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www.ildialogo.org IN NOME DI CONCETTO MARCHESI UMANISTA E POLITICO COSTITUENTE,di Sebastiano Saglimbeni

IN NOME DI CONCETTO MARCHESI UMANISTA E POLITICO COSTITUENTE

di Sebastiano Saglimbeni

Ringraziamo Sebastiano Saglimbeni curatore di scritti su concetto marchesi per averci inviato questo suo testo sulla figura dell'illustre umanista e politico antifascista e costituente
L’umanista
Questa mia scrittura comporta una sorta di prologo, un tratto del discorso pronunciato dal grande umanista e politico Concetto Marchesi il 30 marzo 1955 al Teatro “Odeon” di Milano. Si ascolti un tratto:
“Cittadini, so di parlare in un luogo dove uomini di varia parte e di varia fede sono venuti ad ascoltare un uomo di parte e di fede ed è questa una fortuna ed eccezionale occasione per esprimere il proprio pensiero, senza la pretesa che esso abbia a soverchiare il pensiero degli altri (...)” .
Sentendo come mio quanto sopra ho citato, scrivo in nome di Marchesi, con certa naturalezza, senza che io ricorra - per sembrare uno singolare - ad ornamenti di ardui e complicati discorsi. Passo, pertanto, in rassegna le fasi creative di Marchesi umanista.
C’è, lungo l'arco di tempo, che va dal 1898 (Marchesi conta vent’anni di età) al 1957, una densa produzione di opere che contengono l’azione umanistica dell’uomo: sono studi di codici antichi, traduzioni, saggi, prose d’arte e scritti politici.
Mentre studente, Marchesi pubblica nel 1898 presso l’editore Giannotta di Catania Duo Codices Neveleti. Che sono appena 15 pagine. Questa impresa ha lo scopo di una risposta al docente di latino Remigio Sabbadini, che aveva bocciato Marchesi ad un primo esame, in quanto non aveva risposto sui metri di Plauto. L’anno seguente, all’età di 21 anni, subito dopo la laurea conseguita a Firenze, dove si era trasferito, per gravi motivi, pubblica per lo stesso Giannotta La vita e le opere di Elvio Cinna, il poeta autore di Zmyrna.
 Su questo poeta del primo secolo, lodato da Catullo e da Virgilio, Marchesi compie studi rigorosi, ha a sua disposizione poca scrittura
sull’uomo che fu ucciso in quanto confuso con Lucio Cornelio Cinna durante i torbidi accadimenti seguiti alla morte di Cesare nel 44 a. C. Quest’opera, di recente, è stata ritrovata in una biblioteca catanese da Matteo Steri, bibliofilo e fondatore in Gallarate dell’ “Archivio Concetto Marchesi”; così, volendo, si potrà compiere uno studio interpretativo per una ristampa e per divulgare questo lavoro che segna l’inizio dell’impegno ininterrotto di Marchesi, scopritore, sino alla vigilia della sua morte, avvenuta a Roma il 12 febbraio 1957, di scritture classiche latine mal note e sconosciute.
Quella misteriosa fine, probabilmente, del poeta novo Elvio Cinna aveva colpito, entusiasmato il giovane studioso tanto da indurlo ad un tentativo per una ricostruzione di una storia umana e per un’operazione rigorosamente filologica. L’azione di Marchesi umanista si intensifica con un saggio di 142 pagine sul Tieste di Lucio Anneo Seneca pubblicato presso l’editore Battiato di Catania nel 1908. Da qui adue anni pubblica sulla “Rivista d’Italia” n. XIII il piccolo saggio dal titolo Le donne e gli amori di Marco Valerio Marziale, lavoro singolare sul poeta che morì all’età di 34 anni ma che poté lasciare un’opera di 14 libri di epigrammi dove l’abilità costruttiva del disegno coincide con l’abilità del dongiovanni ante litteram, Marziale. Altri studi che il trentenne docente pubblica riguardano Il concetto dell’arte nelle Satire di Orazio, lavoropubblicato su "Rivista d'Italia" n. XIV, e Giovanni Boccaccio ed i codici di Apuleio. Siamo nell’anno 1913.
