- Scrivi commento -- Leggi commenti ce ne sono (0)
Visite totali: (482) - Visite oggi : (1)
Questo giornale non ha scopo di lucro, si basa sul lavoro volontario e si sostiene con i contributi dei lettori Sostienici!
ISSN 2420-997X

Canali social "il dialogo"
Youtube
- WhatsAppTelegram
- Facebook - Sociale network - Twitter
Mappa Sito

www.ildialogo.org Dalla mia cella posso vedere il mare,,di Carlo Castellini

Testimoni del nostro tempo.
Dalla mia cella posso vedere il mare,

Pierluigi Murgioni, di Anselmo Palini, casa editrice AVE, prefazione di Domenico Sigalini, euro 14.OO.


di Carlo Castellini

Ci eravamo visti di sfuggita, un giorno, in chiesa, a Gavardo, di mattina, correva l'anno 1960; quando PIERLUIGI MURGIONI, mi si era avvicinato nel banco, e mi aveva portato la buona notizia che eravamo entrambe stati promossi: lui in seconda liceo ed io in quinta ginnasio presso l'istituto “Cesare Arici”, di via Trieste 17, in Brescia, allora diretto da Cesare Cavalleri, gestito dai gesuiti prima e dai preti diocesani poi.

Ci perdemmo ben presto di vista perchè avevamo intrapreso strade diverse. Del periodo precedente ricordo qualche immagine di gite collettive, verso Monte Magno di Gavardo, in compagnia di altri amici, tra i quali ricordo Vittorio Rizzi, precocemente scomparso, Luigi Franceschetti, ora in Venezuela, Taraborelli e altri amici, di cui non ricordo il nome. Chi l'avrebbe mai detto che ci saremmo ritrovati tanti anni dopo, quando era venuto a farci visita al giornale BRESCIAOGGI, che era allogato allora in via Volta, 179! Io ero allora stato assunto di fresco quale impiegato al giornale, (come dimafonista stenografo), che era uscito con il primo numero nell'aprile del 1974; ed ero andato in corridoio per salutarlo ed abbracciarlo. Era stato da poco liberato, quindi dopo il 1977. Era smunto e dimagrito, con il solito sorriso, pronto e comunicativo; ma non conoscevo allora nulla di tutto il suo calvario che aveva dovuto subire in Uruguay, a motivo della sua testimonianza di uomo e di cristiano, il cui racconto, accompagnato dalle vive testimonianze, avrei ascoltato nella serata di ricordo, cui accenno più avanti.

Le altre notizie e testimonianze che riguardano la sua vita, sono ben raccolte e documentate nel libro ancora fresco di stampa, di ANSELMO PALINI, edito nel settembre scorso. Il salone di viale Venezia, 116, quella sera era molto affollato, per la presenza di familiari, amici, e conoscenti non chè di parrocchiani di GAINO E CECINA, paesino e frazione di Toscolano Maderno, sul lago di Garda, dove ha trascorso gli ultimi anni della sua giovane vita, e che lo ebbero come parroco e come amico, fino alla sua scomparsa.

Pochi in verità, si aspettavano una partecipazione così commossa e corale; infatti il testimone in questione lo meritava a pieno titolo, come avrebbero sottolineato gli amici che hanno fornito testimonianze commoventi e calde, per nulla occasionali. A fare gli onori di casa PADRE ENEA, comboniano, VINCENZO POLVARA, vicario della diocesi di Brescia, e DOMENICO SIGALINI, che ricorda l'amico di studi e l'amicizia con ENZO RINALDINI, vescovo. Mons. DOMENICO SIGALINI, ha aperto l'incontro con parole di circostanza, introducendo poi brevemente alle testimonianze scritte ed orali che trovano puntuale riscontro nel volume del prof. ANSELMO PALINI, che ha coordinato gli interventi della serata, perchè la figura di PIERLUIGI MURGIONI, avesse riconosciuta la sua validità di uomo e di cristiano, sia per la chiesa bresciana, ma anche perchè potesse essere fatta conoscere oltre i confini della regione.

