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www.ildialogo.org ELLIS ISLAND 1892-1954<br>o<br>il sogno dell’immigrazione,di Daniela Zini

STORIE D’ITALIAdal 1861 a oggi
ELLIS ISLAND 1892-1954
o
il sogno dell’immigrazione

- PARTE PRIMA -


di Daniela Zini

L’unità d’Italia fu perseguita e conseguita attraverso la confluenza di diverse visioni, strategie e tattiche, la combinazione di trame diplomatiche, iniziative politiche e azioni militari, l’intreccio di componenti moderate e componenti democratico-rivoluzionarie. Fu davvero una combinazione prodigiosa, che risultò vincente perché più forte delle tensioni anche aspre che l’attraversarono.”

Giorgio Napolitano

ELLIS ISLAND 1892-1954

o

il sogno dell’immigrazione

- PARTE PRIMA -

Che la mia anima erompa dalla sua crisalide di forzata ignoranza e voli verso il fiore della speranza, come una sontuosa farfalla adorna di mille pensieri di bellezza.”

Pascal D’Angelo, lettera inviata al giornale The Nation nel gennaio 1922

di

Daniela Zini

In un momento in cui la questione degli stranieri sembra porre un inquietante problema, mi è sembrato interessante studiare l’immigrazione in un paese, l’America, che è nato e si è sviluppato grazie a essa.

La ruota gira, l’immigrato di ieri diviene il cittadino di oggi e l’antenato di domani, e, come fa notare, molto giustamente, uno zio americano di origine italiana:

L’ultimo immigrato è sempre il peggiore.”

Quando gli irlandesi arrivano a ondate, dopo le terribili carestie del 1848, con quale apprensione si vedono installarsi nella Nuova Inghilterra e apportare, in seno alla comunità puritana e presbiteriana, l’odore del papismo aborrito. Quegli irlandesi che, una volta insediati a Boston, faranno una fredda accoglienza ai canadesi francesi – benché cattolici – che giungeranno un po’ più tardi e che, a loro volta, disdegneranno gli italiani e i polacchi, che li raggiungeranno nelle filande. Gli stessi tedeschi sono accolti con estrema diffidenza e vengono designati con l’appellativo di hunkies, più tardi utilizzato, indistintamente, per quasi tutti gli immigrati dell’Europa centrale, mentre i polacchi sono soprannominati wops e gli italiani dagos.

Le donne e gli uomini di tutto il mondo che hanno deciso di emigrare negli Stati Uniti si contano a milioni. Questo fatto, sicuramente uno degli elementi fondamentali dello sviluppo di questo paese, forma il filo conduttore della sua storia, che si tratti delle sue origini prenazionali, della sua creazione in quanto paese indipendente e della sua trasformazione progressiva da semplice territorio lontano oltre-Atlantico in potenza mondiale, particolarmente dal punto di vista della crescita economica.

È l’immigrazione che ha prodotto gli Stati Uniti d’America.

Proprio come altri territori che sono stati oggetto di una colonizzazione, gli Stati Uniti hanno contato, prima e dopo la loro indipendenza, sull’arrivo di stranieri per popolare le loro vaste distese di terra da conquistare. Questa realtà storica è ugualmente quella del Canada, dell’Africa del Sud, dell’Australia, della Nuova Zelanda e dell’Argentina, per non citare che alcuni esempi. In ciascuno di questi casi, le potenze imperiali che rivendicavano i territori avevano nelle loro mani due dei tre elementi indispensabili all’estrazione delle risorse naturali delle loro colonie. Possedevano la terra e il capitale, ma difettavano della manodopera necessaria all’agricoltura, allo sfruttamento delle foreste, all’estrazione mineraria. Gli amministratori coloniali cercarono di utilizzare la manodopera locale, con più o meno successo, e contribuirono all’intensificazione della tratta degli schiavi africani, facendo venire milioni di emigranti, contro il loro volere, in quelle contrade del Nuovo Mondo.

Dalla prima metà del XIX secolo, una formidabile speranza scuote l’Europa. Per tutti i popoli schiacciati, oppressi, asserviti, massacrati, per tutte le classi sfruttate, decimate dagli anni di carestia e di miseria, una terra promessa emerge: l’America, una terra vergine aperta a tutti, una terra libera e generosa, dove i dannati del vecchio continente possono divenire i pionieri di un nuovo mondo, i costruttori di una società senza ingiustizia e senza pregiudizi. Per i contadini irlandesi i cui raccolti sono stati devastati, per i liberali tedeschi, braccati dopo il 1848, per i nazionalisti polacchi, oppressi nel 1830, per gli armeni, i greci, i turchi, gli ebrei russi e austro-ungarici e per gli italiani, che muoiono a centinaia di migliaia di colera e di fame, il continente americano diviene un Eldorado e sono decine di milioni, intere famiglie, intere contrade che, da Amburgo o da Brema, da Le Havre, da Napoli o da Liverpool, si imbarcano per questo viaggio senza ritorno.

