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ISSN 2420-997X

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www.ildialogo.org Gli infiniti Auschwitz della nostra storia,di Renato Piccini

Gli infiniti Auschwitz della nostra storia

di Renato Piccini

«Se comprendere è impossibile, conoscere è necessario
perché ciò che è accaduto può ritornare, le coscienze possono
nuovamente essere sedotte e oscurate:

anche le nostre». Primo Levi


Ho sentito come dovere morale rispondere all’invito di esprimere alcune riflessioni su uno dei più tragici avvenimenti della nostra storia recente: Auschwitz.
Pedro Casaldáliga – vissuto per lunghi anni nell’Auschwitz dell’Araguaia brasiliana – scrive:
«Come parlare di Dio
dopo Auschwitz?,
vi chiedete voi,
lì, dall’altra parte del mare, nell’abbondanza.
Come parlare di Dio
dentro  Auschwitz?,
si chiedono qui i cristiani
carichi di ragioni, di pianto e di sangue
gettati nella morte quotidiana, a milioni».
Così:
Come parlare di umanità, convivenza, fraternità, uguaglianza…
dopo Auschwitz?,
vi chiedete voi,
lì, dall’altra parte del mare, nell’abbondanza.
Come parlare di umanità, convivenza, fraternità, uguaglianza…
dentro  Auschwitz?,
si chiedono qui uomini e donne
carichi di ragioni, di pianto e di sangue
    gettati nella morte quotidiana, a milioni.
Ma LÌ – QUI… non esistono più, oggi non ci sono più differenze di spazio e di tempo… spazio/tempo si intrecciano… trasversali a tutto il mondo e all’umanità intera…
I “treni per Auschwitz” vogliono tener vivo un ricordo che svela l’infinita perversità umana e portano nell’orrore del passato…
i “treni” della “disperazione” di oggi sono i mille “treni” dell’ingiustizia…
I “treni di Auschwitz” ci ricordano la “follia dell’uomo”, una “follia” voluta da un inesistente primato di una razza umana, una supremazia assurda, senza razionalità alcuna… l’uomo che giudica secondo la razza, non secondo la ragione.
I “treni della disperazione” di oggi sono frutto di un egoismo cieco e assurdo… frutto (come allora) di una fredda razionalità:
  • non un momento di “pazzia”, ma la creazione di un sistema che pratica sistematicamente il furto dei diritti altrui
  • un sistema che si giustifica – o tenta di farlo – su una ipotetica differente capacità umana
  • un sistema che assolve l’egoismo di pochi
  • un sistema che crea la logica dell’ingiustizia, il disprezzo sistematico della vita altrui…
Sono “treni” di ogni tipo, gommoni, imbarcazioni fatiscenti, bus, camion, interminabili sentieri attraverso fili spinati, verso ogni frontiera… trasportano nell’ignoto chi fugge dal terrore della guerra, delle torture, della fame, della morte.
Sono “treni” di ogni colore e forma che portano moltitudini di ogni razza, lingua, civiltà e fede.
Una sola e identica realtà sta nell’anima dei morti di ieri e di oggi: la disperazione nel cuore, quella forza che ti spinge a cercare altrove la vita che ti vogliono distruggere.
Nel quadro tragico dell’attuale situazione mondiale, che non ha nulla da invidiare all’odio cieco e crudele di allora, fermarci su Auschwitz serve a farci capire più profondamente come la storia di ieri si intreccia nella storia di oggi…
I massacri nei templi, gli omicidi di volti innocenti, il mare che diventa un’immensa tomba e che rigetta sulle sue spiagge la fragilità di un bimbo (Aylan, il bimbo siriano sulla spiaggia turca di Bodrumin ne è divenuto il simbolo) con sul volto il sonno, quasi un sorriso, dell’innocenza, come per dire a tutti gli assetati di un odio cieco: perché?
Perché mi avete tolto quella vita che un amore mi aveva dato?
Perché non ho più il mio presente pieno di sorrisi, di piccoli e grandi giochi, di amici con cui correre, di quelle grida innocenti per fare il mondo più buono?
Perché non ho il mio futuro… cosa ha perso l’umanità intera senza le mie idee, i miei sogni, la mia ragione e il mio cuore?
Perché avete ucciso la speranza che solo noi bimbi sappiamo dare per spezzare questo odio assurdo?
Perché lo fate in nome di Dio?… Dio, se c’è un dio, non può essere che quello della giustizia e dell’amore!