Ma il valore più consistente di Marchesi umanista va scoperto nelle opere monografiche Ovidio, Seneca e Tacito e nella concezione del vasto disegno Storia della letteratura latina. Di Ovidio, Marchesi sottolinea la grandezza dell’ Ars Amatoria; per Seneca costruisce una monografia giudicata dal suo biografo Ezio Franceschini la più sofferta e la più sentita di tutti i suoi lavori. Siamo negli anni durante i quali Marchesi è pure impegnato politicamente.
Mentre è docente ordinario di Letteratura latina all’Università di Messina, all’età di 45 anni, nel 1922, si laurea in Giurisprudenza con una tesi su Il pensiero giuridico e politico di Cornelio Tacito, un lavoro che diventerà Tacito, l’opera pure monografica, poderosa, pubblicata a Messina nel 1924 presso l’editore Principato, come pure Seneca, che era uscita nel 1920.
Ricordo che la Storia della letteratura latina, sempre edita da Principato nel 1925, in due tomi, resta un capolavoro, “un monumento insigne per straordinaria ricchezza di acume psicologico e di umana esperienza...”, scrisse Manara Valgimigli sul “Leonardo” del 1927, n. 20. Ancora oggi si legge quest’opera come una prosa d’arte per il linguaggio limpido, per le storie sociali ed umane che avvincono, non priva, a piè di pagina, di un nutrito apparato bibliografico. Sarebbe bene che circolasse come un’opera di alta cultura, non con funzione intesa meramente scolastica.
Sul filosofo stoico Seneca, Marchesi in questo suo lavoro scrive, ad esempio: “Nell’opera di Seneca, è notevole la persistenza di talune contraddizioni, che non sono contraddizioni, ma incertezze di un proprio mondo morale”.
Su Cornelio Gallo, il poeta ch'era caduto in disgrazia per motivi politici e si era suicidato, lamenta che la perdita dell'opera sua segna una lacuna subita dalla letteratura latina di Roma. Le due egloghe di Virgilio,VI e X, “basterebbero sole ad assicurare il valore di questo grande poeta dell’elegia amorosa, la cui fine disgraziata non impedì ad Ovidio di celebrare la tenerezza suggestiva dei suoi carmi. Quintiliano lo pone tra i massimi elegiaci romani dell’età imperiale, insieme con Tibullo, Properzio e Ovidio: Orazio non lo nomina: ed il silenzio di uno che maltrattava Calvo e Catullo e dileggiava Properzio è dispetto, ma ancherispetto”.
Nel 1923, Marchesi approda a Padova, dove vive quasi a domicilio coatto. Solo tre anni dopo, nel 1926, inizia l'insegnamento per l’incarico di Latino medioevale ed umanistico. Pubblica nel ‘31 da Principato che ora ha sede a Milano Letteratura Romana. Alcuni anni dopo, dal ‘36 in poi, si fa carico di dibattiti sulla filologia classica e pubblica a Padova, dal ‘38 al ‘40, l’opuscolo di 24 pagine Augusto tra i poeti e gli storici del I secolo e il piccolo saggio Le operette Catalepton, Dirae, Lydia, Copa e Ciris di 77 pagine.
Nel periodo in cui lavora per la Costituente, di cui dirò nella seconda parte di questa mia nota, scrive l’opera Lucrezio ed il poema della natura che pubblicherà nel 1947.
 Negli ultimi anni, oltre agli scritti in prosa Il libro di Tersite, che è una riedizione del Letto di Procuste del 1928 e Il cane di terracotta, esegue
una revisione dell’opera critica l’Eneide di Remigio Sabbadini, suo professore, come sopra abbiamo fatto cenno, e suo suocero, avendo Marchesi sposato la figlia Ada nel 1910.
 
 Ho tralasciato di citare altre opere ed operette apparse su periodici e costituite come dispense che hanno una loro importanza perché non c’è in queste la posa del filologo, ma la naturalezza, la creatività piuttosto armoniosa.