Per diversi decenni, l’ultima tappa di questo esodo senza precedenti nella storia dell’umanità è, al termine di una traversata, il più sovente compiuta in condizioni spaventevoli, un piccolo isolotto di nome Ellis Island, dove l’Ufficio Federale dell’Immigrazione e della Naturalizzazione ha installato un centro di accoglienza. Così, su questo stretto banco di sabbia alla foce del fiume Hudson, a una gomena (1) dalla Statua della Libertà, Ellis Island, chiamata l’isola dei patiboli per le sue passate impiccagioni, diviene la sola porta legale per gli immigrati. Praticamente libero fino al 1875, l’ingresso agli stranieri sul suolo degli Stati Uniti è progressivamente sottoposto a misure restrittive. Aperto nel 1892, il centro di accoglienza di Ellis Island segna la fine di una immigrazione quasi selvaggia e l’avvento di una immigrazione ufficializzata, istituzionalizzata e, per così dire, industriale. A darne conferma è il libro di memorie, All’ombra della libertà, di Edoardo Corsi, nominato, nel 1931, direttamente dal presidente John Edgar Hoover (1895–1972), capo dell’Ufficio dell'Immigrazione e della Naturalizzazione del distretto di New York. Nel 1907, ventiquattro anni prima di assumere il delicatissimo incarico affidatogli dalla Casa Bianca, aveva avuto modo di sperimentare direttamente l'atmosfera di Ellis Island insieme ai tre fratellini, alla madre e al patrigno:

Cinquemila persone sbarcarono in quel giorno di ottobre. Prendemmo posto nella lunga fila e passammo per la trafila delle risposte alle domande degli interpreti e delle visite mediche.”

Alla fine, ultimate tutte le selezioni, prosegue Corsi,

ci fu consentito di oltrepassare il cancello dell'America.”

E proprio a Corsi spetta provvedere concretamente all'espulsione degli immigrati che le autorità americane non vogliono più. Ogni mese un treno parte dalla costa del Pacifico, giunge a New York con il suo carico di disperati, di reietti, da espellere.

Per molto tempo i cancelli di entrata (negli Usa) erano stati completamente aperti. Ora, mentre mi accingevo al mio ufficio nel 1931, praticamente tutti - tranne uno - erano trascurabili, ed era mio compito custodire quell’uno. L'avrei aperto... per consentire il passaggio di alcuni che erano stati attentamente selezionati; poi avrei girato la chiave…”

Ellis Island è con la Statua della Libertà uno dei simboli della città di New York. Questa piccola isola, situata a poca distanza da Manhattan è stata, infatti, il punto di passaggio obbligato di tutti gli immigrati, che sbarcano negli Stati Uniti tra la fine del XIX e la metà del XX secolo. Le grandi compagnie marittime, quali la White Star o la Red Star, hanno svolto un ruolo significativo nella storia dell’isola. Secondo gli archivi, conservati preziosamente dalla città, tra il 1° gennaio 1892 e il 12 novembre 1954, sono passati per Ellis Island più di 12 milioni di immigrati, per la maggior parte europei. Prima della sua apertura altri 8 milioni erano transitati per il Castle Garden Immigration Depot di Manhattan. Ed è proprio per far fronte al malcontento degli abitanti di Manhattan, che rigettavano tutti i problemi sulla presenza degli immigrati, che le autorità decidono di aprire un altro centro di accoglienza su un’isola.

All’origine Ellis Island aveva una superficie di 1,2 ettari, ma, per far fronte al flusso imponente, che certi giorni tocca i 5.000 immigrati, è estesa a 11 ettari grazie alla terra proveniente dallo scavo della metropolitana di New York. Dei 27 milioni di immigrati che si recano in America, dal 1880 al 1930, 20 milioni transitano per Ellis Island. In proporzione i più numerosi sono gli italiani con 4.600.000, seguiti dagli abitanti dell’impero austro-ungarico 4.000.000, poi dai russi 3.300.000 e dai tedeschi 2.800.000.

Tutti sono benvenuti.