Figlio di PIETRO e di LUIGIA PADERI, genitori originari di Villaputzu, dove era nato il 15 febbraio del '42. Amante fin da adolescente di buone letture, bravo a scuola, carattere spigliato e sicuro di sé, aveva conosciuto presto la bellezza e la virtuosità della tastiera dell'organo, fin quando nel '53 fa il suo ingresso in seminario. In prima media.

Questo tempo della sua prima adolescenza viene ben descritto da don SAVERIO MORI, di Lumezzane e suo compagno di giochi e di studi, che diventerà pure sacerdote, e condividerà con il nostro PIERLUIGI MURGIONI, alcuni anni di missione in URUGUAY, e che non resiste alla commozione mentre testimonia a favore del suo amico.

Erano gli anni dell'indizione del CONCILIO ECUMENICO VATICANO II, e il nostro si stacca da Brescia e accetta di entrare nel seminario per l'America Latina di Verona, che pose la sua prima pietra per la sua edificazione proprio nel novembre del 1962, sotto la protezione della madonna di Guadalupe, e sotto la direzione di FERNANDO PAVANELLO, che conserva di lui un vivo e gradito ricordo.

Nel frattempo vi sono amici che fanno visita al seminario veronese, ricco di fermenti e nuovi ideali di missione; tra questi vi è un certo ROBERTO CACERES, Vescovo di Melo, in Uruguay, che illustra ai teologi la necessità assoluta di sacerdoti per l'America Latina, ma specialmente per la sua diocesi.

SAVERIO MORI e PIERLUIGI MURGIONI, pensano, riflettono e decidono: si prepareranno per la loro grande avventura in America Latina. Ricevono l'imposizione delle mani per la loro ordinazione sacerdotale da parte di PAOLO VI, nel gennaio el 1966. L'America Latina intanto fornisce notizie di nuovi fermenti politici, culturali, sia dentro che fuori la chiesa; vengono alimentate nuove idee, si cerca di applicare a varie esperienze i documenti ufficiali del Concilio Vaticano II, con una nuova apertura ecumenica della Chiesa.

Così letture, esperienze, visite di amici, esperienze, tutte convergono e confluiscono verso il Convegno di MEDELLIN IN COLOMBIA, del 1968, che apre nuove vie e diverse prospettive ad una più efficace evangelizzazione. La Chiesa guarda con sempre maggior attenzione evangelica ai poveri, come primi testimoni della Buona Novella. E ciò avviene anche sotto la forte spinta della TEOLOGIA DELLA LIBERAZIONE, che trova uno dei suoi primi pionieri in GUSTAVO GUTIERREZ. Anche PIERLUIGI prende a studiare e riflettere sui problemi umani e sociali.

Sono anche gli anni della PACEM IN TERRIS (63) e della POPULORUM PROGRESSIO (67), ed il vento conciliare soffia fortemenre tra le chiese latino-americane. L'Uruguay è un paese pieno di contraddizioni e suggerisce l'idea di uno specchio rotto, come ci fa capire molto bene EDUARDO GALEANO, nel suo saggio :”LAS VENAS ABIERTAS DE AMERICA LATINA”.

Giunto colà il nostro PIERLUIGI, prende in affitto una piccola casa in un piccolo quartiere di MELO, dove lavora come operaio prima e come taxista poi, in un paese di forte ingiustizia sociale e evidenti disuguaglianze. Ma come si giunse al suo arresto e quali i motivi del medesimo?

Le autorità politiche e militari cominciano a guardare con sospetto certi suoi movimenti e atteggiamenti; per i quali il suo nome viene ben presto evidenziato sul taccuino di poliziotti e carabinieri, che lo controllano sempre più strettamente; nel tentativo di trovare una prova schiacciante della sua attività rivoluzionaria o presunta tale, poiché si schiera sempre più apertamente a favore dei poveri.. e il suo stile di vita e modo di pensare lo fanno accomunare molto allo stile dei TUPAMAROS. Il motivo dell'arresto è trovato: PIERLUIGI è un tupamaro.

