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www.ildialogo.org Franco Masserdotti: vescovo, sì, dentro la chiesa ma fuori dagli schemi e consacrato vescovo anche dal suo popolo,di Carlo Castellini

Testimoni del ns tempo
Franco Masserdotti: vescovo, sì, dentro la chiesa ma fuori dagli schemi e consacrato vescovo anche dal suo popolo

di Carlo Castellini

Dal volumetto di Giovanni Munari “Franco Masserdotti, consacrato dal popolo”. Emi editrice di bologna.


“Non sembrava destinato a diventare vescovo. Aveva una formazione di sociologo, vedute molto aperte e uno stile per nulla ecclesiastico”, così GIOVANNI MUNARI, suo confratello ed amico, testimonia nel suo volumetto di dedica edito dalla Emi di Bologna, di FRANCO MASSERDOTTI, che la Provvidenza ha consacrato pastore di una diocesi del Brasile e accolto dagli indios come loro difensore.

FRANCO è nato a Brescia, ed è morto a Balsas nel MARANHAO, strappato alla vita da un banale incidente stradale, all'età di 65 anni. Aveva inforcato, come suo solito, la bicicletta e imboccato la via che porta fuori città, per una visita alla sua gente. Una macchina che segue un camion tenta un sorpasso a sinistra. Ma non fa a tempo a vedere la bicicletta di Masserdotti, che viene in senso contrario. L'impatto è inevitabile. Il corpo viene scaraventato sul ciglio della strada. Cade con le braccia aperte e il volto rivolto al cielo, la bici in mezzo alla strada. Un taglio netto sul lato sinistro del collo e un rigagnolo di sangue che gli fuoriesce dalla nuca. E' il giorno della sua Pasqua.

Sbigottimento generale nella comunità dei confratelli comboniani, ma anche all'interno dell'episcopato brasiliano; perchè FRANCO è conosciuto e amato da tutti. Occupa ruoli importanti che lo rendono anche famoso. Sacerdoti e laicifanno corona attorno alla sua bara in cattedrale. Tutti hanno qualcosa da dire di Franco. Ultimamente si sentiva solo,, forse era preoccupato al momento dell'incidente.

“Noi sacerdoti eravamo lontani dal nostro vescovo” – ammette un confratello. Un gruppo di indios lo veglia tutta la notte. Al sorgere dell'alba gli rendono l'ultimo saluto. Portano pane e acqua, perchè nel lungo viaggio non patisca né fame, né sete. Infine viene messo a riposo a fianco dell'amico padre e predecessore, RINO CARLESI, vescovo.

Franco Masserdotti era DOM, che in lingua portoghese è il titolo del vescovo. Ma significa anche “DONO”. A Franco si addiceva molto bene.La sua vita fu un dono e poi esprime la semplicità che nel mondo ecclesiastico si trova tra i preti più che tra i vescovi. Era spiritoso ma anche dialogante. “La sai l'ultima”? Con questa domanda era solito iniziare a dialogare, e raccontava le barzellette che aveva lette o sentite. Con questo stile si faceva accettare non solo nei momenti quotidiani ma anche in quelli ufficiali, che richiedevano un certo stile e comportamento.

Tra i vescovi brasiliani si registravano due correnti: una prima dei vescovi CONSERVATORI, e una seconda dei cosidetti PROGRESSISTI. Lui era considerato della secoonda. Dietro il primo gruppo seguiva una chiesa più legata alla liturgia e dalla tradizione e alla dottrina; mentre nei progressisti viveva una chiesa vivace fatta di comunità di base, che valorizza i ministeri laici. FRANCO era accettato da entrambe gli schieramenti, perchè non si presentava in maniera arrogante, ma con un sorriso accattivante, che rivelava il suo ottimsimo di fondo, ma anche di vedute non provinciali, che mettevano sempre al centro dei suoi interessi il bene della persona, prima delle sue teorie e dottrine.

Il suo percorso formativo è simile a quello di tanti altri religiosi. Nasce a Brescia nel settembre del 1941. Al fonte battesimale GIANFRANCO, ma per tutti FRANCO. Crebbe negli anni ferventi del CONCILIO ECUMENICO VATICANO II e delle contestazioni studentesche e giovanili. Divenne sacerdote nel 1966, e riceve il sacro crisma dalle mani del vescovo di Padova mons. GEROLAMO BARTOLOMEO BORTIGNON. Franco era allora affascinato dal clima che si rspirava nella Chiesa e nella società. Ed a motivo della sua vivascità intellettuale i superiori lo destinano all'approfondimento di studi superiori. Ma non nella classica università pontificia. Ma dove? Alla facoltà di sociologia di Trento.

In questa cittadina circolavano gli slogan di LENIN, FIDEL CASTRO, CHE GUEVARA, Si parlava di una società libera dal capitale e dalle sue deformazioni; si insegnava che la società è divisa in classi in conflitto tra loro. Per il suo stile aperto Franco fece amicizia con tutti. Viveva nella comunità comboniana e non se ne vergognava. Mai pensò di dover nascondere a qualcuno la sua condizione di prete. Non sentiva il bisogno di mettersi al riparo da certe critiche perchè era convinto che la contestazione sana non fosse un problema nemmeno per la chiesa.