E mi avvio alla conclusione di questa prima parte della mia nota con una citazione di Franceschini che così registra in Concetto Marchesi – Linee per l'interpretazione di un uomo inquieto (Editrice Antenore, Padova, 1978), l’epilogo della grande esistenza dell’ umanista: “ Buona era la salute, lucido il pensiero, sincera la memoria anche di cose lontane: fervida l’attività per la revisione di antichi lavori e la preparazione di nuovi: ma soprattutto impressionava il suo senso di pace, che si avvertiva in ogni sua parola, in ogni suo gesto”.
 E ciò da un autentico cattolico, quale fu Ezio Franceschini, suo alunno, sinceramente legato al suo maestro di opposto credo politico.
    Il politico e il costituente
Nel giovane che si immette nelle ardue vie della conoscenza umanistica, interpretandola per la sua professione, c’è , ovviamente, il giovane politico con idee agnostiche, positiviste, anarchiche. Nel 1894, all’età di 16 anni, in omaggio a Mario Rapisardi, l’autore del poema Lucifero, Marchesi fonda a Catania il periodico “Lucifero”. Sente fortemente l’urgenza di difendersi, di fermare le sue idee singolari controcorrente; è su questo organo che difende fervidamente gli anarchici di Parigi andati al patibolo. Viene arrestato e condannato ad un mese di reclusione che non sconta per l’età minorile. Ciò accade verso giugno, mentre nell’agosto, per aver dimostrato a favore dei condannati dal tribunale militare, subisce la violenza dei militi dell’ordine che lo prendono, nel giardino pubblico, a pugni e calci e lo trascinano nelle carceri di “S. Agostino”, ove per poco, un giorno, rimane rinchiuso.
Nell’anno successivo, Marchesi ritorna all’attacco con il “Lucifero” sul quale, con tono alla maniera tertulliana, scrive nell’editoriale: 
“Sequestrate pure i nostri fogli e le nostre persone, ma l’idea è troppo grande per potersi arrestare”. Si noti “l’ dea è troppo grande” per intendere subito la scelta di Marchesi, la lotta, la resistenza di Marchesi, quella resistenza che, poi, come vedremo, sentirà intus et in cute, all’età di oltre sessant’anni, a Padova.
Nel 1896, Marchesi compie 18 anni e la legge può colpirlo con la sentenza del 1884: diventata, infatti, esecutiva, viene arrestato mentre si trova all’Università, non in aula dove sta ascoltando la lezione di Remigio Sabbadini, ma nell’atrio, in quanto il rettore si era opposto all’accesso dei militi.
Sconta un mese in carcere, ma vi rimane un altro mese per offesa a pubblico ufficiale, una guardia carceraria ingiuriata “rospo”. Cosi, su questo tratto biografico, ci documenta Ezio Francescani; diversa o variante, per altri, questa vicenda riguardante l’arresto di Marchesi.
Vivissime sono le polemiche per l’ingiustizia abbattutasi su un giovane studente ribelle verso la bassa, vuota politica regia, baronale. Di qui la decisione del trasferimento a Firenze, come prima ricordato. Le sue idee di anarchico si acuiscono durante l’anno di cattedra nel 1902 al liceo “Maffei” di Verona dove rimane poco, circa un anno, tra assenze per malattia e proteste al sistema clericale veronese e alla conseguente falsa cultura.
Negli anni che vanno dal 1903 al 1908, Marchesi si trova un po’ a Messina ove insegna in un liceo cittadino; spesso si accompagna a Francesco Lo Sardo, avvocato, futuro deputato (il primo eletto in Sicilia nel 1924 nella lista del Pcd’I.), arrestatodue anni dopo a Messina, la sera dell’ 8 novembre e fatto morire nel carcere a Poggioreale nel 1931.
Marchesi scriverà la seguente epigrafe per la pietra sepolcrale di Lo Sardo:
   “Vitae suae non fidei oblitus obliviscendus nulli ”.
 Con Lo Sardo lotta assieme agli iscritti del circolo “A. Cipriani” per la ricostruzione di Messina distrutta dal maremoto e terremoto del 1908. Salvatore Quasimodo ricorderà quest’immane tragedia nella lirica: “Al padre“, il cui incipit recita:
  
  “Dove sull’acqua/
   viola era Messina, tra i fili spezzati
   e macerie…”.
Nello stesso anno 1908 Marchesi si trova a Pisa dove diventa consigliere comunale democratico.
