesa cattolica. art. 2267 ), è contenuto nel “ Deposito della fede “ o nel “ deposito del mondo “ ?  

Il Catechismo della Chiesa Cattolica afferma che : “L’insegnamento tradizionale della Chiesa non esclude, … il ricorso alla pena di morte, …” ( art. 2267 ). Questo “insegnamento tradizionale”, di cui parla il Catechismo, per il quale la Chiesa riconosce al potere pubblico la legittimità morale di fare “ ricorso alla pena di morte”, si riferisce alla Tradizione Apostolica o alla Tradizione Ecclesiastica ?

Senza dubbio, la Tradizione Apostolica e la Tradizione Ecclesiastica hanno la stessa origine divina, ma la prima, designata dal Concilio Vaticano II, “ Sacra Tradizione “, costituisce, unitamente alla  Sacra Scrittura,  Il Deposito Della Fede, che è immutabile, mentre la seconda, come già affermava il Concilio Tridentino, non ha lo stesso valore della Tradizione Apostolica, ma il compito di custodire e trasmettere il Deposito della Fede.

La Sacra Tradizione, la Sacra Scrittura e il Magistero della Chiesa scaturiscono dall’unica sorgente che è Dio, ma secondo il proprio modo ( Dei Verbum n° 10 ), ossia, ognuno esercita un proprio ufficio speciale : la Sacra Tradizione di trasmettere la parola di Dio nella coscienza della Chiesa, la Sacra Scrittura registrarla nei Libri Sacri e il Magistero interpretarla e annunziarla “ : insegnando soltanto ciò che è stato trasmesso “ ( Dei Verbum n° 10 ).

Quando un Vescovo, legittimo successore degli Apostoli, viene ordinato e investito dei poteri di governo della Chiesa, gli viene chiesto, in presenza del popolo, circa il proposito di custodire la fede cattolica e di esercitare il proprio ministero : “ Vuoi custodire puro e integro il deposito della fede, secondo la tradizione conservata sempre e dovunque nella Chiesa fin dai tempi degli Apostoli “ ? Ed egli risponde : “ Si, lo voglio ”.

Il Magistero, quindi, non ha il compito di fare nuove rivelazioni e nemmeno aggiungere altro alla parola gia rivelata, ma di “ custodire puro e integro il deposito della fede, secondo la tradizione conservata… fin dai tempi degli Apostoli”  e aiutare gli uomini a comprenderla e praticarla.

Stando cosi le cose, è da escludere che “L’insegnamento tradizionale”, di cui parla il Catechismo, possa riferirsi  alla “Tradizione Apostolica”. Infatti, gli Apostoli, che hanno trasmesso alla Chiesa originaria :“ ciò che avevano ricevuto dalle labbra, dalla frequentazione e dalle opere di Cristo sia ciò che avevano imparato per suggerimento dello Spirito Santo “ ( Dei Verbum n° 7 ), non hanno, assolutamente, trasmesso la liceità del principio morale della pena di morte, al contrario,hanno trasmessoche : “ Ecclesia abhorret a sanguine “, la Chiesa aborrisce lo spargimento di sangue, come attestano gli scritti originari che riflettono, fedelmente, la “ Tradizione Apostolica “.

Quindi, il principio di liceità morale della pena di morte, a cui fa riferimento “ L’insegnamento Tradizionale della Chiesa”, non può essere contenuto nel “Deposito della fede “, perché non è “ secondo la tradizione conservata… fin dai tempi degli Apostoli ”.

Di conseguenza, “L’insegnamento Tradizionale della Chiesa”, di cui parla il Catechismo, non essendo contenuto nel “deposito della fede”, che è immutabile, non può nemmeno appartenere alla“ Tradizione Ecclesiastica “, avendo essa come compito specifico quello di rispettare ciò che è immutabile e situarlo nel prolungamento della “Tradizione della Chiesa.

Se i Padri della Chiesa hanno condannato la pena di morte considerandola contraria  allo Spirito del Vangelo, è segno che questa dottrina, e non altre, essi hanno ricevuto, direttamente, dagli Apostoli, la medesima contenuta nel “ Deposito della fede “.

Tertulliano, ad esempio, afferma : “ Per quanto si riferisce al potere statale, il servo di Dio non deve emettere sentenze capitali “ ( De Idolatria  cap. 17 ).

