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www.ildialogo.org UN MAGISTERO IN SINTONIA COL MONDO. LA CHIESA DI BASE RICORDA IL CARD. MARTINI,da Adista Notizie n. 33 del 22/09/2012

UN MAGISTERO IN SINTONIA COL MONDO. LA CHIESA DI BASE RICORDA IL CARD. MARTINI

da Adista Notizie n. 33 del 22/09/2012

36839. ROMA-ADISTA. Sono passate due settimane dalla scomparsa del card. Carlo Maria Martini (31 agosto) e da quella lunga coda di oltre 20mila estimatori, credenti e non credenti, che infaticabilmente hanno partecipato alle esequie per porgergli l’ultimo saluto (3 settembre). Ma il massiccio coinvolgimento dei laici prosegue con un proliferare di interventi su giornali e telegiornali, nazionali e no, che alimentano l’irritazione delle gerarchie cattoliche, impegnate ad arginare e ridimensionare in ogni modo il messaggio “alternativo” dell’opera di Martini. E così, per quella Chiesa di base, che dall’epoca del Concilio Vaticano II chiede a gran voce un cambio di rotta alla Chiesa-istituzione, la scomparsa di Martini è stata anche l’occasione per ricordare che – come lui stesso ha detto nell’intervista al Corriere della Sera pubblicata il primo settembre (v. Adista Notizie n. 32/12) –, su temi scottanti come fine-vita, famiglie plurali, celibato obbligatorio, ruolo dei laici e della donna nella Chiesa, collegialità, rapporto con la scienza, laicità delle istituzioni, dialogo interreligioso, ecc., «la Chiesa è rimasta indietro di duecento anni».

Quel ministero «diverso»

Secondo Vittorio Bellavite (portavoce di Noi Siamo Chiesa), quello del card. Martini è stato un magistero non “contro” la Chiesa – come hanno spesso asserito i suoi detrattori – ma «che è andato al di là della Chiesa». In un comunicato del primo settembre, Bellavite ha identificato in alcuni nodi la grande sfida del cardinale di Milano: la «centralità assoluta della Parola di Dio come fondamento della vita cristiana e della pastorale della Chiesa»; il costante «rapporto di ascolto e di dialogo con i non credenti e con gli uomini e le donne in ricerca»; l’«attenzione alle nuove problematiche poste da nuovi aspetti della convivenza civile, in particolare quelli sollecitati dalla ricerca scientifica, soprattutto in campo bioetico»; l’«impegno nel movimento ecumenico perché l’unica Chiesa di Dio si ricomponga dopo le scissioni del secondo millennio».

A conti fatti, afferma Bellavite, quello del cardinale è stato un magistero «diverso» da quello ufficiale e soprattutto da quello milanese, solerte nel proporre «un cattolicesimo dell’identità e di acritica accettazione di qualsiasi posizione proposta dal vertice della Chiesa». Tanto diverso che gli ha guadagnato, negli anni, l’affetto di tanti, credenti e non credenti, «che si sentono lontani dalle strutture ecclesiastiche e dalle loro politiche».

Come ultima nota, Bellavite ricorda la «radicale ostilità, etica e culturale» di Martini «nei confronti del leghismo e del berlusconismo, dominanti a Milano per lunghi anni».

Un «sogno» contagioso?

Il 3 settembre, anche Luigi Sandri (vaticanista di Confronti e del quotidiano Trentino) ha salutato Martini, con un articolo che Adista e altre testate hanno ricevuto via e-mail. Nel suo ricordo, Sandri sottolinea un passaggio emblematico dell’incessante opera riformatrice del cardinale: quel Sinodo dei vescovi dell’ottobre 1999, a 40 anni dall’annuncio del Vaticano II, in cui il cardinale presentò a sorpresa un intervento – diverso da quello previsto e consegnato prima dell’assise – nel quale invocava per la Chiesa cattolica l’indizione di un nuovo «confronto collegiale e autorevole», che in molti hanno poi definito “Concilio Vaticano III” (Adista ottenne in esclusiva il testo, censurato dai media vaticani, e lo pubblicò sul n. 73/99). «La Curia romana (salvo eccezioni), la maggioranza dei padri sinodali e del collegio cardinalizio contrastarono», scrive Sandri, «con un ostinato silenzio o con una minimizzazione insistita, l’idea del prelato». Tra i più fervidi oppositori, papa Wojtyla e il card. Ratzinger.

Ad appoggiarlo, invece, una serie di realtà del cattolicesimo di base, tra cui il movimento internazionale Noi Siamo Chiesa, che aveva raccolto 2,5 milioni di firme in sostegno ad alcune delle riforme da lui stesso proposte per la Chiesa cattolica di Roma. Da Noi Siamo Chiesa, però, Martini prese presto le distanze. «Questa opposizione (a Milano il cardinale rifiutò sempre di ricevere il portavoce italiano del Movimento) – ricorda Sandri – mostra la sua difficoltà ad instaurare, anche all’interno della Chiesa ambrosiana, quel dialogo che egli auspicava a tutti i livelli. Ma, forse, egli scelse questa strada per non dare ulteriori motivi all’establishment ecclesiastico per opporsi al suo “sogno”. Un “sogno” che, evaporato sotto i pontificati di Wojtyla e di Ratzinger, potrebbe tornare di attualità al prossimo conclave», perché il sogno di Martini, chiosa il giornalista, sembrerebbe oggi condiviso da un vasto parterre di vescovi e teologi di tutto il mondo.

