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www.ildialogo.org Incontro con Raimon Panikkar,di Mauro Prando

Incontro con Raimon Panikkar

di Mauro Prando

Riprendiamo questo articolo dal sito di CEM-Mondialità su segnalazione del suo direttore Brunetto Salvarani che ringraziamo. Link originale: http://www.cem.coop/  

La vita è troppo semplice
per essere facile.
Proprio perciò è difficile.

Raimon Panikkar

Incontro con Raimon Panikkar

Tavertet, 11 marzo 2010

Appena entro nella stanza al piano superiore, completamente tappezzata di libri, sono accolto da un sorriso, il sorriso del saggio. Mi avvicino e mi presento con il cuore pieno di gioia per la possibilità di vivere un incontro che desideravo da molto tempo, appoggio le mie cose sul tavolo e mi prendo una sedia. Con delicata premura mi dice: “Mi scusi se la accolgo così, se non mi alzo. Sono un po’ debole. Ma mi sto riprendendo.” È steso su una sedia reclinabile, ha le gambe alzate su uno sgabello, coperte da un plaid. Sotto un cardigan violetto si intravede una tipica camicia di stile indiano con il collo a fascetta. Mi allunga subito la mano perché l’incontro non sia segnato solo dalle parole, ma anche dal contatto fisico. Tutto è coinvolto nell’incontro: il corpo, la parola, lo spirito e … lo Spirito. Accolgo quel gesto che cerca l’incontro e gli dico il motivo della mia visita: “Sono venuto a ringraziarla. Ho trascorso alcuni mesi in compagnia dei suoi libri, ma ho desiderato fin da subito venire di persona per esprimerle la mia gratitudine per ciò che ha scritto, per ciò che ha vissuto.”

Ero in Catalogna già da tre giorni, ma il tempo stava mettendo a rischio la possibilità del mio “pellegrinaggio” dal saggio Panikkar. Una bufera di neve si era abbattuta su tutta la regione provocando danni di diverso tipo. Era dal 1962 che non nevicava a Barcellona!

Tavertet, il paese sui pre-Pirenei di 147 residenti dove Panikkar vive, dice già qualcosa di lui, del suo bisogno profondissimo di silenzio e di bellezza, del desiderio di stare con se stesso, da monaco, per poter incontrare con la massima consapevolezza “ogni altro” che gli si presentasse. E ancora oggi incontra quasi tutti i giorni qualcuno. Tavertet si affaccia sul bordo di un piccolo altopiano e guarda sul vuoto della vallata, invita alla contemplazione.

Mi avvicino all’ingresso della bella casa in pietra e al giovane sudamericano che mi apre dico del mio appuntamento. Dopo un attimo di incertezza mi dice di aspettare e di accomodarmi dentro casa. Entro in una grande e ordinata biblioteca, una lunga stanza luminosa immersa in quel contesto di natura pacificante, in quel giorno resa ancora più magica dal bianco manto nevoso. Il ragazzo mi porta al piano superiore.

Dopo la presentazione mi accomodo vicino a Panikkar: “Professore ho terminato da poco una tesi dal titolo Il fondamento trinitario del dialogo intercultuale nel pensiero di Raimon Panikkar. Sono venuto a ringraziarla.” Subito esprime un moto di gioia per la ricerca fatta dicendo che da moltissimi anni non si considerava più un monoteista: “Sa, la mia fede è trinitaria, io vedo veramente la Trinità nella realtà.” E subito quella gioia sposta le parole dalla tesi all’incontro: “Grazie che è venuto a trovarmi, grazie veramente, sono proprio felice. È comodo su quella sedia?” Il mio ospite ha integrato in modo armonico una straordinaria capacità intellettuale con la tenerezza dell’accoglienza e dell’incontro.

Panikkar ha 92 anni e la sua condizione di salute si presenta un po’ precaria. Forse anche per questo usa le parole non per costruire lunghi discorsi argomentati, ma solo per brevi reazioni alle mie sollecitazioni. Non ha molto fiato, ma non solo per questo ogni parola è sempre preceduta da qualche attimo di silenzio. Molte volte nei suoi scritti afferma: “La parola è l’estasi del silenzio!” Un parola che non sia nata dal silenzio è senza energia, è vuota! In effetti tutto il nostro incontro è trapuntato da silenzi e parole. Da quel silenzio che costruisce l’incontro con lo sguardo di occhi ancora vivaci esce improvvisa una frase: “La vita è troppo semplice per essere facile. Proprio perciò è difficile.” “Intuisco il senso, ma mi aiuti a capire meglio.” Sorride con benevolenza e con qualche altra parola ribadisce come la vita sia di per sé semplice, abbia solo bisogno di essere vissuta, di essere lasciata scorrere, fluire. Siamo noi che la complichiamo, che pretendiamo sia diversa da come è, non riusciamo a credere alla sua semplicità, e proprio questo la rende difficile. “Professore avevo pensato di registrare questo incontro. Cosa dice?” Mi risponde, con un sorriso e dopo il solito attimo di silenzio: “Non amo essere registrato, se uno insiste lo tollero.” Quella sua affermazione netta esprime la sua concezione di incontro: non può funzionare se qualcuno pretende di oggettivare l’altro, ciò che lui chiama “epistemologia del cacciatore”. Il massimo dell’incontro e del dialogo si ha tramite la presenza concreta delle persone interessate.