Quasi tutti.

I vecchi, i deformi, i ciechi, i sordomuti e tutti coloro che soffrono di malattie contagiose, aberrazioni mentali e qualsiasi altra infermità sono inesorabilmente esclusi dal suolo americano.”

rammenta il vademecum destinato ai nuovi venuti. Gli altri, scorgendo in lontananza la Statua della Libertà, non possono che meditare sui celebri versi di Emma Lazarus, incisi sul piedistallo della statua:

Give me your tired, your poor,

Your huddled masses yearning to breathe free,

The wretched refuse of your teeming shore,

Send these, the homeless, tempest-tossed to me,

I lift my lamp beside the golden door!" (1)

Ellis Island non sarà che una fabbrica per realizzare americani, una fabbrica per trasformare emigranti in immigrati, una fabbrica all’americana, rapida ed efficace come una salumeria di Chicago: a un capo della catena si mette un irlandese, un ebreo o un italiano e all’altro capo – dopo un esame della vista, un’ispezione delle tasche, una vaccinazione, una disinfezione – ne esce un americano.

“…passavano ad altre commissioni, ad altre visite mediche, altre registrazioni, altre sofferenze, altre umiliazioni per poter ottenere il permesso di sbarcare. Solo allora salivano sul traghetto per Manhattan…

Gli immigrati, una volta entrati nell'edificio, salivano le scale per raggiungere il secondo piano, dove venivano pre-esaminati in una manciata di secondi, di media sei per l'esattezza.

Le visite mediche iniziavano già sui gradini. I dottori attendevano in cima e controllavano respirazione, postura, condizione fisica generale. Anche il modo in cui si salivano le scale costituiva di per sé un elemento di valutazione.

Manifestazioni di debolezza, difficoltà dovute all'età, potevano rendere necessari ulteriori controlli. A chi non passava la prima visita veniva apposto con il gesso un simbolo che ne identificava la possibile malattia. Quando la situazione generale era poco chiara, non solo sotto l'aspetto sanitario, sull'abito veniva apposta la sigla SI (special inquiry) che significava doversi sottoporre ad alcune domande da parte degli ispettori in una stanza dedicata. E qui, spesso per pura ingenuità, crollarono molte speranze. Per chi non veniva trattenuto in ospedale o - peggio - in prigione, l'atto finale della trafila era la discesa delle "scale della separazione", cosiddette perché rappresentavano il primo passo verso l'allontanamento di familiari e amici.”

Luigi Barbini, Corriere d’America


“Un incaricato della compagnia marittima aveva organizzato tutto per noi. Ci prelevò conducendoci in una pensione dove avremmo atteso il giorno della partenza del piroscafo. Là ci sottoposero immediatamente a una visita medica. Valutarono con molta perizia che avessimo denti e occhi sani. I controlli si ripeterono per tre giorni consecutivi…

Un dubbio orrendo si era fatto tra i molti pensieri: chi di noi poteva sapere con certezza se sarebbe stato ammesso in America o piuttosto rispedito indietro come presenza indesiderata? Sbarcati a Ellis Island, fummo sottoposti a ispezioni e visite mediche…

A Ellis Island gli americani ti rifilano una serie di domande, una specie di interrogatorio. L'interprete - un tizio perfido, un vero acciso che deve aver fatto carriera esercitando il proprio zelo contro i suoi compatrioti - ti spiega che devi dire la verità, solo la verità, perché in America la menzogna è il peccato più grave, peggiore del furto.”

Pascal D’Angelo (1894–1932), Son of Italy

Riferisce il New York Times, all’indomani del 1° gennaio 1892:

Vi erano tre navi a vapore nel porto in attesa di sbarcare e l’ansia era grande, tra i nuovi arrivati, per sapere chi sarebbe sbarcato per primo.”

L’onore è toccato a una ragazza irlandese dalle guance rosee, Annie Moore, quindici anni di età, originaria della contea di Cork.”

A milioni la seguiranno fino alla chiusura del centro di immigrazione, il 12 novembre 1954, ma la grande promessa dell’immigrazione conoscerà alti e bassi. Il record è raggiunto, nel 1907, anno in cui 1.004.756 immigrati sbarcano negli Stati Uniti. Poco dopo l’apertura dell’isola, capace di accogliere 7.000 persone al giorno, il traffico precipita brutalmente a causa di un’epidemia di colera.

È, poi, il panico del 1893, una crisi economica seguita da alcuni anni di recessione.