Sono questi due valori che possono “rivoluzionare” il mondo e fare “una terra e un cielo nuovi” così come ha voluto chi, si dice, ha iniziato il “tempo”.
Non è la storia che fa l’uomo, ma è l’uomo che fa la storia… e tutti gli uomini/donne hanno uguali doveri e diritti… quell’uguaglianza che è “vita naturale” nell’incontro di ogni bimbo, non conosce divisioni di colori, di lingua, di razza e, tanto meno, di religione… perché l’amore ci fa tutti uguali.
Il nostro tempo di “adulti” è segnato da quel sorriso che abbiamo spento e da tanti innumerevoli sorrisi spenti nel corso dei secoli… non ultimo, certo, Auschwitz.
Per questo lo dobbiamo ricordare, rivivere, direi, nella sua tragicità per un dovere di coscienza e perché l’odio di ieri e di oggi, l’odio dei “grandi”, non prevalga sul sorriso degli innocenti.
È venuta l’ora in cui l’uomo faccia appello alla ragione e guardi senza veli il presente in cui viviamo.
Non c’è più tempo per l’attesa, per guardare con l’occhio nudo della coscienza, se non vogliamo arrivare davvero “alla fine dei tempi”.
Perché è nel tempo che l’umanità costruisce la sua storia ma è pure nel tempo che la distrugge.
Lo diceva anche Cicerone: “historia docet”… ma va ricordata nella sua piena realtà, va letta nella complessità e tragicità di suoi avvenimenti, va rivissuta perché la storia di un tempo è la storia di oggi.
Sorgono, allora, alcuni interrogativi:
  • perché non si può, non si deve dimenticare quel giorno… il tempo della memoria?
  • perché non si può cancellare quella memoria dove si consumò un odio tanto crudele quanto assurdo?
  • perché quel ricordo ha lasciato, accanto al “terrore”, una voglia, conscia o inconscia, di vendetta, anch’essa pure assurda?
C’è una risposta: quei treni e quei forni furono/sono il frutto della più acuta follia unita alla più profonda irrazionalità… ad Auschwitz non solo ha trionfato l’odio ma è morta la ragione.
Quando la “ragione” viene asservita a un’idea folle, la supremazia di una razza sulle altre, avviene la distruzione di ogni cosciente razionalità.
Di fronte ad Auschwitz, però, si può parlare di ragione e coscienza?
Chi va nei “luoghi della memoria” dovrebbe riflettere che in quei forni, con le ceneri di quella moltitudine di uomini e donne, è finita in cenere la ragione, la coscienza dell’umanità.
E quando si distrugge la ragione-coscienza, l’irrazionalità annienta l’uomo, ogni senso di umanità.
L’irrazionalità costruisce su questa distruzione due concezioni false e pericolose:
  • la concezione di una supremazia dividendo l’umanità in base a razze diverse (per etnia, colore, capacità, potere, ricchezza…) dove alcune, per ragioni contrarie alla stessa civiltà e cultura, hanno il predominio su altre…
  • la supremazia di una mistica che non è altro che la supremazia di una fede su un’altra fede religiosa… di un dio sull’altro, di una religione sull’altra…
Da ciò deriva la falsa coscienza di appartenere ad una categoria superiore, quell’umanità che si arroga l’assurdo diritto alla pienezza di vita, e la presunzione di una supremazia religiosa, di appartenere “all’unica divinità” ed essere al suo totale servizio.
È necessario uscire dal mondo della pietà per entrare in quello della razionalità.
Una commemorazione è valida non per un sentimento di compassionevole ricordo, pur legittimo, ma per una riflessione culturale, cioè per una lettura della storia di ieri vista nella lettura della storia di oggi.
Altrimenti si riduce, quando va bene, ad un “pellegrinaggio della compassione” con l’illusione di trovarsi di fronte a cose del passato che non ritorneranno più.
La sincera, oggettiva conoscenza della storia di oggi ci dice esattamente il contrario: possono cambiare i motivi apparenti, ma non cambiano i motivi reali: da qui la nostra facile illusione… il nostro facile e falso “mai più”.
Una simile immane tragedia esige una lettura attenta e libera per capire e coglierne le cause. Una lettura, purtroppo, facilitata dalla e nella tragedia di oggi.
