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www.ildialogo.org COSTANTINO, IL PADRE DELL'ANTISEMITISMO. Egli emanò, l’11 dicembre 321, l’editto Codex Judaeis, prima legge penale antiebraica. Una nota di Arturo Schwarz, con risposta di Corrado Augias,a c. di Federico La Sala

MILANO: COSTANTINO 313-2013...
COSTANTINO, IL PADRE DELL'ANTISEMITISMO. Egli emanò, l’11 dicembre 321, l’editto Codex Judaeis, prima legge penale antiebraica. Una nota di Arturo Schwarz, con risposta di Corrado Augias

La mostra milanese celebra i 17 secoli che ci separano dalla promulgazione di quell’editto di Milano (313 e.v.) con il quale il grande imperatore rendeva il cristianesimo “religio licita”, dopo che per secoli i suoi seguaci erano stati perseguitati.


a c. di Federico La Sala

 Ecco perché Costantino non fu tollerante

risponde Corrado Augias (la Repubblica, 9.11.2012)

Caro Augias,

vari quotidiani, dando notizia della mostra milanese su Costantino, hanno titolato sulla sua “tolleranza”. Vorrei ricordare che fu proprio Costantino il padre dell’antisemitismo. Egli emanò, l’11 dicembre 321, l’editto Codex Judaeis, prima legge penale antiebraica, segnando così l’inizio di una persecuzione e del tentativo di genocidio degli ebrei. L’editto definiva l’ebraismo: “secta nefaria, abominevole, feralis, mortale” e formalizzava l’accusa di deicidio. Da allora, il processo antisemitico non s’è più interrotto, ad eccezione del breve periodo di reggenza dell’imperatore Giuliano detto (a torto) l’Apostata.
I successivi imperatori introdussero le Norme Canoniche dei Concili nel Codice Civile e Penale. Con Costantino II, Valentiniano e Graziano, dal 321 al 399 d.C., una serie spietata di leggi ha progressivamente e drasticamente ridotto i diritti degli ebrei.
Si condannava ogni ebreo ad autoaccusarsi di esserlo: in caso contrario c’erano l’infamia e l’esilio. Proibito costruire sinagoghe. Leggi contro la circoncisione. Obbligo di sepoltura in luoghi lontani e separati da quelli cristiani. Altro che tolleranza, c’è un limite anche alla falsificazione della storia.  
Arturo Schwarz

La mostra milanese celebra i 17 secoli che ci separano dalla promulgazione di quell’editto di Milano (313 e.v.) con il quale il grande imperatore rendeva il cristianesimo “religio licita”, dopo che per secoli i suoi seguaci erano stati perseguitati. Le ragioni del provvedimento, al di là delle letture agiografiche, furono ovviamente politiche: l’impero tendeva a spaccarsi, la nuova religione parve un “collante” più efficace dei vecchi culti. Costantino peraltro conservò per tutta la vita il titolo “pagano” di pontifex maximus e si convertì al cristianesimo solo in punto di morte.

Né il suo comportamento personale ebbe nulla di veramente cristiano (fece uccidere moglie e figlio) anche se gli ortodossi lo hanno santificato. Quel che più conta, considerata la lettera del signor Schwarz, fu il suo fiero antigiudaismo. Arrivò a definire quella religione “superstitio hebraica” contrapponendola alla “venerabilis religio” dei cristiani. Presiedette, da imperatore, e diremmo da “papa”, il fondamentale Concilio di Nicea (325).

Soprattutto aprì la strada all’unificazione dei due poteri, temporale e religioso, in uniche mani. All’inizio furono quelle dell’imperatore, cioè le sue, col passare degli anni diventarono quelle del pontefice romano. Alla fine di quello stesso IV secolo il percorso si concluse quando un altro imperatore, Teodosio I, proclamò il cristianesimo religione di Stato, unica ammessa, facendo così passare i cristiani dal ruolo di perseguitati a quello di persecutori di ogni altro culto, ebrei compresi.