Anche la chiesa uruguaiana si schiera dalla parte dei poveri, più tardi verrà arrestato farà esperienza del carcere duro, ma non racconterà mai palesemente quante e quali furono le torture subite in carcere. Si vedano a tale proposito le relazioni ricordo sia di DON SAVERIO MORI, che di altri.

Sarà però VANDA BONO ad intervistarlo ed a raccogliere le sue confidenze e le pene sofferte in carcere E la nostra a testimonianza della prassi ormai diffusa e radicata nelle carceri uruguaiane, da soldati e poliziotti, che adottano i migliori strumenti pur di fiaccare e la volontà e la personallità dei detenuti. Viene quindi ad hoc praticata anche la tortura psicologica: (come l'isolamento dagli altri).

Ma tra i detenuti c'è un personaggio speciale, un uomo di cultura, musicista e musicologo, esperto di pianoforte e chitarra è JUAN BALADAN GADEA, anche egli in odore di eresia, davanti alle gerarchie dello stato, viene pure lui imprigionato (si farà ben tredici anni di carcere), senza avere la possibilità di difendere la sua innocenza. (pag. 122). L'arresto del nostro trova una vasta eco sulla stampa nazionale e internazionale.

Si attiva prontamente anche il vescovo di allora Mons. LUIGI MORSTABILINI, che si prende a cuore la questione della detenzione del nostro; e scrive ai fedeli bresciani per far conoscere la vera situazione dei due sacerdoti bresciani: DON SAVERIO MORI E DON PIERLUIGI MURGIONI.

PIERLUIGI MURGIONI, da testimonianze confidenziali ma fondate, viene incappuciato, viene messo in insolamento, viene brutalmente percosso, ha dovuto patire fame e sete, con gambe divaricate e mani dietro la nuca; trascorre la notte senza vestiti; e subisce l'applicazione dell'ago elettrico (ai genitali si suppone). Tutto questo nel corso di cinque lunghi anni di detenzione e di isolamento, sia nel primo carcere quello della LIBERTAD, in cui è stato rinchiuso, ma anche nel secondo nel quale è stato trasferito.

DON RENATO MONOLO, andato ben due volte a manifestare amicizia e solidarietà sua personale e quella della chiesa bresciana, una volta tornato dal paese latino americano, rende una significativa testimonianza scritta di ciò che ha visto sul settimanale diocesano LA VOCE DEL POPOLO, del 1979; la sua riflessione

Tra queste quella di SAVERIO MORI:”La fede di Pierluigi è sempre stata schietta e forte e la sua esprienza in carcere è stata un lungo e travagliato ripensamento sulla

sua vita umana e sacerdotale tra luci e ombre ......... Ha sofferto una crisi, quella di non

potersi identificare con quella chiesa che non ha trovato il coraggio di opporsi decisamente al potere ingiusto; in certi momenti ha sofferto la tentazione di dissociare la sua vita di ministro da questa chiesa, incapace di coraggiosa testimonianza per paura del martirio. …....”.

Quella di FERNANDO PAVANELO:”E quando penso a PIERLUIGI, mi torna in mente il ricordo di una strana statuina di legno: raffigurava un gatto che tinee in bocca, appeso per la coda, un topolino. Me l'aveva fatta trovare una sera sul tavolo della mia stanza nel seminario per l'America Latina di Verona. Sotto al gatto c'era un biglietto con scritta una frase del profeta GEREMIA:”Mi hai sedotto, Signore, e io mi sono lasciato sedurre”. Firmato Pierluigi.

Quella di SILVANO BERLANDA:”Pierlugi è stato un amico, un buon prete, un coraggioso cristiano. Lo ricordo con affetto. Sono sicuro che il suo ricordo servirà a molti, anche in futuro”.