Nel 1898, con meno di 180.000 immigrati, le autorità di New York e di Washington sono persuase che le grandi ondate di immigrazione appartengano al passato.

Le condizioni di ammissione divengono sempre più severe. A poco a poco, si richiude la Golden Door di quella America favolosa, dove i tacchini cadono già arrostiti nei piatti, dove le strade sono lastricate d’oro, dove la terra è di tutti.

Dal 1914, l’emigrazione inizia ad arrestarsi, dapprima a causa della guerra, poi a causa di una serie di misure discriminatorie qualitative e quantitative, che vietano l’ingresso negli Stati Uniti a quel “misero rifiuto” che, secondo Emma Lazarus, la Statua della Libertà invita a venire.

Con l’Immigration Act o Johmson-Reed Act del 1924, i flussi iniziano a essere regolati da quote nazionali sulla base della percentuale di presenza dei gruppi etnici, rilevata al censimento del 1890, ed Ellis Island si trasforma in un centro di detenzione per gli stranieri in attesa di espulsione dal territorio americano.

Circa 7.000 unità”,

scrive Corsi,

possono giungere dal Regno Unito, 17.000 dall'Irlanda, 5802 dall'Italia e 2712 dalla Russia.”

Le formalità di immigrazione sono affidate ai consolati americani in Europa e Ellis Island non sarà più che un centro di detenzione per gli emigranti irregolari.

Sul finire degli anni 1920, poi, scoppia la grande crisi economica. Le ripercussioni sui flussi dell'emigrazione si fanno immediate. Gli immigrati da 241.700, nel 1930, scendono a 97.000, nel 1931, e 35.000, nel 1932. Contemporaneamente, sempre da Ellis Island, iniziano le espulsioni, i rimpatri forzati. I cacciati a forza dagli Stati Uniti sono 61.882, nel 1931, per salire a 103.000, l'anno successivo, e a 127.000, nel 1933.

Durante e immediatamente dopo la Seconda Guerra Mondiale, Ellis Island, andando fino in fondo alla sua vocazione implicita, diviene una prigione per individui sospettati di attività antiamericane (fascisti italiani, tedeschi filonazisti, comunisti o presunti tali). Nel 1946, vi sono detenuti circa 7.000 tedeschi, italiani e giapponesi.

Nel novembre del 1954, l’ultimo detenuto, un marinaio norvegese, Arne Petersen, è liberato ed Ellis Island chiude definitivamente le porte.

Oggi Ellis Island ospita il Museo Nazionale di Storia dell’Immigrazione degli Stati Uniti. Ma Ellis Island è molto più di un luogo, è una certa idea dell’America, come scrive John Cunningham, in Ellis Island: Immigration’s Shining Center:

Quantunque grande, magnifica, triste e commovente sia la storia di questa isola, è, in realtà, solo un aspetto della meravigliosa capacità di questa nazione ad assorbire e riassorbire gente diversa – dimentica spesso, in questo processo, di discendere anch’essa da immigrati – gente brava, piena di risorse, testarda, audace.”

Note:

(1) Unità di misura (in inglese, cable) che corrisponde a 1/10 di miglio nautico, vale a dire a 185 m.

(2) “Datemi i vostri vinti, i vostri poveri,

Le vostre nutrite masse avide di un anelito di libertà,

Il misero rifiuto delle vostre spiagge affollate,

Inviateli a me, i diseredati, rigettati dalla tempesta,

Io, sull’uscio della porta d’oro, levo il mio lume!”

Daniela Zini
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Venerdì 21 Ottobre,2011 Ore: 16:35
 
 
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Autore Città Giorno Ora
Federico La Sala Milano 21/10/2011 17.54
Titolo:LA STATUA CON LA "SPADA SGAUINATA" .....
CARA DANIELA

OTTIMA RICOGNIZIONE!


COME AVEVA BEN CAPITO FRANZ KAFKA, GRANDE MAESTRO DELLA LEGGE,
LA STATUA DELLA LIBERTA’ DEGLI U.S.A E' CON LA SPADA SGUAINATA ("GUAI AI VINTI"), NON CON LA FIACCOLA! E SUL DOLLARO C'è LA SCRITTA "IN GOD WE TRUST": VALE A DIRE - tradotto IN CATTOLICHESE (e "latinorum") RATZINGERIANO - TUTTO A CARO-PREZZO ("DEUS CARITAS EST")!!!

Sul tema, cfr

-http://www.lavocedifiore.org/SPIP/article.php3?id_article=1367

M. saluti e buon lavoro,

Federico La Sala

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