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ISSN 2420-997X

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www.ildialogo.org ALBERT SCHWEITZER,DI CARLO CASTELLINI

ALBERT SCHWEITZER

FILOSOFO, TEOLOGO, ORGANISTA DI TALENTO, SCRITTORE DI LIBRI, MEDICO MISSIONARIO TRA I LEBBROSI DEL GABON IN AFRICA, PREMIO NOBEL PER LA PACE NEL 1953


DI CARLO CASTELLINI

SCHWEITZER nasce in ALSAZIA, nel1875, ovvero in una regione di confine continuamente contesa tra FRANCIA E GERMANIA, che in questo periodo era appena tornata sotto il dominio tedesco. Da subito, si trova quindi a vivere i una situazione multiculturale: da una parte la cultura francese e quella tedesca, di popoli stranieri di volta in volta dominatori di quella terra, dall'altra le locali tradizioni alsaziane. SCHWEITZER frequenta le università di STRASBURGO, di BERLINO e di PARIGI, studiando filosofia e teologia. La sua formazine è davvero molto varia: è un organista di talento, scrive un libro su come costruire un organo, un altro su BACH, di cui è uno straordinario interprete; pubblica libri riguardanti Gesù, il primo cristianesimo e San Paolo; altre opere da lui scritte riguardano problemi storico-filosofici. A trent'anni decide di prendere una laurea in Medicina e di dedicare la propria vita alle sofferenze altrui. Tramite la Società delle Missioni evangeliche in Africa, trova lavoro in quella che allora si chiamava AFRICA equatoriale francese, un vasto dominio co loniale posseduto dai Francesi. Nel 1913 quindi, alla vigilia dello scoppio della prima guerra mondiale, SCHWEITZER lascia l'EUROPA per andare a fondare un ospedale, a cui si aggiunge poi un LEBBROSARIO, a LAMBARENE, un villaggio sulle rive del fiume OGOWE', che si trova nell'attuale GABON. Tale regione, scoperta dai Portoghesi nel Quattrocento, era stata per lungo tempo centro della TRATTA DEGLI SCHIAVI. Inizia così per SCHWEITZER un lungo rapporto con quella terra e con i suoi abitanti, che ha abbandonato solamente per brevi periodi. Il primo e doloroso distacco da LAMBARENE', avviene nel 1917, nel pieno della prima guerra mondiale. In quanto cittadino tedesco, residente su territorio francese, sul suolo cioè di un Paese in guerra contro la GERMANIA, SCHWEITZER e sua moglie vengono condotti in un campo d'internamento, da cui usciranno solamente l'anno successivo, alla fine della guerra. Dopo qualche tempo SCHWEITZER tornerà in AFRICA, per lavorare nell'ospedale da lui fondato e per continuare a curare i bisognosi. Forse, se si può riassumere la filosofia di vita di questo medico-missionario, si dovrebbe dire: RISPETTO DELLA VITA. A volte un uomo capisce il senso della propria esistenza, in una situazione apparentemente semplice. Nel 1915, mentre vedeva un raggio di sole sull'acqua increspata, la foresta vergine intorno a sé, e gli ippopotami immersi nel fiume, Schweitzer capì che IL RISPETTO DELLA VITA, rispecchiava chiaramente il suo pensiero. I NERI da lui curati seppero il valore di tale espressione, che mostrava considerazione per i modi di pensare altrui, e per le tradizioni che una popolazione ha sperimentato come valide per lungo tempo. Nel 1953, per il suo operato in Africa, finalizzato ad alleviare le malattie dei popoli da lui considerati fratelli, riceve il PREMIO NOBEL PER LA PACE. SCHWEITZER morirà nel 1965, dopo una lunga vita dedicata a curare le sofferenze altrui.
LA DECISIONE DI DIVENTARE MEDICO NELLA FORESTA. (LA MIA VITA E IL MIO PENSIERO, A. SCHWEITZER, COMUNITÀ, MILANO 1961, PER GENTILE CONCESSIONE DELL'EDITORE).
Il 13 ottobre 1905, un venerdì, imbucai in una cassetta postale, dell'Avenue de la Grande Armèe, a PARIGI, una serie di lettere in cui comunicavo ai miei genitori, e ad alcune delle persone a me più vicine, che con l'inizio del semestre invernale, mi sarei iscritto a medicina, col proposito di andare più tardi come medico nell'AFRICA EQUATORIALE. In una delle lettere, considerato il notevole impegno rappresentato dal nuovo corso di studi, rinunciavo al posto di Direttore del seminario teologico di ST. THOMAS. Quello che ora cominciavo a realizzare era un progetto che mi attirava già da tempo. La sua origine risaliva al periodo studentesco. Inspiegabilmente mi veniva fatto di pensare che, mentre tante persone intorno a me lottavano visibilmente col dolore e con la preoccupazione,io poteo condurre una vita felice. Già a scuola rimanevo turbato quando, scorgendo le tristi condizioni familiari di certi miei compagni di classe, le confrontavo con quelle ideali in cui vivevamo noi ragazzi nella casa pastorale di GUNSBACH. All'università riflettendo sulla mia fortuna di poter studiare e svolgere un'attività scientifica ed artistica, ero di continuo spinto a ricordare che a molti ciò non era consentitto dalle circostanze materiali o della salute. Un radioso mattino d'estate, a GUNSBACH, durante le vacanze di Pentecoste, - era il 1896 – mi aggredì appena svegliato, il pensiero che non potevo accogliere tale fortuna come un fatto naturale, ma dovevo dare qualche cosa in cambio. Dopo una riflessione tranquilla, mentre fuori gli uccelli cantavano, finii per concludere, che avevo il diritto fino al trentesimo anno di età di vivere di scienza e d'arte, per consacrarmi dopo d'allora, al servizio diretto degli uomini. Mi ero chiesto tante volte quale significato avesse per me