Venerdì 09 Novembre,2012 Ore: 13:25
 
 
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Autore Città Giorno Ora
Federico La Sala Milano 09/11/2012 14.43
Titolo:LA MADRE DI DIO-IMERATORE: EELNA, COSTANTINO, E IL CATTOLICESIMO-ROMANO ....
Tre donne «forti» dietro tre padri della fede

di Marco Garzonio (Corriere della Sera, 25 ottobre 2012)

Il IV secolo è fine di un’epoca e nascita di tempi nuovi anche per i modelli femminili nella cultura cristiana e nella società. Mentre le istituzioni dell’Impero si sfaldano, popoli premono ai confini, corruzione e violenze dilagano e le casse sono vuote, causa guerre ed evasione fiscale, alcune donne sono protagoniste delle trasformazioni almeno tanto quanto gli uomini accanto ai quali la storia le ha accolte. Elena, madre di Costantino, Monica madre di Agostino, Marcellina sorella di Ambrogio.

Ma ci son pure Fausta, moglie di Costantino, da lui fatta assassinare per sospetto tradimento (violenza in famiglia anzi tempo) e la compagna di Agostino, giovane cartaginese vissuta anni more uxorio («coppia di fatto» si direbbe oggi) col futuro santo vescovo d’Ippona. Gli diede pure un figlio, Adeodato, di lei però non è rimasto nemmeno il nome: una rimozione del femminile, nonostante la straordinaria autoanalisi ante litteram compiuta da Agostino nelle Confessioni; un archetipo delle rimozioni collettive della donna praticate dalla cattolicità e di tanta misoginia e sessuofobia che affliggeranno la Chiesa per secoli e ancora la affliggono. Ma andiamo con ordine nel considerare i tipi.

La madre solerte, forte, premurosa, ambiziosa, molto attaccata al figlio maschio, possessiva: è il modello di madre che emerge dalle testimonianze. In parte è un’icona ritagliata sul prototipo della matrona romana, su cui s’innesta la novità del cristianesimo. Questo dalle origini si dibatte in una contraddizione. C’è l’esempio di Gesù che «libera» la donna dalle sudditanze; per lui non è alla stregua di una «cosa» (come negli usi romani); negli incontri rivela l’alta considerazione verso una persona non certo inferiore all’uomo e contraddice così la cultura del tempo. Narrano i vangeli che Gesù si mostra a Maria di Magdala e alle altre donne come il Risorto davanti al sepolcro vuoto: loro sono le protagoniste, a esse affida l’annuncio pasquale. Dall’altra parte c’è San Paolo che invita le mogli a stare sottomesse ai mariti e ispira la visione di un ruolo ancillare, silenzioso, subordinato.

Ecco, allora: Elena anticipa quella che in epoche successive sarà la Regina Madre. Locandiera, legata a Costanzo Cloro cui darà un figlio, Costantino, fa di tutto perché questi diventi padrone dell’Impero: tesse rapporti, guida, consiglia. Verrà ricambiata: Costantino cingerà lei del diadema imperiale (invece della «traditrice» Fausta) introducendo nell’iconografia una coppia un po’ incestuosa: madre e figlio. Psicologicamente Costantino sarà in un certo modo sottomesso a Elena. A Gerusalemme lei troverà le reliquie del Santo Sepolcro. Dei chiodi della Croce ornerà la corona imperiale (posta sul capo dei padroni del mondo sino a Napoleone) per dire che chi governa è sottomesso a Dio, e farà il morso del cavallo del figlio: anche i sovrani devono frenare le pulsioni. Madre altrettanto ingombrante, sul piano degli affetti in questo caso, fu Monica per Agostino.

