- Scrivi commento -- Leggi commenti ce ne sono (0)
Visite totali: (385) - Visite oggi : (1)
Questo giornale non ha scopo di lucro, si basa sul lavoro volontario e si sostiene con i contributi dei lettori Sostienici!
ISSN 2420-997X

Canali social "il dialogo"
Youtube
- WhatsAppTelegram
- Facebook - Sociale network - Twitter
Mappa Sito

www.ildialogo.org Monsignor Romero presenza di Dio in mezzo al popolo salvadoregno.,di Pierpaolo Loi

Monsignor Romero presenza di Dio in mezzo al popolo salvadoregno.

di Pierpaolo Loi

Ignacio Ellacuría e Jon Sobrino, gesuiti professori dell’UCA (Università Centro America), hanno sondato e approfondito la figura del vescovo Romero mettendo in risalto le caratteristiche fondamentali della sua persona e della sua missione in mezzo al popolo salvadoregno1. Proprio a partire dal “popolo” e dal suo rapporto con esso: per Romero “Con questo popolo non è difficile essere un buon pastore”2; Ellacuría completa queste parole aggiungendo che “con questo pastore è facile essere popolo di Dio” 3.

Cosa intendeva mons. Romero per popolo? El pueblo era l’insieme della gente, in massima parte contadini e operai, che viveva in una condizione strutturale di ingiustizia sociale, dato che 14 famiglie in El Salvador possedevano tutta la ricchezza della nazione e la classe dirigente – appartenente all’oligarchia – ne difendeva i privilegi. Questo popolo era considerato da Romero pueblo de Dios di cui egli era il pastore e alla cui cura si era dedicato con tanta passione. Un popolo umiliato, spesso maltrattato e infine decimato dalla repressione. In esso Monsignore vedeva il Servo sofferente di Jahvé, il Cristo trafitto dai chiodi sulla croce: un popolo crocifisso 4.

Ignacio Ellacuría, a partire da questa intuizione di Romero, scrisse un testo in preparazione alla II Conferenza dei vescovi dell’America Latina (Puebla, gennaio-febbraio 1979) intitolato El pueblo crucificado, ensayo de soteriología histórica, nel quale il popolo sofferente è paragonato al “servo sofferente di Javhé” (febbraio 1978)5. Nel 1981 a Madrid scrisse un altro saggio dal titolo Discernir el ‘signo’ de los tempos nel quale affermò che “il segno dei tempi” è sempre il popolo storicamente crocifisso6.

Non era un popolo privo di difetti e senza peccato quello salvadoregno, tuttavia era profondamente cristiano, in cammino alla sequela del Maestro; talvolta aveva bisogno di una parola che lo riportasse sulla retta via, per es. di fronte alla violenza7. A questo popolo afflitto, oppresso, represso e disprezzato mons. Romero dedicò la sua vita umana e sacerdotale. Verso il suo popolo – dice Sobrino – Romero aveva gli stessi sentimenti di Gesù nei confronti delle folle che lo seguivano: “Vedendo le folle, ne sentì compassione, perché erano stanche e sfinite come pecore che non hanno pastore” (Matteo 9, 36).

Romero per primo si era messo a seguire le orme di Gesù.

Aveva sempre amato la povera gente - era figlio di gente del popolo -, che andava a visitare nelle più povere e remote contrade della diocesi di Santiago de Maria, prima, e di San Salvador quando divenne arcivescovo8. Prima che di diventare arcivescovo, essendo un uomo pio, formatosi a Roma, conservava dei pregiudizi nei confronti della chiesa popolare e delle comunità di base. Non aveva assimilato del tutto i contenuti profetici della II Conferenza episcopale latinoamericana di Medellín (1968). Quando un suo parroco e amico gesuita Rutilio Grande venne massacrato cambiò e il popolo perseguitato, le vittime indifese dell’ingiustizia e della repressione, furono per lui la presenza visibile del Crocifisso nella realtà salvadoregna. Non elaborò una teologia della liberazione – lo fecero Ellacuría e Sobrino, due straordinari teologi – ma la sua azione e la sua parola mostrarono la via della liberazione integrale.

Le sue omelie domenicali erano strutturate in modo da rendere sempre visibile l’ingiustizia che il popolo subiva, dando nome a tutte le vittime e, nello stesso tempo, erano lettura del presente alla luce della Parola di Dio, per superare la negatività e aprirsi alla speranza di un mondo nuovo.