Niente accanimento, la vita non finisce

Morire senza accanimento terapeutico: questo il focus dell’intervento di Raniero La Valle (tra i promotori di “Sinistra cristiana” e “Economia Democratica”) sul sito del manifesto, il 3 settembre. Il senso di questa scelta, dice La Valle, sfugge alla logica della feroce contrapposizione sul “fine vita” di questi ultimi anni. E rappresenta anche un’ottima chiave interpretativa di tutta la parabola esistenziale del cardinale. «Nel suo magistero, nel quale aveva sempre valorizzato la vita, aveva pure annunciato un’altra vita in Dio, senza più limiti di spazio e di tempo»: la fede nella resurrezione doveva quindi «animare e motivare l’ultimo tratto della sua vita terrena. E questa, la fede, era stata la sua vera profezia. Perché molto, su tutte le sponde, si parla della Chiesa», ma, «troppo spesso, se non quasi sempre, si dimentica che la vera posta in gioco non è una scienza, non è una politica, non è una legislazione, non è una morale, ma è la fede». Anche secondo Raniero La Valle il primato della fede – non quindi quello della dottrina – «era precisamente ciò che spingeva Martini a parlare a tutti e ad andare a scuola da tutti, credenti e non credenti, laici e consacrati, cattolici e altri cristiani, uomini di altre religioni e senza religione». Con la sua morte “senza accanimento” – chiude La Valle – Martini vuole testimoniare quello in cui più crede: «La profezia non finisce, e nemmeno la vita». Ed è tutto ciò in cui deve credere «un uomo di Dio, gesuita, cardinale o papa che sia. Martini lo ha detto e lo ha testimoniato fino alla fine».

La fede che nasce dalla libertà

«Una Chiesa concentrata tutta sulla testimonianza e sull’annuncio della Parola che salva. Una Chiesa libera, povera e sciolta»: era questo il sogno di Martini secondo Franco Monaco, senatore del Pd, presidente dell’Ac ambrosiana quando Martini era arcivescovo di Milano e «allievo spirituale» del cardinale, come ama definirsi. In un’intervista a Famiglia Cristiana (4/9), Monaco chiarisce l’idea di Chiesa nel lessico di Martini: una Chiesa alleggerita dal «sovraccarico istituzionale», «più collegiale e dunque aperta alla partecipazione responsabile del popolo di Dio», «non ossessionata dalla preoccupazione di esercitare una influenza sulla società e sulle istituzioni», «dotata dell’umiltà e del coraggio di mettere a tema questioni spinose e controverse abitualmente esorcizzate» perché contrarie alla tradizione. Martini credeva certamente nell’esistenza di valori “non negoziabili” per la coscienza del cristiano, ma riconosceva altresì – ricorda Monaco – l’«esercizio della mediazione politica. Che si concreta nell’insediare tali principi dentro la vita concreta della polis, specie nel contesto di società contrassegnate dal pluralismo delle concezioni etiche e da ordinamenti democratici». Sporcarsi le mani nella vita, dunque, senza mai dimenticare l’invalicabile confine tra credo religioso e azione politica perché, «proprio dalla cura per tali distinzioni, potesse trarre vantaggio rispettivamente la libertà e l’universalità e la missione della Chiesa, custode di una Parola che sfida e giudica la politica ma la trascende». «Era sintonizzato con la cultura contemporanea, sotto il profilo della soggettività e della libertà della coscienza», conclude Monaco. «Amava sostenere che in assenza di una coscienza libera non si dà cristianesimo. Il cristianesimo nasce nella libertà e si sviluppa solo nella libertà. E questo è molto in sintonia con la cultura contemporanea (…). Anche i laici sentivano che era interprete di un messaggio di libertà, non di costrizione, non moralistico, non legalistico».

Un leader che non voleva essere leader

«Se fossimo stati tutti come lui, audaci e prudenti, il Vaticano II non sarebbe un reperto archeologico». Ne è convinta Giancarla Codrignani (saggista, già parlamentare della Sinistra Indipendente) che, in un articolo pubblicato su Confronti il 4 settembre, invita a riflettere sull’eredità lasciata da Martini e su quell’amara conclusione – «La Chiesa è rimasta indietro di duecento anni» –, «espressione lucida di una sofferenza che non è stata soltanto sua, ma di molti teologi silenziati dalla censura vaticana».

Eccole, allora, le lezioni di Martini per la Chiesa di oggi, secondo Codrignani: «Lezioni di dubbio davanti al mistero della fede che non fornisce ricette consolatorie sulla morte. Lezioni di teologia attenta a rileggere la scrittura e la morale per l’umanità del terzo millennio. Lezioni di purificazione dai tabù tradizionali che hanno coinvolto la religione nella mortificazione della corporeità e del sesso, con sofferenze che, nel caso dell’omosessualità, hanno prodotto grandi sofferenze. Lezioni di cultura “plurale” (…) per imparare nella reciprocità, anche con gli atei; e, con lo stesso interesse, dialogo con le altre religioni (…). Lezioni di carità autenticamente cristiana sui limiti della bioetica strumentale e nelle argomentazioni per l’accettazione del preservativo, della volontà del malato in materia di accanimento terapeutico, delle libere convivenze “che sono già famiglie” e della comunione ai divorziati. Lezioni di solidale “scelta dei poveri”, sia nella presenza diretta in carcere, negli ospedali, tra i lavoratori, sia nel sostegno per leggi internazionali di giustizia sociale, per un’Europa migliore, per limitare i danni delle speculazioni e del liberismo nella crisi. Lezioni di giustizia, di temperanza (…). Lezioni di amore». (giampaolo petrucci)

Articolo tratto da
ADISTA
La redazione di ADISTA si trova in via Acciaioli n.7 - 00186 Roma Telefono +39 06 686.86.92 +39 06 688.019.24 Fax +39 06 686.58.98 E-mail info@adista.it Sito www.adista.it



Sabato 22 Settembre,2012 Ore: 21:21
 
 
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