Lattanzio : “ Quando Dio proibisce di uccidere si riferisce non solo all’assassinio a scopo di rapina, ma anche al fatto che non si deve uccidere anche in quei casi in cui è ritenuto giusto dagli uomini… l’uccisione in se stessa è proibita “  (Divinae Instituziones VI, 20).

Minucio Felice : “ Per noi non è giusto assistere all’uccisione di un uomo e neppure di ascoltarne il racconto; siamo così contrari all’effusione di sangue che non mangiamo neppure il sangue di animali uccisi “ ( Octavius, V )

I Canoni di Ipppolito, II,16, : “Colui che ha il potere della spada o il magistrato cittadino che porta la porpora ( giudice penale) rinuncino al loro ufficio o siano esclusi ( dalla catechesi ) “.

Concilio di Elvira, can. 56 : ordina che i magistrati duumviri, per quanto non debbano normalmente pronunciare sentenze capitali, non devono entrare in chiesa durante l’anno del loro mandato.

I Canoni del Sinodo Romano ai Vescovi della Gallia, essendo papa Damaso, dichiarano che non possono essere immuni da peccato i funzionari civili che “ hanno emesso condanne a morte, dato giudizi ingiusti ed esercitato la tortura giudiziaria ” ( cap V, n.13 ).

Solo verso la fine del quarto secolo, la dottrina, relativa alla pena di morte, impartita da Gesù agli Apostoli e da questi ai Padri della Chiesa,inizia a fuoriuscire dal solco della “Tradizione Apostolica” e conformarsi alla prassi penale dell’Impero Romano, dal quale la Chiesa era stata inglobata.

Ecco, cosa scrive, verso la fine del quattrocento, S. Ambrogio al magistrato Studius: “ Non si trovano fuori della Chiesa coloro che hanno creduto doveroso pronunciare una pena di morte, la maggior parte di essi però si tengono lontani dalla comunione eucaristica e sono per questo da lodarsi. Io so che la più gran parte dei pagani si ritengono onorati di aver riportato dalla loro amministrazione nelle province una scure non insanguinata : cosa debbono dunque fare i cristiani “ ?  Rm. 13 dà il potere allo stato di uccidere,  ma noi dobbiamo imitare Cristo nel suo perdono all’adultera : “ poiché può darsi che ci sia per il criminale una speranza di miglioramento, se non è battezzato può ricevere il perdono e se è battezzato la penitenza “ ( Ep. 25 ).

Quindi, il Vescovo Ambrogio, in sintonia con la “ Tradizione Apostolica “ loda : “ coloro…si tengono lontani dalla comunione eucaristica “ per il fatto di aver : “ creduto doveroso pronunciare una pena di morte “ . Essendo, però, la Chiesa diventata  parte integrante di un impero militare che, proprio perché tale, non può fare a meno della pena di morte, ne consegue che : “ non si trovano fuori dalla Chiesa coloro che hanno creduto doveroso pronunciare una pena di morte “. Perciò, il Vescovo Ambrogio, consapevole  del pericolo che rappresenta questa promiscuità dottrinale, esorta i cristiani alla tolleranza e ad imitare sempre Cristo, il quale non permise, che venisse comminata, benché prevista dalla legge, la pena di morte, ad una donna colta in flagrante adulterio ( Gv 8,1-11 ).

Tuttavia, dall’interpretazione, secondo cui si dà per scontato, che Rm 13 dà il potere allo stato di uccidere, si intuisce che la Chiesa si era ormai incamminata verso l’abbandono della dottrina originaria e che, di li a poco, si sarebbe conformata a quella dell’Impero e del mondo, contravvenendo, in tal modo, proprio, ad uno dei più importanti insegnamenti di Paolo : “ Non conformatevi alla mentalità di questo mondo ( Rm 12,2 ).

Anche Innocenzo I ( papa dal 401-407 ) dà per scontato che: Dio ha concesso l’uso della spada al diritto penale e quindi la Chiesa non può riprovarlo. Inoltre, dalle sue parole si coglie anche un significativo scollamento con la dottrina originaria. Infatti, nel chiedersi : “ cosa pensare di coloro che dopo ricevuto il battesimo hanno avuto cariche pubbliche ed hanno esercitato la tortura o pronunciato sentenze capitali”, egli  risponde :  “ a questo proposito nulla ci è stato tramandato “ ( Ep. VI, cap. 3,n 7 ), e ciò, nonostante che, una ventina di anni prima, sotto papa Damaso, era stato celebrato il Sinodo Romano, che bollava come peccatori tutti coloro che avevano emesso condanne a morte.