Per il popolo salvadoregno Romero continua a vivere: “Romero vive” gridavano le decine di migliaia di persone nel 30° anniversario del suo martirio. Evangelizzato dal suo popolo – come ebbe a dire – ha attraversato le contrade del Salvador per portare consolazione e speranza e, in questo suo passaggio, il popolo ha visto la presenza di Dio. Di Dio mons. Romero aveva predicato la trascendenza assoluta, ma una trascendenza che in Gesù si è fatta “trans-discendenza” e “con-discendenza” nei confronti degli umili, dei poveri e degli oppressi9. Dei quali l’arcivescovo aveva difeso il diritto di organizzazione e di lotta, pur aborrendo la violenza. Per affermare la legittimità delle organizzazioni popolari aveva scritto insieme a mons. Rivera y Damas la III Lettera Pastorale.

Come oggi sentiamo i pastori lontani dal popolo cristiano! Sentite ancora parlare di popolo, di popolo di Dio? La parola popolo negli ultimi tempi è stata usata solo strumentalmente a fini populistici da alcuni politici. Ma non può esserci cristianesimo senza “popolo” di Dio. Il popolo con cui si è identificato mons. Romero è sempre presente anche in una società opulenta e, certamente nella crisi attuale, bisogna saperlo scorgere nel volto delle persone marginali, delle persone che perdono o dei giovani che non trovano il lavoro, degli immigrati sfruttati o respinti.

“Dare la voce ai senza voce” senza pretendere niente in cambio, abbandonare i privilegi, vivere la povertà evangelica come ha fatto mons. Romero: solo così la chiesa potrà tornare ad essere segno e strumento di salvezza e di liberazione in questo tempo di grande incertezza e di cambiamento.

Note

1 Ignacio Ellacuría subì la stessa sorte di mons. Romero: il 16 novembre 1989 fu assassinato all’interno dell’Università centroamericana (UCA) da uno squadrone dell’Esercito salvadoregno, addestrato per l’anti-guerriglia da militari degli Stati Uniti, insieme a cinque confratelli gesuiti (Amando López, Ignacio Martín-Baró (Nacho), Joaquín López y López, Segundo Montes, Juan Ramón Moreno Pardo (Pardito), e a due donne, Elba Julia Ramos e sua figlia Celina Maricet Ramos, che prestavano servizio nella comunità. Jon Sobrino scampò al massacro perché era in viaggio.

2 Durante l’omelia del 18 novembre 1979, dopo aver ascoltato il messaggio del “Consiglio Nazionale delle Chiese di Cristo degli Stati uniti d’America per bocca del teologo presbiteriano Jorge Lara-Breud, mons. Romero dice: “Reciba, con estos aplausos de nuestro querido pueblo, el agradecimiento y la admiración por este gesto de fraternidad ecuménica. Quiero que a su regreso exprese simplemente lo que ha visto y oído, y lleve el testimonio de que con este pueblo no cuesta ser un buen pastor” [Riceva, con questi applauso del nostro riferisca semplicemente ciò che ha visto e udito, e testimoni che con questo popolo non è difficile essere un buon pastore], in http://servicioskoinonia.org/romero/homilias/B/791118.htm.

3 Discorso di I. Ellacuría alla consegna a mons. Romero di un dottorato postumo honoris causa da parte della UCA nel 1985: “Completando lo que él solía decir ‘con este pueblo qué fácil es ser bueno pastor’ , puede decirse ‘con este pastor qué fácil es ser pueblo de Dios’” [Completando ciò che egli (mons. Romero) era solito dire ‘con questo popolo è facile essere un buon pastore’, si può dire ‘con questo pastore è facile essere popolo di Dio”, in Jon Sobrino, Fuera de los pobres no hay salvacion. Pequeños ensayos utópico-proféticos, Editorial Trotta, Madrid 2007, p. 163.

4 19 giugno 1977: dopo il ritiro dell’esercito che fece una strage, Romero si rivolge ai contadini di Aguillares con queste parole: “Ustedes son el divino Traspasado”[Voi siete il divino Trafitto], ivi, p. 145.