Questi aveva cercato di liberarsene partendo per Roma senza dir nulla ma Monica non si scoraggiò, lo inseguì e raggiunse sino a Milano, capitale ai tempi. Qui convinse il figlio, all’apice del successo come retore, a rispedire in Africa la compagna e si diede da fare perché trovasse a corte una moglie. Intanto s’era pure spesa affinché Agostino conoscesse Ambrogio, che a Milano contava più delle insegne imperiali. Così l’amore di madre si trasformò: cadde il progetto di ascesa sociale, venne la conversione e il futuro padre della Chiesa riprese la via dell’Africa, senza più Monica però, che morirà sulla via del ritorno.

Un altro genere di donna, che ebbe e ha importanza nella Chiesa, nei costumi, nella cultura è incarnato da Marcellina. La sorella di Ambrogio, dopo aver contribuito a crescere i fratelli, prese il velo con papa Liberio. Grazie a lei si prospettò una scelta di vita ricalcata sul modello del monachesimo orientale, di cui Ambrogio era estimatore: la verginità (su questa il Patrono di Milano compose una delle sue opere principali), la consacrazione, il chiostro in cui ritirarsi, pregare e, in taluni sviluppi, lavorare, garantire il prosieguo delle tradizioni e aprirsi al mondo attraverso opere di carità. Costantino, Ambrogio, Agostino e lo loro donne: esempi d’una storia plurale che continua, viene costruita giorno dopo giorno ancora, si evolve.
Autore Città Giorno Ora
Federico La Sala Milano 19/11/2012 18.01
Titolo:COSTANTINO: A MILANO UNA MOSTRA CHE MISTIFICA
COSTANTINO: A MILANO UNA MOSTRA CHE MISTIFICA

di Elio Rindone *

La manipolazione della storia non implica la necessità di dire il falso, perché basta evidenziare un dato e tacerne un altro. È quanto accade, mi pare, con l’operazione in corso a Milano con la Mostra che celebra il diciassettesimo centenario della emanazione nel 313 d.C. dell’Editto di Milano da parte dell’imperatore romano d’Occidente Costantino e del suo omologo d’Oriente, Licinio.

La mostra, ideata dal Museo Diocesano di Milano, realizzata con la collaborazione dell’Arcidiocesi e dell’Università degli Studi della stessa città, intende esaltare l’imperatore Costantino quale iniziatore di un periodo di libertà religiosa per il rescritto del 313, di cui si riporta l’affermazione centrale: “Noi, dunque Costantino Augusto e Licinio Augusto abbiamo risolto di accordare ai Cristiani e a tutti gli altri la libertà di seguire la religione che ciascuno crede, affinché la divinità che sta in cielo, qualunque essa sia, a noi e a tutti i nostri sudditi dia pace e prosperità”.

Leggendo queste parole, molti saranno d’accordo con quanto dice, a tempi.it, Paolo Biscottini, curatore della mostra e direttore del Museo diocesano: “Ogni individuo non può fare a meno del senso religioso e l’editto di Milano segna l’inizio di una cultura occidentale fondata su una tolleranza intesa come rispetto del senso religioso”. Tesi ribadita in un’intervista alla Radio Vaticana dall’altra curatrice, Gemma Sena Chiesa: “l’Editto di Costantino è per noi un testo fondamentale, perché proclama la libertà del cristianesimo e la libertà di tutte le religioni. Una testimonianza, quindi, estremamente moderna, di un sentimento moderno che oggi noi riteniamo fondamentale: la disponibilità all’incontro con gli altri, con il ‘diverso’, e la tolleranza verso tutti. In mostra abbiamo riportato proprio il pezzo dell’Editto di Costantino che, con parole solenni ed importanti, dà a tutti la libertà di professare liberamente quello in cui credono”.

Peccato, però, che Costantino non si sia limitato ad emanare questo celebre editto ma abbia anche detto e fatto altro, che è necessario ricordare per una valutazione complessiva della sua figura.