A Franco piaceva stare con la gente e ascoltare. Non aveva paura di affrontare temi scottanti, non fuggiva dalle discussioni e nemmeno dalle critiche. Per lui la fede deve diventare vita e cercava di farlo negli spazi in cui si trovava. Il suo modo di fare libero e ottimista fece sì che a Trento stringesse in quegli anni grandi amicizie. Ma alcuni rappresentanti della chiesa e dell'istituto lo vedevano come un uomo troppo libero – documenta GIOVANNI MUNARI – e cercavano di mettergli dei freni.

Terminata l'università fu destinato al Brasile. In questo periodo anche l'istituto comboniano risentiva al suo interno delle dinamiche del rinnovamento e del cambiamento. Per questo motivo nel 1969 erano state scritte nuove regole e aggiornate allo spirito del Concilio: (quali altri istituti effettuarono tale operazione? Nda). Ma il rinnovamento aveva delle difficoltà a tradursi nella pratica.

La convivenza tra vecchio e nuovo era talvolta stridente. Franco aveva l'impressione che qualcosa frenasse lo slancio che ci doveva essere. E rifletteva così:....”Mentre nuove generazioni si affacciano alla ribalta della nostra storia quotidiana, mentre problemi sempre più conturbanti gettano una macchia d'ombra sull'umanità noi stiamo ancora ad aspettare a confabulare e in nome della fedeltà a Dio, tradiamo la fedeltà alla storia....”.

Diceva ancora:”Verrebbe l'illusa voglia di camminare da solo nel ritmo vertiginoso del tempo; la rabbia si annida nell'animo quando gli uomini responsabili raggelano la vita nuova che germoglia nelle nostre speranze”. Ma dopo queste riflessioni vitali arriva la sua destinazione al Brasile. Le braccia spalancate del Cristo Redentore del Corcovado, gli diedero la sensazione di essere accolto e abbracciato non solo da Dio ma dal Brasile e dalla sua gente.

Cosa comprese allora? Capì soprattutto – è Giovanni Munari che testimonia – che la vita del missionario è andare dove Cristo c'è già. Non si va mai a portare ma a scoprire, a far emergere una ricchezza già presente. Si va come archeologi e non come commercianti o conquistatori”. Per questo il Brasile gli apre gli occhi e confessa:”Mi accorgo che devo un po' frenare le reazioni emotive di fronte a tante miserie per far lasciar lavorare la testa e trovare l'atteggiamento più corretto e più utile per far del bene vero a questa gente”. Queste le sue considerazioni emergenti quando giunse a Nuova Iorque, nel Maranhao, per cui ebbe a dire:”Devo lasciarmi aiutare dagli immensi valori che essi posseggono, anche se sono a volte sepolti a causa della secolare oppressione di cui sono stati e sono vittime”.

E anche in questa terra le storie di cui viene a conoscenza sono tante. Per una di queste formula una riflessione che tocca tutti denro e fuori e trova spazio nelle sue omelie per niente formali:”Nella predica ho chiesto perchè solo i poveri muoiono di influenza e perchè questo non succede ai ricchi che hanno da mettere dentro qualcosa di più che un po' di riso e fagioli, magari una sola volta al giorno”.

Poi fu chiamato dal vescovo RINO CARLESI, in una comunità vicino a Balsas. Questa diocesi era cresciuta ad un ritmo spaventoso. Franco raccontava di duecento comunità di base e di 800 animatori laici che portavano avanti le cose. “Il nostro sforzo – soleva dire – la nostra preoccupazione è di evitare di far scendere dall'alto idee e piani, perchè emerga la corrresponsabilità e la vivacità di una chiesa che si esprime nella base e lega il vangelo alla vitra, alla lotta, alle speranze della gente. E' un lavoro lungo e paziente, è un processo....lento, a cui non siamo molto preparati perchè mette in crisi tante nostre certezze e la vecchia, latente tentazione del clericalismo”.

Intanto le cose evolvevano, e FRANCO MASSERDOTTI , siamo nel 1979, era stato scelto dai missionari comboniani del Brasile, a portare le loro istanze al Capitolo Generale della Congregazione, dal quale sarebbe uscito come membro della direzione generale. Quindi cambiava improvvisamente il suo panorama pastorale. Anche in quel momento trovò la forza di dire:”Mi sento missioanrio in quello che faccio”. Ma non è finita. Allora? Ancora il Btasile lo richiede e quindi riparte e arriva a San Paolo, nella casa di formazione di coloro che si preparano alla missione. Per questa testimonia:”....La Chiesa dell'America Latina non offre la forza della sua cultura o del suo potere. Essa non ha la pretesa di convertire – questo è opera dellolo Spirito Santo – ma intende servire, testimoniare e annunciare con grande rispetto la proposta di Gesù.