MARIO BANDERA:”Pierluigi fu forte, resistette ad ogni tortura e condizionamento. I suoi compagni di sventura lo ricordano come colui che sosteneva la speranza di tutti ed era un riferimento preciso nella disgreazia collettiva del carcere”.

GIAMPAOLO COLELLA, addetto consolare del Ministero degli Esteri:” ............

Fu quindi pastore tra i detenuti e fece del carcere la sua nuova parrocchia. Affrontò le durezze della prigionia con cristiana rassegnazione, ma altresì con una fermezza e una tenacia tali da farne un detenuto decisamente scomodo. Non v'è alcuna contraddizione in questo suo atteggiamento meditato e non frutto di emotività caratteriale”.

GIAMPIERO BARESI:”: ....... Sempre ebbi una sincera e grande stima di lui, per

l'integrità della sua ricca personaliltà, protetta da un comportamento riservato, non preoccupato per la sua immagine, solido nelle sue convinzioni, mite nel difenderle, tutto basato sulle motivazioni evangeliche, totalmente consacrato alla missione della liberazione dei poveri”.

RENATO SOREGAROLI, missionario in Uruguay prima e in Btrasile poi:”Nella sua personalità appariva prima di tutto l'uomo. Era intelligente, introspettivo, con unba visione tutta sua dei fatti, del mondo, delle persone, e insieme con una grande capacità di ascolto e di attenzione all'altro. La sua umanità traspariva dalle attenzioni, dal rispetto, dagli interessi e dalla sensibilità”.

PAOLA USARDI E SERGIO ZANINI:”Ha saputo prendere decisioni coraggiose e subirne le conseguenze con diugnità, onestà, senza piangersi addosso o cercare giustificazioni, ma con risolutezza ha vissuto e testimoniato, anche in carcere, quando ci parlava di cieli nuovi e di terre nuove”.

PADRE GIOVANNI BARLOTTINI, missionario veronese della Fidei Donum:”Quando passavo davanti al carcere dove lui stava, sentivo dolore e ammirazione per questo testimone della fede e del popolo povero dell'interno del Paese, los campesinos, che lui h amato e servito nella sua diocesi di Melo ..... ”.

CHE DIRE ALLA FINE DI QUESTA TREMENDA STORIA?

Provo una grande ammirazione e stima per le doti umane e per la coerenza cristiana. Ma anche una intima commozione per le ingiustizie subite, grande empatia per i temi trattati; ma anche simpatia per la persona. Motivi per i quali la sua figura merita di uscire dai ristretti confini della provincia e della regione, (sono le parole conclusive di ANSELMO PALINI), per diventare patrimonio della grande Chiesa del Popolo di Dio, al di fuori di ogni deformante retorica. (CARLO CASTELLINI)




Lunedì 17 Dicembre,2012 Ore: 18:48
 
 
Ti piace l'articolo? Allora Sostienici!
Questo giornale non ha scopo di lucro, si basa sul lavoro volontario e si sostiene con i contributi dei lettori

Print Friendly and PDFPrintPrint Friendly and PDFPDF -- Segnala amico -- Salva sul tuo PC
Scrivi commento -- Leggi commenti (0) -- Condividi sul tuo sito
Segnala su: Digg - Facebook - StumbleUpon - del.icio.us - Reddit - Google
Tweet
Indice completo articoli sezione:
Testimoni del nostro tempo

Canali social "il dialogo"
Youtube
- WhatsAppTelegram
- Facebook - Sociale network - Twitter
Mappa Sito


Ove non diversamente specificato, i materiali contenuti in questo sito sono liberamente riproducibili per uso personale, con l’obbligo di citare la fonte (www.ildialogo.org), non stravolgerne il significato e non utilizzarli a scopo di lucro.
Gli abusi saranno perseguiti a norma di legge.
Per tutte le NOTE LEGALI clicca qui
Questo sito fa uso dei cookie soltanto
per facilitare la navigazione.
Vedi
Info