Pur conservando il titolo di pontefice massimo, e quindi di suprema autorità dei vari culti dell’impero, egli è convinto, data la crisi del paganesimo pur ancora maggioritario, che solo la religione cristiana sia in grado di svolgere la funzione di collante tra i diversi popoli soggetti al suo potere. Ovviamente preoccupato per le divisioni che sorgono all’interno della grande chiesa, Costantino decide perciò di favorire il superamento delle discordie convocando nel 325 d. C. il concilio di Nicea, che si concluderà con l’approvazione del Credo ancora oggi in uso.

Per facilitare l’approvazione di un testo che garantisca l’unità dottrinale, l’imperatore non esita ad allontanare dall’assemblea conciliare i vescovi dissenzienti e alla fine condanna all’esilio Ario e i due vescovi che, nonostante le pressioni ricevute, rifiutano di sottoscrivere la formula che ormai definisce i confini della fede che per i cattolici è quella ortodossa.

Chiusi i lavori del concilio, Costantino si affretta a comunicare ai suoi sudditi che le tesi sostenute da Ario sono erronee e che, poiché per la salvezza dell’uomo non c’è pericolo maggiore dell’eresia, lo stato deve intervenire con le sue leggi per reprimerla e impedirne la diffusione. Un decreto imperiale stabilisce infatti che “avendo Ario seguito l’esempio di uomini empi e malvagi, merita di subire la stessa pena degli altri. [...] E se qualcuno avesse nascosto un libro scritto da Ario, invece di prenderlo e gettarlo alle fiamme, sia condannato alla pena di morte” (Socrate Scolastico, Storia ecclesiastica, I, 9).

Ma dato che non avrebbe senso combattere l’arianesimo e lasciare libertà agli altri movimenti condannati dalla grande chiesa, Costantino interverrà ben presto con un nuovo decreto con cui - chiestosi retoricamente “perché dunque dovremmo tollerare oltre tali nefandezze? Una trascuratezza prolungata fa sì che anche i sani siano contagiati da un morbo letale. Dunque per quale motivo non recidiamo al più presto le radici, per così dire, di una tale sciagura con misure di pubblica sicurezza?” (Eusebio, Vita di Costantino, III, 54, 4) - proibirà a Novaziani, Valentiniani e Marcioniti di riunirsi, ordinando di consegnare i loro edifici di culto ai vescovi cattolici.

La definizione conciliare della consustanzialità del Padre e del Figlio induce, inoltre Costantino a lanciare, contro gli ebrei che hanno crocifisso Gesù, l’accusa di deicidio. Nel 325 scrive, infatti, ai cristiani: “Vi esorto a non serbare nulla in comune con l’odiosissima turba giudaica [...]. Ma quale verità potranno mai concepire costoro, i quali, forsennati, dopo avere assassinato il nostro Signore e Padre, vengono ora sospinti, non certo dalla ragione ma da un impeto irrefrenabile, là dove li conduce la loro innata follia?” (Eusebio, Vita di Costantino, III, 17, 30).

Del resto, già qualche anno prima Costantino aveva dimostrato, per usare un eufemismo, la sua scarsa simpatia nei confronti degli ebrei. Nel 321, infatti, aveva emanato un editto, Codex Judaeis, che definiva l’ebraismo “setta abominevole, mortifera”, contrapponendo alla supertistio hebraica la venerabilis religio cristiana. Se questi sono i fatti, mi pare che si possa affermare che la libertà promessa dall’editto di Milano non sia stata estesa proprio a tutte le confessioni religiose e che i curatori della mostra abbiano un po’ lavorato di fantasia parlando di ‘inizio di una cultura occidentale fondata su una tolleranza intesa come rispetto del senso religioso’ (Biscottini) e della libertà data a tutti ‘di professare liberamente quello in cui credono’ (Sena Chiesa).