In realtà, quando Paolo dichiara che l’autorità : ” …è al servizio di Dio per il tuo bene. Ma se fai

il male, allora temi, perché non invano essa porta la spada …” ( Rm 13,4 ), non intende, come precisano gli esegeti,  esprimere un giudizio, circa la moralità o meno della pena di morte : Paolo allude all’autorità pubblica così come gli si presentava allora, con la spada.  Le sue parole rispecchiano, semplicemente, i costumi del tempo. Non mirano, in nessun modo, a legittimare il principio penale capitale e conferire al potere pubblico il diritto di esercitare la pena di morte, come, invece, si è voluto interpretare.

Non a caso, proprio nello stesso capitolo, appena qualche versetto più avanti, lo stesso Paolo sottolinea come il precetto divino : “ Amerai il prossimo tuo come te stesso “ sia riassunto dall’adempimento dei comandamenti e, tra questi, menziona appunto il quinto : “ Non uccidere “ ( Rm 13,8-10 ).

E il papa Nicolò I per convincere i Bulgari ad abbandonare il ricorso alla pena di morte, fa leva, proprio, all’esempio di Paolo : Dovete fare come l’Apostolo Paolo che da persecutore si converti e non solo desistette da ogni applicazione della pena di morte, ma si dette tutto alla salvezza delle anime ( Ep. 97, cap. XXV ).

In verità, non la Chiesa come istituzione divina ha riconosciuto al potere pubblico il principio di liceità morale della pena di morte, ma la Chiesa come istituzione umana .

Infatti, il potere della morte non viene da Dio, che si configura come ilDio della vita ( Gv 14,6 ), ma dal suo nemico da : “ colui che della morte ha il potere e cioè il diavolo  “ ( Eb 2,14 ).

Perciò, la Chiesa, configurandosi al mondo e consentendo al potere pubblico di  “uccidere  legalmente “, ha permesso che la Legge divina : “ Non uccidere “ venisse soppiantata  dalla legge umana “ si può uccidere “. 

Inoltre, l’aver riconosciuto al potere pubblico il principio di liceità morale della pena di morte, ha comportato un grave misconoscimento della sacralità e dell’inviolabilità assoluta della vita umana, che va  “dal suo concepimento alla fine naturale “ e ha indotto le coscienze umane al “ Relativismo morale “, secondo il quale la vita umana ha si un valore, ma un valore relativo, non assoluto, ossia, un valore diverso a seconda del punto di vista. 

Infine, autorizzando il potere pubblico a comminare la pena di morte, senza peraltro precisare per quali reati, essa, sia pure involontariamente, si è resa corresponsabile dell’uccisione volontaria di un numero incalcolabile di persone, avendo fornito alle coscienze, soprattutto, dei potenti e dei prepotenti, un validissimo alibi per uccidere “legalmente”.

La Chiesa Cattolica nata dalla Risurrezione di Cristo, il cui ha compito è di perpetuare nella storia la sua presenza gloriosa, deve abbandonare “ il deposito del mondo “ e tornare al “ deposito della fede “ : salvare dalla morte non solo gli innocenti ma anche i criminali, perché Cristo ci ha salvato dalla morte dell’anima ( papa Nicolò I, Ep. 97, cap.XXV ).

Solo il sincero desiderio di vedere una Chiesa, sempre più, regno visibile di Cristo in terra con a capo Pietro, mi ha spinto a formulare queste considerazioni che, incondizionatamente, affido, insieme al mio ministero, al giudizio e all’autorità del papa e, a cui chiedo, filialmente, di scacciare per sempre dalla Chiesa la morte, ministra del diavolo e di pregare, e far pregare, per le anime dell’immane numero di persone uccise, crudelmente, con la pena di morte, la medesima pena, con la quale fu assassinato Cristo, fondatore e capo della nostra Chiesa.

31 Maggio 2008
diacono Giuseppe Cavallaro

e-mail : gius-cavallaro@libero.it

www.chiesacattolicaproprincipiopenalecapitale.com



Lunedì, 02 giugno 2008