Il discorso si sposta: “Cosa intende per ‘mistica’ che ha messo come primo volume dell’opera omnia?” “La mistica è la conoscenza profonda, integrale della Realtà, della Vita stessa.” Prosegue la comunicazione con un semplice sorriso. “E come è possibile che la mistica sia stata relegata ad esperienza di pochi e che anche la riflessione spirituale abbia avvallato questa visione riduttiva?” Con lo sguardo alla ricerca della mia sorpresa per un’espressione in perfetto gergo romano esclama: “Fregnacce!” Segue una risata simpaticamente liberatoria. Con poche altre parole esprime come quella visione non sia accettabile per lui e che la mistica è l’esperienza che tutti possono fare se entrano in pienezza nel flusso della vita. Chiedo: “Come si fa … a fare esperienza piena della vita, come si fa a crescere nella visione trinitaria della realtà.” La risposta mi lascia sbigottito: “Sbrigati!”. Non capisco. “Vede, mi ha chiesto “come” si fa … non c’è “come”. Si fa facendo, la vita si fa vivendola. In ogni caso è comprensibile la domanda, per certi versi è primordiale, anche Maria ha chiesto il come, ma poi l’angelo l’ha invitata a non temere e a fidarsi.” E prosegue: “La vita è bella proprio perché ogni giorno è nuovo, sempre inedito, ogni giorno è una realtà unica. Pensi che questo giorno non l’ha mai vissuto nessuno e che tutto ciò che sto vivendo è nuovo. È meraviglioso.”

Gli chiedo: “Professore quando una persona inizia a dire qualcosa di nuovo nella vita, qualcosa di veramente suo e quando invece ripete semplicemente parole di altri?” La risposta è sempre piena di energia vitale: “È vero noi ripetiamo molto nella vita, ma la risposta è sempre quella: sbrigati! Non c’è un come o un quando. È bene iniziare a dire le proprie parole senza aspettare, ma facendo in modo che siano cariche di silenzio.”

Tento un piccolo aggancio con l’attualità: “Non so se ha sentito che verrà il papa per la consacrazione della Sagrada familia? Cosa gli direbbe se potesse incontrarlo? A che punto è la Chiesa cattolica in relazione al dialogo interculturale e interreligioso?” Mi dice di non sapere di questa visita del papa e mi risponde in due tempi: “La chiesa siamo noi” quasi a voler dare la chiave ermeneutica delle parole successive. Poi prosegue: “In ogni caso siamo messi male, c’è troppa paura. Anche lo stesso Ratzinger è bloccato dalla paura, io lo conosco da quando insegnava a Ratisbona. È un uomo con un’intelligenza sopraffina, ma ha paura. La Chiesa sta vivendo di paura, è in una grave crisi di fede.”

Un colpo di tosse lo interrompe. La conversazione si sposta sul Tavertet, un posto incantevole circondato da cime non altissime, ma belle e ora imbiancate dalla tardiva nevicata. Mi confida della sua ottima conoscenza di quei monti. Poi s’illumina nel volto e si ricorda di un importante pellegrinaggio fatto a ben 76 anni di età: “Ho fatto anche un pellegrinaggio sul monte Kailasa, sull’Himalaya. Non sapevo se sarei tornato con la vita o senza vita!” “Mi dica qualcosa di quell’esperienza.” Con prontezza afferma che un pellegrinaggio è un’esperienza talmente profonda che non può essere detta, ma solo vissuta. Torno all’oggi: “E come passa le sue giornate?” “Leggo, forse troppo … E penso.” Proseguendo con un sorriso.

Gli consegno una copia della tesi e gli chiedo un autografo. Di fronte alla pagina bianca, la mano un po’ tremante e la vista incerta dice sorridendo: “Mi fa paura una pagina tutta bianca.” La firma non è molto leggibile e a voce mi lascia l’augurio: “Che la lettura sia feconda.”

Mentre lo saluto Panikkar mi prende la mano e me la bacia. Mi viene spontaneo fare lo stesso gesto con la sua e chiedergli la benedizione. Mi traccia un piccolo segno di croce sulla fronte accompagnato da sole due parole: “Questo basta.” Ho chiesto che pregasse per me e allo stesso modo lui ha chiesto la mia preghiera per lui.

Grazie Panikkar!

©Cem Mondialità

 

 



Venerd́ 23 Aprile,2010 Ore: 19:23
 
 
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