Nell’omelia del 19 marzo 1978, commentando il testo sul servo sofferente di Isaia, affermò: “Sentimos en el Cristo de la Semana Santa con su cruz a cuestas, que es el pueblo que va cargando también su cruz. Sentimos en el Cristo de los brazos abiertos y crucificados, al pueblo crucificado…”[Sentiamo che nel Cristo della Settimana Santa con la croce sulle spalle è il popolo che porta il peso della sua croce. Sentiamo nel Cristo dalle braccia aperte e crocifisse il popolo crocifisso”], in http://servicioskoinonia.org/romero/homilias/A/780319.htm.

5 Cit. in Jon Sobrino, Fuera de los pobres.., cit., p. 145.

6 Idem. Il popolo crocifisso secondo Ellacuría è “aquella colectividad que siendo la mayoría de la humanidad debe su situación de crucifixión a un ordenamiento social promovido y sostenido por una minoría, que ejerce su dominio en función de un conjunto de factores, que como conjunto, y dada su concreta efectividad, histórica, debe estimarse como pecado” [quella collettività che, essendo la maggioranza dell’umanità, deve il suo essere crocifissa a un ordinamento sociale promosso e sostenuto da una minoranza, che esercita il suo dominio a causa di un complesso di fattori, che come tale, data la sua concreta effettività storica, deve considerarsi come peccato ] (cit. in Rodolfo Cardenal, Una alternativa radical para una crisis sistémica: la civilización de la pobreza, in IGLESIA VIVA n° 240 (octub.-dicie. 2009), p. 61.).

7 Nella stessa omelia del 19 marzo 1978, Romero dice che “La Iglesia no está de acuerdo con la violencia de ninguna forma, ni la que brota como fruto de la represión ni la que reprime en formas tan bárbaras” [La Chiesa non è d’accordo con la violenza di nessun tipo, né quella che nasce come frutto della repressione né quella che reprime in modi così barbari”].

8 Vedi la testimonianza di Hilda Orantes sulla visita di mons. Romero alla comunità di San Rocco raccolta nel volume di María López Vigil, Monsignor Romero. Frammenti per un ritratto, NdA Press, Rimini 2005, pp. 183-184.

9 Vedi Jon Sobrino, Fuera de los pobres…, cit., pp. 150-155; in particolare: “Lo que puede aportar con sencillez y humildad la fe cristiana es que, en Jesús, la trascendencia de Dios se hace trans-descendencia y con-descendencia. Y la consecuencia importante es que confesar esa transcendencia no es cosa sólo de doctrina y liturgia, sino que es cosa de hacer real el abajamiento (tran-descendencia) y la acogida (con-descendencia). Así pasó Dios, en Jesús. La tarea y la responsabilidad para la Iglesia es obvia. Gran ayuda es el modo de Monseñor Romero de hacer presente a Dios, abajándose y acogiendo” (p. 155) [Ciò che la fede cristiana può aggiungere con semplicità e umiltà è che, in Gesù, la trascendenza di Dio si fa trans-discendenza e con-discendenza. E la conseguenza importante è che confessare questa trascendenza non è solamente della dottrina e della liturgia, ma è far diventare reale l’abbassamento (tran-discendenza) e l’accoglienza (con-discendenza). Così si fece Dio in Gesù. Il compito e la responsabilità della chiesa sono ovvi. Di grande aiuto è il modo di Monsignor Romero di far presente Dio, abbassandosi e accogliendo].



Luned́ 26 Marzo,2012 Ore: 15:13
 
 
Ti piace l'articolo? Allora Sostienici!
Questo giornale non ha scopo di lucro, si basa sul lavoro volontario e si sostiene con i contributi dei lettori

Print Friendly and PDFPrintPrint Friendly and PDFPDF -- Segnala amico -- Salva sul tuo PC
Scrivi commento -- Leggi commenti (0) -- Condividi sul tuo sito
Segnala su: Digg - Facebook - StumbleUpon - del.icio.us - Reddit - Google
Tweet
Indice completo articoli sezione:
Testimoni del nostro tempo

Canali social "il dialogo"
Youtube
- WhatsAppTelegram
- Facebook - Sociale network - Twitter
Mappa Sito


Ove non diversamente specificato, i materiali contenuti in questo sito sono liberamente riproducibili per uso personale, con l’obbligo di citare la fonte (www.ildialogo.org), non stravolgerne il significato e non utilizzarli a scopo di lucro.
Gli abusi saranno perseguiti a norma di legge.
Per tutte le NOTE LEGALI clicca qui
Questo sito fa uso dei cookie soltanto
per facilitare la navigazione.
Vedi
Info