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www.ildialogo.org Ricordando padre Carlo Maria Martini, profeta dell’ascolto e del dialogo.,di Pierpaolo Loi

Ricordando padre Carlo Maria Martini, profeta dell’ascolto e del dialogo.

di Pierpaolo Loi

Scrivere su Carlo Maria Martini, gesuita, biblista di fama, arcivescovo di Milano e cardinale, non è facile perché si può cadere nella superficialità, nell’encomio di facciata o nella “rispettosa” denigrazione.

Ho conosciuto e ascoltato p. Martini quando, ancora professore di studi biblici, teneva dei corsi alla Facoltà Teologica della Sardegna a Cagliari; in seguito, già arcivescovo di Milano, a una sessione del S.A.E. (Segretariato Attività Ecumeniche) che si svolgeva a La Mendola. Sempre mi ha colpito il suo apparente distacco, il suo portamento quasi aristocratico, ma anche la sua parola chiara ed efficace nell’insegnamento. Chiarezza ed efficacia che scaturivano da uno studio appassionato, mai banale, sempre scrupoloso e attento a ciò che la Parola di Dio nelle Scritture sacre e nella vita delle persone poteva suggerire per migliorare il vivere quotidiano del singolo e della comunità.

L’aver studiato a Gerusalemme – dove poi volle tornare, terminato il servizio episcopale – credo abbia inciso profondamente nel suo percorso di essere umano, prima che di cristiano. Gerusalemme – al contrario di quanto annuncia il suo nome – è la città del conflitto irrisolto, della pace agognata, ma resa sempre più irraggiungibile fra palestinesi e israeliani. Per Martini, Gerusalemme è il punto nodale della Pace tout-court a livello planetario: luogo dove si ritrovano connesse negli edifici, nelle istituzioni e nel cuore della gente le tre religioni del libro (ebraismo, cristianesimo e islam). L’incontro, anche di religioni altre, come l’induismo in India e il buddismo, hanno certo influito sul suo atteggiamento profondamente ecumenico e interreligioso che si potrebbe riassumere in una frase: “Bisogna imparare a vivere accogliendo la ricchezza delle diversità, riconoscendoci nei diversi da noi”.

La sua invenzione della “cattedra dei non credenti”, come ricorda in una bellissima intervista, suggeritagli da un suo prete - che rispondeva alla richiesta di cosa fare per ascoltare e incontrare i così detti lontani, quelli che non entravano nella cattedrale, non partecipavano ai riti religiosi – nel senso di occasione di insegnamento, venne trasformata da lui nell’ascolto delle ragioni di coloro che si definiscono atei o agnostici, nell’apprendimento attraverso il dialogo aperto, franco e fiducioso…

Proprio da queste esperienze, Carlo Maria Martini ha maturato in sé il coraggio di porre la chiesa istituzionale, arroccata su frontiere dottrinali e pastorali ormai obsolete – nella sua ultima intervista dice che la chiesa è indietro di duecento anni –, davanti alle sfide della vita contemporanea: collegialità nell’esercizio dell’autorità, celibato dei preti, cura pastorale dei credenti divorziati con l’accesso ai sacramenti, unioni di fatto e famiglie allargate, etica sessuale e omosessualità, sofferenza, fine vita e eutanasia, accanimento terapeutico (che coerentemente ha rifiutato), strapotere della tecnologia…Di fronte a queste problematiche, affrontate dall’istituzione più col cipiglio del padre severo che esprime giudizi e punizioni che della madre di tenerezza e misericordia, Martini riteneva necessario un nuovo Concilio ecumenico.

Pur non avendo partecipato al Concilio Vaticano II, certamente ne è stato un interprete fedele nelle aperture alla modernità che il Concilio ha saputo esprimere. Ma è andato anche oltre, ponendo sul tappeto le questioni irrisolte - in questo profeta scomodo, come altri nel 20° secolo -, ma che non possono essere sottaciute, pena la distanza sempre più incolmabile tra la vita dei credenti e l’istituzione autocratica della chiesa.

Non vorrei che anche a lui la chiesa erigesse un “sepolcro” come ebbe a dire consegnando il premio Giuseppe Luzzati al sofferente p. Davide Maria Turoldo, con un gesto che è stato davvero profetico: “Oltre l’apprezzamento per quel che sei, vogliamo fare atto di riparazione, vogliamo evitare di edificare soltanto sepolcri ai profeti, e dirti che se in passato non c’è stato riconoscimento per la tua opera è perché abbiamo sbagliato” .

Spero vivamente che il richiamo fatto da padre Carlo Maria Martini, come amava essere chiamato, a liberare il fuoco del Vangelo dalla spessa coltre di cenere, che impedisce a tanti di trarre calore e alimento da esso, venga ascoltato e accolto da coloro che nella chiesa hanno il ruolo di servire la Parola e il popolo di Dio.

Questo articolo è stato già pubblicato sul sito: http://newschorus.wordpress.com/




Venerdì 07 Settembre,2012 Ore: 15:58
 
 
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