Sette anni dopo, nella stessa città toscana, dimostrano gli spazzini per il salario e scelgono Marchesi come rappresentante democratico.
Sciancati, disgraziati, disoccupati percorrono le vie della città con le scope alzate e con Marchesi in testa.
Dal 16 ottobre di quell’anno 1915, Marchesi ritorna a Messina dove si stabilisce sino al 1923. Insegna – come prima accennato – Letteratura latina all’Università; non tralascia pure di scoprire la valenza della giurisprudenza dei Romani.
Ma la vera posizione e passione politica si matura nel 1921 quando con Lo Sardo - stando alle testimonianze di Francesco Lo Sardo, il nipote, della classe 1897 - si reca al Congresso di Livorno ed inizia così la sua azione di militante comunista.
Scrive Ezio Franceschini: “Non prese parte alla vita clandestina attiva quando, durante il fascismo, il partito fu messo al bando, ma senza nascondere le proprie idee, visse isolato divenendo centro di attrazione per molti”.
Questa sua scelta, denigrata tanto, durò dal 1923 al 1943, ma c’è una spiegazione: egli, non avendo abbandonato l’Università, il suo posto da dove, in qualche modo, poteva resistere, credeva, con il suo insegnamento, con la sua immagine fisica, di compiere un’azione ancora più forte, rischiosa, contro la dittatura fascista che i suoi colleghi avevano deplorato, senza esprimere il loro giuramento e con l’abbandono del lavoro di educatori.
Tutto verrà chiarito e bene e fortemente con il discorso inaugurale dell’anno accademico 1943-‘44 tenuto nell’aula magna dell’Università di Padova il 9 novembre.
 Questo discorso è uno dei tratti più significativi della storia politica
dell’uomo e d’Italia.
L’inaugurazione del 722° anno accademico dell’Università patavina è dedicata ai lavoratori, agli artisti e agli scienziati, non, come si attendevano alcuni funzionari, scherani del nazifascismo, alla nascente ignominiosa Repubblica di Salò, rappresentata dal Ministro dell’Educazione Biggini, presente nell’aula magna, durante la funzione.
Tutto verrà chiarito ancora con “L’appello agli Studenti”, scritto in data 28 novembre 1943 e divulgato nel dicembre. Norberto Bobbio giudicò questo appello di Marchesi “uno dei documenti più famosi della resistenza”. Lo riporto riduttivo alquanto:
 “Studenti dell’Università di Padova! Sono rimasto a capo della Vostra Università finché speravo di mantenerla immune dall’offesa fascista e dalla minaccia germanica, sino a che speravo di difendervi da servitù politiche e militari e di proteggere con la mia fede pubblicamenteprofessata la vostra fede costretta al silenzio, al segreto(…). Oggi il dovere mi chiama altrove(…). Una generazione di uomini ha distrutto la vostra giovinezza e la vostra patria; vi ha gettato tra un cumulo di rovine; voi dovete tra quelle rovine portare la luce di una fede….Liberate l’Italia dall’ignominia!”
Questo il credo di una politica che si coniuga bene con la cultura umanistica di Concetto Marchesi.
 Il suo atto politico si estrae da un’infinità di scritti aulici, come quello prima citato e dall’azione ch’egli compie una volta che lascia il rettorato patavino per rifugiarsi in terra Svizzera all’età  di 66 anni e preparare la resistenza più concretamente, assieme ad altri uomini, lì rifugiati. Ripetiamo: per preparare la Resistenza, con scritti ad esponenti civili e militari dell’antifascismo. Dal rifugio svizzero avrebbe potuto corrispondere con gli Inglesi e con gli Americani per gli aiuti concreti.
E’ ospite presso la villa di Mons. Angelo Jelmini. Dalla Svizzera, Marchesi divulga programmi; scrive, tra l’altro, la famosa lettera al senatore Giovanni Gentile pubblicata nel gennaio del 1944 sul giornale clandestino “La Lotta”, ristampata nel mese di marzo da Antonio Banfi 
su “La Nostra Lotta” (periodico mai esistito, secondo qualche ricercatore; è il suo biografo comunque, che lo cita), ma senza firma di Marchesi e con il titolo e il finale cambiato. Una falsificazione di cui Marchesi rimane per parecchio tempo disinformato. E leggiamo il finale della sua vera lettera:
 “La spada non va riposta, va spezzata: domani se ne fabbricherà un’altra? Non sappiamo, tra oggi e domani c’è di mezzo una notte ed una aurora”.