La mostra milanese sarà certamente un grande successo e ben pochi visitatori avranno la possibilità di rendersi conto della grave mistificazione in atto. Ma quest’iniziativa, anche se posta sotto l’Alto Patronato del Presidente della Repubblica e della Segreteria di Stato vaticana, ha uno sgradevole sapore ideologico e non ha nulla a che fare col rispetto della verità storica. E, se ciò accade oggi, perché non ipotizzare che tra 17 secoli potere politico e religioso, se ci sarà ancora il Vaticano, organizzeranno una mostra che celebri Hitler quale autore di un benemerito concordato con la Chiesa cattolica, lasciando nell’oblio il piccolo dettaglio dello sterminio degli ebrei?

www.italialaica.it, 17.11.2012
Autore Città Giorno Ora
Federico La Sala Milano 22/11/2012 10.23
Titolo:PER ETTY HILESUM, UNA 'BELLA' CROCE DI "COSTANTINO"
SUL DIARIO DI ETTY HILESUM, giovane ebrea olandese, uccisa nel campo di sterminio di Auschwitz, UNA 'BELLA' CROCE del giornale di "COSTANTINO"!!! (fls)
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Etty Hillesum, la Shoah e la Croce

di Marina Corradi (Avvenire, 21 novembre 2012)

L’edizione integrale in italiano del Diario (1941-1943) di Etty Hillesum che esce oggi per Adelphi è un momento importante nella riscoperta di questa giovane ebrea morta a Auschwitz. Una figura straordinaria ma, almeno da noi, ancora da molti non conosciuta; benché chi la legga finisca spesso con l’innamorarsene.

Nata nel ’14 in Olanda, la Hillesum studia e vive nella Amsterdam occupata dai nazisti. Ebrea ma non praticante, frequenta ambienti intellettuali non credenti, e conduce, come dirà con le sue parole, «una vita libera e sregolata».

L’incontro con lo psicoterapeuta ebreo Julius Spier, fuggito dalla Germania nazista, la riconduce alla lettura dell’Antico Testamento, e alla domanda di un Dio di cui, impara da Spier, bisogna avere «il coraggio di tornare a pronunciare il nome». Ma la storia incombe: la persecuzione in Olanda cresce, gli ebrei devono portare la stella gialla, si pianifica la deportazione.

Questa pressione tragica sembra agire su Etty come un catalizzatore che in pochissimi anni la trasforma, anzi la trasfigura. Mentre avverte che il nemico vuole l’annientamento degli ebrei, misteriosamente Etty cresce, in un dialogo sempre più serrato con un Dio al quale non chiede la propria salvezza, ma di condividere il destino del suo popolo, e di farsene voce. La ragazza che scrive da Westerbork, il campo di raccolta degli ebrei olandesi, sembra già molto distante dalla fanciulla che lietamente passava da un uomo all’altro, vorace di amore e di vita. In lei, che muore ad Auschwitz nel settembre 1943, a 29 anni, si è compiuta una sbalorditiva metamorfosi.

Per questo a chi non ha mai letto la sintesi del Diario pubblicata da Adelphi negli anni ’80 ci verrebbe da consigliare di cominciare la conoscenza della Hillesum dalle Lettere, pure già edite da Adelphi, in un percorso cronologico inverso. Giacché le Lettere sono le ultime cose scritte da Etty a Westerbork, fino al giorno della deportazione in Polonia; pagine struggenti, tese, dal fondo della ferocia e del male, ad affermare la fiducia in un Dio, nonostante tutto, padre. In un Dio per il quale, in tanto strazio, la giovane ebrea si sente in dovere di «cercare un tetto»; e quel tetto è lei stessa, che vorrebbe accogliere in sè la paura e la disperazione di vecchi, madri, bambini in partenza, sui treni stracarichi di cui non si sa, ma ormai si intuisce, il destino.

Leggendo le Lettere si capisce chi era diventata, alla fine, la ragazza delle prime pagine del Diario. Che all’inizio del ’41 era una giovane donna anticipatrice, diremmo quasi, delle ragazze degli anni Settanta; libera da tradizioni e fedi, desiderosa solo di vivere e capire e mettersi alla prova. Una che, quando Spier le dice che la sera lui prega, è tentata di domandargli, sbalordita e impertinente: «E cosa dice, quando prega?».

