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Ci ha lasciato fratello  Arturo Paoli, il profeta centenario

UN SUO RICORDO CON UN ARTICOLO APPARSO SU IL FATTO QUOTIDIANO NEL SETTEMBRE 2014
Saggista e direttore editoriale di Dissensi Edizioni
L’insegnamento di fratel Arturo è proprio quello di coniugare lo studio e la preghiera con l’ausilio agli ultimi a liberarsi dalla prigionia sociale in cui sono stati rinchiusi. Un insegnamento che stravolge l’idea errata di un cristiano apolide. Jean-Jacques Rousseau, temo ironicamente, giunse ad accusare i cristiani di non essere dei buoni cittadini: “Il cristiano non può essere un buon cittadino. Se lo è, lo è di fatto, ma non di principio perché la patria del cristiano non è di questo mondo”. Proprio l’aver scelto di aiutare gli ultimi ad essere cittadini liberi e consapevoli dei propri diritti gli costò, durante il periodo della dittatura militare argentina, l’inserimento nei primi posti della lista dei “ricercati pericolosi” da eliminare. Fu accusato di trafficare armi con il Cile di Salvador Allende. Ma Arturo Paoli, quando la lista fu affissa, era in Venezuela e si salvò a differenza di suoi cinque confratelli finiti nell’elenco dei tanti desaparecidos.
La sua pragmatica vicinanza ai popoli oppressi gli ha procurato problemi anche con il Vaticano. Con i suoi scritti e l’eredità che ha lasciato alle comunità dell’America Latina, ha palesato la differenza tra quel Gesù imbalsamato nelle lussuose stanze del Vaticano fatte da pareti tanto spesse da non farvi penetrare le grida degli impoveriti e quello vivo che invece le ascolta e se ne fa portavoce. Portavoce attraverso uomini come fratel Arturo, Alex Zanotelli, Lorenzo Milani, Tonino Bello, Alessandro Santoro, Andrea Gallo e tanti altri. La prima volta a parlarmi di lui fu proprio don Andrea Gallo raccontandomi dei suoi libri, dei suoi problemi con le gerarchie ecclesiastiche e dei suoi anni trascorsi in Brasile: “E’ un profeta! Non ci sono altri termini per definirlo”. Concluse convinto.
Alcuni mesi fa sono stato a San Martino in Vignale, un paesino sulle colline di Lucca, per presentargli Gaia, la mia seconda figlia. Lui con il suo sguardo buono mi invitò a farne un terzo. Gli dissi: “Arturo questo è un mondo sempre meno ospitale per i bambini e il nome Gaia vuole ricordare proprio il crimine maggiore che stiamo compiendo e cioè quello verso la nostra Terra, la nostra Pacha Mama”. Lui mi fissò per alcuni secondi in silenzio e poi mi disse con voce seria e ferma: “E’ oramai un secolo che sono qui, su questa Terra e ho viaggiato tanto, ne ho viste di ogni tipo ma questo posso dire con certezza che è il periodo peggiore che stiamo attraversando. E’ il periodo più difficile, occorre esserci”.
Queste sue parole sono un invito per tutti, uno stimolo a mettersi in gioco come ha fatto lui, a donare il proprio contributo per frenare questa locomotiva impazzita che ci sta trascinando verso il precipizio. Il tempo di sbirciare da dietro le tende e osservare inermi la storia passare in basso deve terminare, occorre uscire dalle proprie dimore e partecipare al cambiamento. Credo che questo sia il messaggio principale di Arturo Paoli, un maestro di vita dei nostri tempi.
Di recente è stato invitato dal Papa in Vaticano. Ha parlato a lungo con quel Papa che viene da quella fine del mondo che ben conosce. Papa Francesco, per Arturo, ma anche per don Gallo e gli altri preti scomodi, è l’incarnazione di un premio, una rivalsa per questi testimoni che per decenni hanno subito l’oppressione dei vertici solo perché hanno portato avanti con coerenza il messaggio rivoluzionario di Gesù.

 

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    Lunedì 13 Luglio,2015 Ore: 16:48
     
     
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