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www.ildialogo.org GRAMSCI E' UNO DEI NOSTRI! DOPO BENEDETTO CROCE E' IL VATICANO A GRIDARLO! A Claudio Sardo, nuovo direttore dell’Unità, i primi «cordiali auguri» dall’Osservatore Romano. Una nota di Daniela Preziosi, con una premessa sul tema,a c. di Federico La Sala

ITALIA, 2011!!! TUTTI. MOLTI. POCHI: E NESSUNA COGNIZIONE DELL’UNO, DELL’UNITA’!!! L’Italia e le classi dirigenti senza senso nazionale.
GRAMSCI E' UNO DEI NOSTRI! DOPO BENEDETTO CROCE E' IL VATICANO A GRIDARLO! A Claudio Sardo, nuovo direttore dell’Unità, i primi «cordiali auguri» dall’Osservatore Romano. Una nota di Daniela Preziosi, con una premessa sul tema

(...) “Benedetto Croce recensì nei “Quaderni della critica, (III,8,1947) le Lettere dal carcere. Ed è rimasta celebre la sua potremmo dire appropriazione dell’autore rivelato da quelle lettere: “Come uomo di pensiero egli fu dei nostri” (Luciano Canfora)


a c. di Federico La Sala

Premessa sul tema. Materiali per approfondire (cliccare sui titoli per andare ai testi):

“Benedetto Croce recensì nei “Quaderni della critica, (III,8,1947) le Lettere dal carcere. Ed è rimasta celebre la sua potremmo dire appropriazione dell’autore rivelato da quelle lettere: “Come uomo di pensiero egli fu dei nostri” (Luciano CanforaPrefazione, a: Antonio GramsciLettere dal carcere, RCS Quotidiani, Milano 2011, p. 9)


ANTONIO GRAMSCI, SULLA "ZATTERA DELLA MEDUSA". Una lettera dal carcere: una grande lezione di vita, di pensiero, e di libertà  

ROMOLO AUGUSTOLO: L’ITALIA NON E’ NUOVA A QUESTI SCENARI. C’E’ CAPO E "CAPO" E STATO E "STATO": MUSSOLINI E LENIN A CONFRONTO. 
-  L’analisi di Gramsci (già contro le derive staliniste!), una bussola per non naufragare e una lezione di vita e di libertà

ITALIA!!! TUTTI. MOLTI. POCHI: E NESSUNA COGNIZIONE DELL’UNO, DELL’UNITA’!!! L’Italia e le classi dirigenti senza senso nazionale.

VIVA L’ITALIA. LA QUESTIONE "CATTOLICA" E LO SPIRITO DEI NOSTRI PADRI E E DELLE NOSTRE MADRI COSTITUENTI. Per un ri-orientamento antropologico e teologico-politico. (Federico La Sala)

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-  Pd e amalgama 
-  Arriva un cattolico a casa Gramsci

 

-  di Daniela Preziosi (il manifesto, 6 luglio 2011)

Non capita spesso che i primi «cordiali auguri» a un nuovo direttore dell’Unità arrivino dall’Osservatore Romano, organo ufficiale della Città del Vaticano. Anzi, fin qui non era nell’ordine delle cose, nonostante il crollo del Muro e via scendendo.

È capitato ieri a Claudio Sardo, il primo cattolico (dichiaratamente tale, non solo in interiore homine) che dirigerà, dall’8 luglio, il giornale fondato da Gramsci. Sostituisce Concita De Gregorio, contratto scaduto e non rinnovato con i ringraziamenti della casa, nonostante la riconsegna delle chiavi a quota 38mila, meno 10mila copie di quelle che le aveva lasciato Antonio Padellaro.

Formalmente il Pd non c’entra con la nomina decisa dalla Nie, e in persona dall’editore Renato Soru, arrivato nel 2008 da presidente della Sardegna con la nuova stagione veltroniana, poi disarcionato e fra le concause della successiva ’walterloo’. Ma il vento è cambiato e l’editore, che ora punta sul suo nuovo Sardegna 24, si vuole disimpegnare. E così chiama il notista del Messaggero (e segretario della Stampa parlamentare) che, insieme allo storico Miguel Gotor ha firmato il libro-intervista di Bersani, «Per una buona ragione». L’ottima ragione di Soru è che così il Pd non potrà tirarsi indietro nel ’facilitare’ la sua uscita. L’ottima ragione di Bersani è che oltretutto le ultime interviste di Sardo al giornale di Caltagirone sono state D’Alema, Casini, oltreché lo stesso segretario Pd: più che articoli, un’alleanza di governo.

«Ma no, quello a cui potrei contribuire piuttosto è alla costruzione di un’alleanza fra società, movimenti e politica», replica Sardo. Che è cattolico, «di sinistra» ma soprattutto persona prudente. E non dimentica che la sua predecessora rischiò il collo raccontando la linea editoriale a un periodico prima che alla redazione. «Rispetteremo le radici dell’Unità e cercheremo di dare un contributo alla nuova identità plurale del Pd. Sapendo che non tutte le antinomie sono componibili. Dando priorità alla questione sociale. Ma l’Unità è un giornale, faremo giornalismo».

Su Gramsci ovviamente non c’è discussione, «importantissimo per la cultura italiana, come decisivo è stato l’apporto del Pci». Quanto al suo essere cattolico, «la cultura religiosa è spesso un apporto decisivo alla partecipazione e a un tessuto sociale solidale». Tanto basta per zittire i Fioroni e i D’Ubaldo.