Ma sotto la vivacità una inquietudine rode Etty. Ne sono l’evidenza le poche righe che accennano a un figlio che rifiuta perchè «voglio risparmiargli il dolore. Rimarrai nella condizione protetta di chi non è ancora nato e sii riconoscente, essere in divenire». Abortire, dunque, perché la vita è male (benché la tragedia ebraica in atto rendesse realistica una simile visione).

Eppure nulla impedisce la metamorfosi. La Parola delle Scritture ha una parte forte in questo cammino interiore. La Prima lettera ai Corinzi - il celebre brano sulla carità - opera in Etty misteriosamente: «come una verga da rabdomante che sferzava il fondo duro del mio cuore, facendone improvvisamente scaturire sorgenti nascoste. D’un tratto mi sono ritrovata inginocchiata e l’amore sprigionato scorreva di nuovo dentro di me...» (Un passo, per inciso, che nella sintesi Adelphi anni ’80 non compariva, benché certo non irrilevante per comprendere la Hillesum).

E mentre il cerchio attorno agli ebrei olandesi si chiude, e ciascuno cerca, come può, di salvarsi, la ragazza si inoltra per i sentieri dell’Antico Testamento, ma anche in Rilke, e nel Vangelo, che da ultimo cita ripetutamente. Ama Agostino, e c’è un’eco agostiniana quando scrive: «Dentro di me c’è una sorgente molto profonda. E in quella sorgente c’è Dio. A volte riesco a raggiungerla, più sovente essa è coperta da pietre e sabbia: allora Dio è sepolto. Allora bisogna dissotterrarlo di nuovo».

E più si fa fitto il buio, più la Hillesum sente crescere, dentro, un segreto tesoro. Ne è meravigliata lei stessa: «Com’è strana la mia storia, la storia della ragazza che non sapeva inginocchiarsi...». Umanamente inconcepibile è il suo stare di fronte al male assoluto dell’Olocausto. Davanti alle madri disperate, ai vecchi balbettanti e smarriti che all’alba vengono imbarcati sui treni, la sua risposta è, prima, una inesausta preghiera; poi, nelle Lettere, concluderà: «Io non posso fare niente, io posso solo prendere il dolore su di me, e soffrire». (La Croce come istintivamente abbracciata).

Ci si può chiedere perché solo ora si arrivi alla edizione integrale italiana, e come mai una figura così grande sia ancora poco nota. Forse è perché, volontaria nel campo di Westerbork dove poi finirà rinchiusa, in una sincerità da grande cronista scriveva che anche tra i perseguitati si alza a volte un persecutore - come l’ Oberdienstleiter ebreo, in stivaloni neri e stella gialla, che nelle Lettere sorveglia un treno in partenza? O forse perché a un certo moralismo cattolico del primo dopoguerra la ’sregolatezza’ giovanile di Etty non piaceva?

Ma chi oggi legge il Diario integrale (800 pagine, tre volte la edizione anni ’80, e con un ricco apparato di note), e vede come quella giovane donna sia rinata, nel fondo dell’inferno, e come ostinatamente affermi che la vita è «comunque buona e degna di essere vissuta», chiude queste pagine e tace. Sbalordito e grato di quanto Dio possa trasformare gli uomini - se, semplicemente, lo cercano
Autore Città Giorno Ora
Federico La Sala Milano 01/2/2013 15.12
Titolo:«La Shoah è l’anti-Sinai», così si è espresso Elie Wiesel ...
Le nostre colpe come cristiani

di Emma Fattorini (Il Sole 24 Ore, 26 aprile 2009)