Si senta, invece, il finale della lettera manomessa:
 “La spada non va riposta finché l’ultimo nazista non abbia ripassato le Alpi, l’ultimo traditore fascista non sia sterminato. Per i manutengoli del tedesco invasore e dei suoi scherani fascisti, senatore Gentile, la giustizia del popolo ha emesso la sentenza: Morte!”
Questo finale, attribuito a Marchesi, gli generò il marchio dell’istigatore mentre era in vita e non del tutto cancellato perché riaffiora ogni qualvolta si parla dell’umanista: ciò da quando i partigiani toscani uccisero nell’aprile del ‘44 a Firenze il filosofo Gentile. Marchesi era stato molto amico di Gentile, sin dalla gioventù, dall’inizio del secolo scorso, quando entrambi discutevano sul “Liber philosophorum”. La lettera aperta al filosofo Gentile non è, quindi, contro costui: è contro il fascismo “che rinasceva con i carri armati tedeschi, con i tribunali, con le sue rappresaglie. Sappiamo ora, da Paolo Spriano (Storia del Partito Comunista Italiano, IV, pag. 210), che fu Girolamo Li Causi: il quale, dunque, va indicato come istigatore della morte di Giovanni Gentile: non Concetto Marchesi", osserva Franceschini, a proposito di questa altra storia, non ancora chiara, secondo altri.
Va ricordato che Li Causi aveva scontato parecchi anni di carcere sotto il regime fascista: ritornato libero assurge ad uno dei più grandi dirigenti delle P. C . I.. Li Causi - va ricordato pure - fu colui che affrontò a viso aperto la banda Giuliano e la Mafia in Sicilia ed assieme a questa la mafia del dopoguerra.
Tanti articoli della stampa quotidiana su questa vicenda riguardante la morte di Gentile. Leonardo Sciascia, alcuni anni prima che morisse,
  
indica sul “Corriere della Sera” Li Causi e Marchesi come iresponsabili morali della morte di Gentile contribuendo (non documentato), ad intensificare la macchia sulla memoria di Marchesi.
 Il “Marchesi politico” si evince da una serie di scritti sulla guerra di Liberazione, scritti di alto livello linguistico e storico. I discorsi sono venuti alla luce nel 1986, a trent’anni dalla morte dell’ umanista parlamentare, grazie all’allora Presidente della Camera, Nilde Iotti, che ha fatto pervenire al sottoscritto il materiale, ma pure grazie all’editore Nicola Teti che mi ha suggerito di costruire un’edizione a mia cura per le Edizioni Del Paniere.
 La resistenza, secondo il Marchesi, è come un altro Risorgimento perché contiene la stessa congiunzione di spiriti; nei suoi primordi è disordine ed i suoi “principii” furono torbidi.
Sulla politica ch’egli cura per i giovani scrive il 7 gennaio 1945 sulla “Nuova Europa” (discorso da me ripreso per il libro Liberate l’Italia dall’ignominia): “E’ difficile tra le aiuole fiorite rintracciare il sentiero della vita: esso è nascosto tra le rovine: e si troverà se c’è una gioventù che lo sa cercare”.
Nel 1946, Marchesi viene eletto deputato per l’Assemblea Costituente, nella circoscrizione di Verona con 9.574 preferenze, poi, nel 1948, per il primo Parlamento nella circoscrizione di Venezia con 20.393 preferenze ed ancora al secondo Parlamento, nella circoscrizione di Venezia, con 12.055 preferenze. Sono studenti che lo votano, della sinistra e della destra cattolica, ma anche docenti, lavoratori.
Il lavoro intenso di un umanista per i lavori parlamentari è più rivolto alla scuola, alla palingenesi di questa.