Nasce in noi, di fronte ad una fredda e ragionata “follia” di odio, sangue, tormento, un perché: com’è possibile un così “lucido” e “razionale” disegno di barbarie, di odio, di sangue?
Ecco, allora, il dovere di ricordare e, da una commemorazione che dà uno sguardo a questo tempo, interrogare la nostra coscienza del passato per vedere non solo gli errori ma le cause. Quelle cause mai veramente affrontate, quindi non risolte, si intrecciano nei fatti di oggi.
Si dice che “le colpe dei padri ricadono sui figli”… è la triste eredità della storia quando e perché non se ne cambia la direzione, quando non si “sovverte” alle radici.
Per non rischiare di cadere nella routine delle commemorazioni, non ci si può limitare al ricordo, neppure al pianto, all’emozione dell’orrore… questo può essere inutile per formarci una coscienza critica: è necessario, ripeto, chiederci perché è potuto succedere… e passare ad una riflessione seria, ad una ricerca che coinvolge la ragione: c’è sempre una ragione anche nell’episodio che ci sembra, oltre che crudele, incomprensibile, assurdo… ed è la stessa storia di oggi.
Auschwitz è la sintesi di un cammino che ha perso l’universale centralità della dignità dell’uomo.
È un dovere riflettere sul passato per evitare l’emotività fine a se stessa, ma anche, e soprattutto, per evitare l’ignoranza: è stato, si dice, un destino, un periodo di smarrimento morale, un gesto di follia… inspiegabile.
La storia, buona e cattiva, soprattutto quella più triste e oscura, esige una spiegazione: è questione di giustizia, di amore alla verità, è questione essenziale perché solo spiegando il passato, la storia può insegnare ed evitare che le “lacrime” di ieri e di oggi siano l’origine di una “menzogna”, la copertura della verità, quella più profonda e nascosta… sarebbe un sangue versato, un dolore “bruciato” inutilmente.
Più volte si è ripetuto dopo Auschwitz: “dov’eri o Dio in quei giorni?”.
Oggi può e deve nascere nella coscienza di una cosiddetta “civiltà cristiana” una domanda: dove sei, Gesù, il Cristo?, dov’è il tuo vangelo nell’inumano massacro dei nostri giorni?, dov’è la tua giustizia che è il tesoro centrale del tuo messaggio?, dov’è oggi l’uguaglianza della fraternità?…
Fuori da questi valori, la religione crea e giustifica l’ingiustizia.
Si fanno battaglie per difendere i simboli “sacri” della tradizione cattolica: il presepio, la croce su una parete (diverso è il discorso per le croci d’oro sul petto delle signore…)… si dimenticano, anzi si calpestano i valori dell’autentico messaggio di Gesù di Nazareth che ritiene “sacro” solo l’uomo, la sua dignità contro ogni “sabato” imposto nel nome di uno (o tanti) ipotetico “dio”.
Per i cristiani, è ora di risvegliarsi non solo dal sonno della ragione ma dal sonno della coscienza di una fede che, da quello che testimonia la sua storia di ieri e di oggi, non è (come crede di essere) migliore di altre “fedi”.
Il messaggio cristiano pone nel cammino reale, sociale, politico… la fraternità, non vuole la pietosa misericordia, ma il principio-misericordia, cioè la giustizia che ci rende fratelli veri, fratelli di “sangue”.
Che fare, allora, perché questi “treni” si fermino, non partano più?
È necessario, certo, prendere coscienza dell’ingiustizia di oggi, ma non basta: bisogna creare la coscienza di disobbedienza al sistema.
Le nostre istituzioni, quelle che uomini e donne in numero senza fine e senza nome hanno creato, devono riprendere la loro “coscienza combattiva”… ma le istituzioni sono fatte da tutti e tutti ne siamo responsabili.
Occorre una coscienza intelligente, aperta, fatta non solo sull’esperienza del passato ma pure sulla capacità di cogliere le cause dell’ingiustizia di oggi: una coscienza disobbediente contro ogni potere ingiusto, contro tutto ciò che impedisce libertà, giustizia, pace, convivenza e rispetto reciproco… o Auschwitz sarà non il passato ma il destino dell’umanità.
Renato Piccini
gennaio 2016

 

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Mercoledì 20 Gennaio,2016 Ore: 21:46
 
 
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