Si alimentano nuove speranze, ci sono nuove attese. Sono gli anni in cui i proprietari terrieri e i ricchi latinfondisti fanno la voce grossa in parlamento e fuori. Ne fanno le spese in tanti. Tra questi ricordiamo EZECHIELE RAMIN, trucidato in Amazzonia, mentre difendeva i piccoli contadini dagli interessi dei grandi proprietari terrieri. Di li a poco sarebbe stata la volta di PADRE JOSIMO TAVARES, prete brasiliano di 36 anni, impegnato nella difesa dei contadini, contro l'ingordigia dei latifondisti: diventa pure lui vittima del latifondo. Che usava i pistoleros sul territorio e i politici nel parlamento per difendere il dirittto alla proprietà.

Tutto questo lo amareggiava ma lo faceva sentire in sintonia con tutti i movimenti sociali. Erano proprio questi che gli facevano confessare:”Dobbiamo camminare con i piedi per terra facendo sempre riferimenti concreti alle sfide missionarie, costituite dalla realtà sofferta del nostro popolo”. Ma la situazione cambia, DOM RINO CARLESI, invecchia ed ha bisogno di un collaboratore con diritto di successione. Propizia l'elezione di Franco Masserdotti, che riceve l'imposizione delle mani dei tre vescovi, Rino Carlesi, Paulo Andrade Ponte e dom Aldo Gerna. Poi è la volta dei fedeli indios. Dopo di che' confessa:”Posso essere al massimo l'animatore ausiliario di un progetto che deve nascere all'interno dell'animo brasiliano”.

In questo periodo FRANCO MASSERDOTTI, non condannava le devozioni popolari. Per lui esprimevano la fede semplice delle persone, e come tali dovevano essere valorizzate. Ed una volta scomparso RINO CARLESI, suo amico fraterno, padre e vescovo, lui divenne naturale titolare alla sua successioe. Commissiono' un'indagine significativa, i cui dati raccolti servirono come base per un percorso che avrebbe influito sul sinodo diocesano. Divenne occasione per discutere di comunione e partecipazione, di nuovi ministeri soprattutto in campo sociale, l'importanza di agire dal basso verso l'alto e mai dall'alto verso il basso, le strutture di servizio. Il suo messaggio non era mai astratto. Non parlava di dottrine. Raccontava la vita. Chiese il frutto della pace. Dio gli rispose:”Un momento: noi non vendiamo frutti, ma solo sementi”. I bambini lo capivano, e gli adulti facevano tesoro delle sue parabole.

Ma giunge l'ora del suo battesimo da parte degli INDIOS. L'occasione propizia si presenta con l'iniziativa della Marcia degli Indios verso PORTO SEGURO nell'aprile del 2000, quando FRANCO MASSERDOTTI VESCOVO, viene arrestato, con altri religiosi e indios. Ne parlarono stampa internazionale BBC e RADIO VATICANA. Ci furono delle reazioni. Franco e gli Indios commentarono:”I primi 500 anni sono stati brutti, i secondi incominciano allo stesso modo”.

Dopo dieci anni di testimonianza di vescovo, voleva passare il testimone ad un pastore brasiliano, come segno di maturità raggiunta da parte di quella chiesa sorella. Quando il suo amico e maestro DOM PEDRO CASALDALIGA, uno dei vescovi più combattivi del Brasile, presentò la sua lettera di rinuncia per raggiunti limiti di età, Franco si offrì di andare a sostituirlo.

Per due motivi: per dare continuità al suo lavoro osteggiato da molti, anche all'interno dell'episcopato; e per dare al vecchio confratello ed amico il sostegno di cui aveva bisogno.

Umanamente parlando, la prelatura era un gradino inferiore rispetto all'elezione a vescovo ..... Ma a FRANCO, i titoli non interessavano. Gli interessava solo essere, fino alla fine fedele a sé stesso ......... (CARLO CASTELLINI).

Fuori Busta: mi piace concludere con questa poesia riflessione di DOM PEDRO CASALDALIGA sul quale spero presto di tornare, dal titolo INSEGNE EPISCOPALI, che ben si addice allo spirito e testimonianza dio vita del nostro:

La tua mitria

sarà il cappello di paglia dei contadini,

il sole e il chiaro di luna,

la pioggia e il sereno,

il passo dei poveri con i quali cammini,

il passo glorioso di Cristo Signore.

Il tuo pastorale

sarà la verità del Vangelo

e la fiducia che il tuo popolo ripone in te.

Il tuo anello

sarà la fedeltà alla Nuova Alleanza

del Dio Liberatore

e la fedeltà al popolo di questa terra.

Non avrai altro stemma

se non la forza della Speranza

e la libertà dei figli di Dio

Non indosserai altri guanti

che non siano il servizio dell' Amore.

(DOM PEDRO CASALDALIGA).




Venerdì 04 Gennaio,2013 Ore: 22:39
 
 
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