Nel libro I discorsi v’è l’ultimo atto dell’umanista, che durante le stagioni dei due parlamenti, dal ‘48 al ‘57, anno della morte, si batte strenuamente per una nuova Italia. E il suo linguaggio, anche per le uscite pratiche, burocratiche è armonioso, limpido, intessuto di citazioni latine. Si racconta che lo ascoltassero, per questo, persino gli avversari che sinceramente lo applaudivano dall’emiciclo della Camera dei Deputati.
In una relazione alla Camera del 19 maggio del 1954, denunciando,
  
sottolinea: “ E’ bene che la dittatura di talune persone finisca (...)”. Alcuni anni prima, nel 1948, aveva criticato aspramente il numerus clausus nelle Università. “Il numerus clausus? No! ” aveva gridato. Non coi reticolati si difende la scienza; e non vogliamo trincee nemiche per la gioventù italiana, che ha tanto sofferto per opera degli anziani, aveva incisivamente proseguito.
Marchesi dialoga con il democristiano Guido Gonella, che lo ricorderà all’indomani della morte con un suo servizio su “Società nuova” del 10.3.1957, dal titolo “Marchesi e la fede cristiana”. E’ un servizio, come altri, non verace, sulla conversione alla fede cattolica, mai avvenuta, di Marchesi.
 Marchesi assume atteggiamenti caustici negli anni al Parlamento nei confronti di quel potere bieco che   Mario Scelba esercitò come Ministro dell’Interno. 
Non solo per i problemi atavici irrisolti dell’istituzione scolastica, l’umanista-politico si batte perché vengano risolti, ma anche si batte per le opere d’arte, come la “Farnesina”, la villa di Agostino Chigi, fatiscente.
 “Da tutte le parti del mondo si viene a vedere i capolavori architettonici e pittorici italiani; forse tra non molto potranno venire a vedere le rovine di non pochi di essi,” scrive nel suo “Ordine del Giorno” dell’ 8.4.1954 e continua sottolineando l’incuria abbattutasi sulla “Farnesina”. Così:
 “Vi è una villa qui a Roma, ch’ Ella conosce certamente, signor Ministro, un purissimo capolavoro architettonico del primo Cinquecento, che il Vasari diceva non costruito sulla terra ma nato, spuntato dalla terra”.
C’è, infine, di Marchesi una pagina a cura di G. Giolo e del sottoscritto, inserita nell’opera Il Cane di terracotta   (Edizioni del Paniere, Verona, 1986), pagina che parla della rinascita del periodico messinese “Il Riscatto” che avevano fondato gli anarchici, poi socialisti, Noè e Lo Sardo: è una pagina stupenda, che denuncia la malavita messinese e nazionale. Ne cito un tratto che recita: “Risorga “Il Riscatto” di Noè e di Lo Sardo e denunci la malavita che fermenta in questa repubblica clericale: la denunci a coloro che, pur essendo con noi, sono ancora capaci di sentire il danno e l’ingiustizia che a tutti i cittadini viene da una classe dirigente di malversatori senza scrupoli e senza fede…”.
 E più avanti - riduco un po' il discorso - : “ Seneca filosofo diceva un giorno a Nerone imperatore ... per quanto presunti avversari tu possa ammazzare, non ucciderai mai il tuo successore…Questo impazzito imperialismo occidentale americano, per quanti strumenti di rovina possa accumulare nei cantieri della morte non distruggerà mai il suo successore, che oggi ha un nome: socialismo”.
Questo è il Marchesi umanista e politico detto non completamente: occorrerebbero seminari per riscrivere la sua immagine e la sua opera più doverosamente complete.
Non esagerò o tirò acqua al suo mulino Togliatti quando con un ampio  discorso, riguardante l’esistenza dell'umanista e del politico Marchesi, lo commemorò il 14 febbraio 1957 alla Camera dei Deputati, pronunciando, come conclusione di vero :
Abbiamo perduto l’amico e il Maestro di tanti tra di noi, di tanta parte di noi stessi, di tanti giovani, di tanti cittadini italiani(...) A lungo viva nel mondo questa memoria, nelle nostre scuole, nel movimento delle classi lavoratrici, nella mente degli studiosi, nella coscienza del nostro paese”
Sebastiano Saglimbeni
curatore di scritti su concetto marchesi

Vedi Appello agli studenti(1943)



Marted́ 15 Marzo,2011 Ore: 12:41
 
 
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