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www.ildialogo.org COSI’ NACQUE L’INNO DI MAMELI,di Daniela Zini

STORIE D’ITALIA dal 1861 a oggi
COSI’ NACQUE L’INNO DI MAMELI

il canto alato della nuova Italia


di Daniela Zini

L’unità d’Italia fu perseguita e conseguita attraverso la confluenza di diverse visioni, strategie e tattiche, la combinazione di trame diplomatiche, iniziative politiche e azioni militari, l’intreccio di componenti moderate e componenti democratico-rivoluzionarie. Fu davvero una combinazione prodigiosa, che risultò vincente perché più forte delle tensioni anche aspre che l’attraversarono.”

Giorgio Napolitano

manoscritto originale della prima versione dell’inno di Mameli, nel 1847

Siamo a Genova, il 4 novembre del 1847, alla vigilia del fatidico ‘48, l’anno esplosivo delle rivoluzioni liberali in Italia e in molti altri paesi d’Europa.

Sulla spianata dell’Acquasola un gran numero di cittadini, suddivisi in squadre militarmente ordinate e con le bandiere al vento sono ad attendere l’arrivo di re Carlo Alberto che si reca con la famiglia nella Superba per trascorrervi, come di consueto, il periodo invernale.

Nei genovesi il ricordo ancora vivo fino a qualche giorno prima, delle fucilazioni di loro concittadini rei di patriottismo, ordinate dal sovrano sabaudo nell’infausto 1833, è ormai sopito. Ogni animosità, ogni risentimento è caduto dopo la concessione delle tanto sospirate riforme.

Le accoglienze fatte a Carlo Alberto riformatore, dopo le manifestazioni di Alessandria, di Asti, di Novi, tappe del suo viaggio verso Genova, sono addirittura trionfali, tanto che il longilineo e taciturno re, sempre freddo e molto spesso diffidente di fronte alle manifestazioni popolari, se ne mostra questa volta assai compiaciuto.

Ah, marquis, quelle manifestation et comme on m’avait trompé sur l’opinion!”,

esclama rivolto al marchese Paolucci, governatore della città, che è venuto a riceverlo.

Sta di fatto, tuttavia, che i suoi informatori non lo hanno ingannato nei loro rapporti, perché, in realtà, l’opinione pubblica gli era decisamente ostile fino a qualche settimana prima e il mutamento favorevole è avvenuto soltanto dopo le concesse riforme.

Ma questo idillio tra re e popolo sarà purtroppo di assai breve durata.

L’atteggiamento indeciso e spesso equivoco dell’italo Amleto – ha una palese devozione verso i gesuiti, esponenti della più ostinata reazione e, pertanto, odiati dai patrioti – la sua riluttanza a concedere l’auspicata istituzione della Guardia Civica non tarderanno a turbare, nuovamente, l’atmosfera.

Iniziano, di nuovo, con un progressivo crescendo, nonostante l’espresso divieto del re, le dimostrazioni di piazza e, il 14 novembre, una numerosa comitiva di dimostranti, militarmente inquadrati, sosta sotto le finestre della reggia al grido di:

Evviva la Guardia Civica! Evviva la libertà di stampa!”

Ed è proprio in questo burrascoso periodo, in questa arroventata atmosfera di rivendicazioni e di pubbliche proteste, che nasce l’inno di Mameli, il canto alato della nuova Italia, che rimarrà patrimonio sacro della patria e, a distanza di un secolo dalla sua nascita, sarà elevato, con l’avvento della Repubblica Italiana, a dignità di inno nazionale.

Versi sbocciati dal cuore di un poeta ventenne in quei fatidici anni risorgimentali, tutti circonfusi di malinconia e di ardore e, direttamente, ispirati dal lirismo di Ugo Foscolo e degli ideali mazziniani.

Devotissimo al grande esule e, pertanto, di appassionata fede repubblicana, Goffredo Mameli, nato a Genova, nel 1827, compose il suo inno Fratelli d’Italia per contrapporlo a quanto sembra, a una cantilena monarchica, che aveva incontrato il favore di Genova liberale e patriottica, subito dopo la breve riconciliazione tra la città e il re sabaudo, e il cui ritornello suonava così:

Sorgete italiani, a vita novella

d’Alberto la stella risplende nel ciel.

Il nuovo inno, invece, esaltando le glorie di Roma antica ed esortando gli italiani a combattere tutti uniti contro lo straniero, evita ogni accenno di carattere monarchico.

Cantato in un primo tempo sull’aria di una canzone allora in voga, ebbe la sua consacrazione durante la festa del 14 novembre 1847, nella quale, con la cerimonia simbolica dell’affondamento in mare delle catene delle navi catturate dai genovesi ai pisani nella battaglia della Meloria, si celebrò solennemente l’alleanza tra toscani, liguri e piemontesi, finalmente dimentichi, in omaggio alla patria comune, delle antiche deleterie rivalità comunali.

Qualche giorno dopo, il testo dell’inno fu portato a Torino dal pittore Ulisse Borzino nella casa di Lorenzo Valerio, dove, tra alcuni amici di questo patriota e scrittore, si trovava anche il genovese Michele Novaro, maestro dei cori al Teatro Regio.

Novaro, come ebbe letto i versi di Mameli, ne rimase tanto commosso che subito corse alla propria casa per musicarli.

Ed ecco nascere la musica ispirata e solenne, così aderente allo spirito e alle parole dell’inno, che, dopo pochi giorni, correva già la penisola, suscitando in tutti i cuori italiani quell’orgoglio guerriero e quell’amore di patria libera che il giovane poeta vi aveva profuso e che doveva accompagnare l’Italia nella sua progressiva ascesa fino al miracolo della unità.

Stringiamoci a corte

siamo pronti alla morte;

Italia chiamò!

E il poeta soldato, appena ventiduenne, è tra i primi a rispondere all’appello da lui stesso lanciato agli italiani e ad affrontare impavido la morte, quando, il 3 giugno 1849, dopo il famoso telegramma diretto a Giuseppe Mazzini:

Roma Repubblica! Venite!”

e, dopo aver partecipato da valoroso ai combattimenti di Palestrina e di Velletri, cade mortalmente ferito sul Gianicolo, immolando la sua ardente giovinezza ai supremi ideali di libertà e di patria.

Daniela Zini

Copyright © 17 marzo 2011 ADZ



Venerd́ 18 Marzo,2011 Ore: 08:31
 
 
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