«La Shoah è l’anti-Sinai», così si è espresso Elie Wiesel: «Gli assassini erano battezzati, per lo più, erano stati educati nel cristianesimo: eppure uccidevano». È la prova, secondo il nobel per la pace, che il cristianesimo e la sua cultura non hanno saputo fermare il male. E la sua unicità non sta nella quantità o qualità del male che il cristianesimo non avrebbe saputo impedire, ma piuttosto, come dice Jean Dujardin nel suo L’eglise catholique et le peuple juif, nel fatto che la Shoah «distrugge il cuore stesso dell’etica biblica.. e può essere guardata come l’anti-creazione, la volontà di ritornare al caos iniziale, cioè a prima che la Parola di Dio donasse senso al mondo e all’uomo».

La Shoah si presenterebbe allora come «la sconfitta della religione cristiana». Eppure proprio perché raramente colgono una simile profondità teologica, le ricorrenti polemiche sui silenzi di Pio XII il più delle volte suonano comprensibili ma decisamente inadeguate rispetto all’interrogativo morale che le sottende.

La questione centrale, quella su cui dovremmo davvero tutti interrogarci, riguarda come e perché l’antigiudaismo cristiano abbia favorito, legittimato e avvallato l’antisemitismo. Occorre allora non attardarsi soltanto sulle singole scelte del papa, ma sul comportamento complessivo della comunità cristiana e cattolica per non tacere certamente l’aiuto concreto prestato alla salvezza di singoli ebrei, ma senza dimenticare le sue responsabilità nell’avere accreditato e favorito il diffuso comune sentire antiebraico che ha segnato la cultura europea degli ultimi due secoli. Ciò su cui occorre riflettere, insomma, è quanto l’accusa di deicidio abbia sedimentato e nutrito le pulsioni razziste novecentesche.

Solo così si capisce allora tutta l’importanza che riveste la radice teologica e di fede nel condannare il razzismo, quel grido lanciato da Pio XI prima di morire: «spiritualmente siamo tutti semiti». Non è legittimo per un cristiano essere razzista perché, non si stancherà di ripetere, ciò vorrebbe dire tradire la comune origine abramitica e spezzare l’indissolubile comunità di destino ebraico-cristiana.

Da quel momento del 1938, la condanna degli ebrei per motivi religiosi, fino ad allora sostenuta dalla chiesa cattolica, diventa altrettanto inaccettabile di quella per motivi di razza.

Del resto, più che le mitologie paganeggianti che molti vedrebbero nel nazismo, lo scopo di Hitler era quello di intaccare il cuore della rivelazione imponendo per legge alle chiese tedesche la soppressione e il vero e proprio ripudio dell’Antico Testamento, fino a costruire un Cristo ariano, come fece Arthur Rosenberg nel suo Mito del XX secolo messo all’indice dalla chiesa cattolica eppure accettato dalle chiese protestanti asservite al Fuerher, che voleva fondare, appunto, una nuova religione.

Il significato teologico della minaccia rappresentata dal nazismo sta nel volere tagliare la radice della tradizione cristiana, rinnegando il Vecchio Testamento. Operazione impossibile per la fede cristiana, come Joseph Ratzinger ha ben chiarito fin dal 1968 nella prima parte della sua Introduzione al cristianesimo, oggi riedita integralmente dalla Queriniana.

Tutto il pontificato di Wojtyla è segnato da questa consapevolezza teologica, prima ancora che storica. Nel giugno del 1979 si reca ad Auschwitz, nel 1998 a Mauthausen, nel 1999 a Majdanek, nel dicembre del 1993 Santa Sede e Israele firmano un accordo che porterà allo scambio degli ambasciatori e, infine, nel 2000, in una cerimonia tra le più significative del suo magistero, Giovanni Paolo II chiede perdono per le colpe della chiesa nei confronti degli ebrei. La beatificazione di Edith Stein segna il culmine, quando il papa dirà: «Ella è morta come figlia di Sion per la santificazione del Nome, ella ha vissuto la sua morte come Teresa Benedetta della Croce, benedetta dalla croce»

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