la frase di Gesù:”Chi vuole conservare la sua vita la perderà, e chi perde la sua vita per amor mio e del Vangelo, la conserverà”. Ora l'avevo trovato. Oltre alla felicità esteriore, possedevo quella interiore. Quale forma avrebbe assunto la mia attività futura, non mi era ancora chiaro allora. Lasciai che fossero le circostanze a guidarmi. Di già fissato c'era soltanto che doveva essere un servizio umano diretto, anche se modesto. Dapprima pensai a sempre senza successo. naturalmente ad un'attività in Europa. Progettai di raccogliere bambini abbandonati o trascurati per educarli e impegnali poi a loro volta, in una simile opera di assistenza. Quando 1903 andai ad abitare nell'ampio, luminoso appartamento ufficiale del direttore, al secondo piano del seminario. Mi presentai ora qui, ora lì, mi trovai in condizione di compiere un tentativo. Le disposizioni degli istituti assistenziali per l'infanzia, non si adattavano ad una collaborazione volontaria del genere.Quando ad esempio, dopo l'incendio dell'orfanatrofio di STRABURGO, mi offersi come suo direttore di ospitare alcuni ragazzi fino a nuovo avviso, egli non mi lasciò neppure finir di parlare. Anche altri tentativi andarono a monte.
Per un certo periodo pensai anche di dedicarmi in futuro a vagabondi ed ex-carcerati. Anche in preparazione di ciò, assecondai un'iniziativa del pastore di ST. THOMAS, AUGUST ERNST. Ogni giorno, era il caso, dall'una alle due, egli riceveva qualunque persona avesse bisogno di un sussidio o di un letto per la notte; e poi invece di farle alla cieca una piccola elemosina, o di farle attendere fino a quando avesse assunto informazioni sul suo conto, le proponeva di andarla a trovare nel corso dello stesso pomeriggio a casa sua, o dove aveva fornito sulla sua situazione e accordarle, se del caso, il proprio appoggio nella misura e per lo spazio di tempo necessario. A tal fine compiemmo un'infinità di corse in bicicletta nel centro della città e nei sobborghi, molto spesso col risultato di costatare che il postulante era talvolta irreperibile all'indirizzo che aveva indicato. Ma in tutta una serie di casi, avemmo occasione, conoscendo la situazione, da vicino, di prestare un aiuto adeguato. Alcuni cari amici mi consentirono di usare anche i loro mezzi all'occorrenza. Già da studente avevo svolto attività assistenziale come membro dell'associazione studentesca “DIACONAT THOMANA”, che si riuniva nel seminario teologico. Ogni settimana ciascuno di noi doveva visitare un determinato numero di famiglie povere, consegnare il sussidio concesso, e stendere un rapporto sulla loro situazione. Raccoglievamo i soldi necessari da benefattori che l'iniziativa, promossa da generazioni precedenti e da noi ereditata, contava tra le vecchie famiglie borghesi, di Strasburgo.
Due volte all'anno, se non sbaglio, ciascuno di noi doveva fare il giro della Questura, che gli era assegnato. Per me che ero timido e maldestro nei rapporti sociali, era una cosa penosa. Credo di essemi comportato talvolta molto goffamente in quelle prime prove delle mie successive ricerche d'aiuti. Ma imparai allora che la richiesta fatta con tatto e discrezione, viene meglio accolta della richeista audace, e che è proprio del giusto elemosinare sopportare di buon animo anche le ripulse. Certo nella nostra giovanile inesperienza, non impiegavamo, malgrado le migliori intenzioni, nel modo più opportuno tutto il denaro consegnatoci. Ma lo scopo era egualmente raggiunto.....(.......).
Quanto ai vagaboni e agli ex-carcerati, avevo capito che si poteva aiutarli in maniera efficace, soltanto con l'intervento di molti individui decisi ad interessarsene. Mi ero d'altronde reso conto che questi potevano combinare qualcosa di utile solo collaborando con qualche oganizzazione. Ma tutto sommato propendevo per una attività assolutamente personale e autonoma.(............).
Un mattino, nell'autunno del 1904, trovai sulla mia scrivania nel seminario di ST THOMAS, uno dei fascicoli con cui la società missionaria di Parigi, riferiva mensilmente sulla sua opera. Una certa signorina SCHERDLIN soleva recapitarmeli. Sapeva che mi interessavo particolarmente della società, per l'impressione che avevano suscitato in me le lettere di uno, di nome CASALIS, quando al tempo della mia infanzia, mio padre le aveva lette durante i culti.
Aprii meccanicamente il fascicolo, deposto sul tavolo la sera prima in mia assenza, mentre lo mettevo da parte per iniziare subito il lavoro. In quel momento il mio sguardo si posò su un articolo dal titolo I BISOGNI DELLA MISSIONE DEL CONGO. Era di ALFRED BOEGNER, il direttore della società missionaria, un alsaziano e deprecava che alla missione mancassero le persone per svolgere la sua missione nel GABON, la regione settentrionale della colonia del CONGO.
Allo stesso tempo esprimeva la speranza che tale appelllo inducesse coloro “sui quali già si posava lo sguardo del Maestro”, ad offrirsi per questo compito urgente. La conclusione diceva:”Di uomini che al cenno del Maestro semplicemente rispondano:”Signore, mi metto in cammino”.,,i tali uomini ha bisogno la Chiesa”. Terminato di leggere mi posi tranquillamente al lavoro. La ricerca era finita. (ALBERT SCHWEITZER, a cura di Carlo Castellini).



Venerdì 04 Marzo,2016 Ore: 23:10
 
 
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