Sardo è un ex aclista dell’era di Domenico Rosati, ai tempi ne ha anche diretto il settimanale. Ha certo un’allure meno scapigliata della tuttavia pettinatissima De Gregorio, che è approdata all’unità da Repubblica con nel curriculum un po’ di cose di sinistra, persino un libro sul G8 di Genova.

Tutto congiurerebbe contro di lui, dalla gioia dell’Udc a un entusiasmo che D’Alema e i dalemiani hanno messo in circolo per la sua nomina. Ma che Sardo non abbia il profilo del normalizzatore lo dimostra il fatto che la redazione - stanca di fili rossi e direttrici in tv - ha accolto con un comunicato affettuoso il «professionista serio e autorevole» a cui offre «massima collaborazione».

Lui ha ricambiato con un gesto di quelli che dicono cose, una prima informale visita alla redazione già lunedì, stringendo la mano a colleghi e poligrafici. Dettagli: la direttrice a metà giugno ha preso le ferie, e fin qui di saluti non se n’è visti.

 


Mercoledì 06 Luglio,2011 Ore: 20:49
 
 
Commenti

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Autore Città Giorno Ora
Federico La Sala Milano 08/7/2011 12.48
Titolo:Da oggi Claudio Sardo, provenendo dal Messaggero, è il nuovo direttore dell’Unit...
da oggi Claudio Sardo, provenendo dal Messaggero, è il nuovo direttore dell’Unità, quello che segue è il suo primo editoriale

l’Unità 8.7.11

Nel segno dell’Unità

di Claudio Sardo

L ’Unità è il giornale delle idee, delle lotte, delle passioni civili che hanno radicato la sinistra nella storia italiana e ne hanno accompagnato la crescita democratica. Già il nome contiene una forza vitale, che è ragione non secondaria di questo lungo percorso. La tensione verso l’unità è stata nel tempo l’antidoto contro il settarismo, le tentazioni di autosufficienza, lo spirito minoritario o elitario. È stata una spinta continua al dialogo, all'apertura, al rinnovamento. È stata il mastice popolare che ha tenuto insieme il Paese nei momenti difficili.

Non c’è bisogno di tornare ai tempi eroici della Resistenza e della Costituzione, alle grandi conquiste dei diritti sociali e del lavoro, ai pensieri lunghi di Enrico Berlinguer e Aldo Moro per apprezzare il valore della parola unità. Sotto questo segno, dopo la sconfitta del ’94, nacque l’Ulivo, che consentì all’Italia di raggiungere il traguardo storico dell’euro, senza il quale chissà se oggi saremmo ancora un Paese unito. Ma a ben guardare lo stesso vento nuovo, sospinto dalle amministrative e dal referendum, reca un'impronta simile.

All’origine della nuova speranza italiana ci sono le celebrazioni del 150 ̊ dell’unità nazionale, che il presidente Giorgio Napolitano ha fortemente voluto e che hanno rinsaldato le radici patriottiche e costituzionali dei progressisti e dei moderati, provocando invece gravi affanni e contraddizioni nella maggioranza Pdl-Lega.

Ci sono le battaglie di questi mesi dei lavoratori, dei precari, degli studenti, dei ricercatori, che si sono ribellati alle crescenti disuguaglianze e ai muri divisori tra Nord e Sud, tra garantiti e non, tra giovani e adulti, tra chi è protetto da una corporazione e chi no. All'origine del vento nuovo c'è ancora la carica culturale del movimento delle donne, che ha opposto al berlusconismo la più radicale critica del linguaggio e dei comportamenti. Quella del 13 febbraio non è stata l’ultima piazza della contestazione ma la prima della ricostruzione: ne è testimonianza quel passaggio dell’appello che richiama la coscienza “civile, etica e religiosa della nazione” come il tessuto connettivo da preservare (e domani tornerà a riunirsi a Siena il movimento “Se non ora quando?”).

La parabola di Berlusconi sta declinando. Forse non si chiuderà solo il decennio dei suoi governi, ma anche quella che abbiamo chiamato Seconda Repubblica. In ogni caso non sarà un passaggio facile. L'onda lunga della crisi finanziaria e le paure dell'Europa rendono il momento assai insidioso. E la drammatica debolezza di un governo, ormai incapace di agire, aumenta i rischi per l'Italia e minaccia ancor più il nostro futuro.

L'Unità sarà un giornale battagliero e aperto. Impegnato con ogni forza a raccontare la verità sull'Italia. La verità sui conti pubblici, sulle riforme negate per conservare i privilegi di pochi, sulle cricche, sulla crescita necessaria per uscire dalla tenaglia tra rigore economico e ingiustizia sociale. Questo Paese deve tornare a crescere. Lo chiedono innanzitutto i più deboli e la classe media impoverita dalla crisi. È la grande priorità nazionale, senza la quale rischiano di crollare tutte le ipotesi politiche.

Per fortuna, però, ci sono anche importanti novità sociali, che recano il segno della ricomposizione, della responsabilità nazionale, appunto dell' unità. Spicca tra queste il recente accordo sulla contrattazione, che ha ridato all'Italia la speranza dell'unità sindacale: non ci sarà svolta progressista senza unità tra le forze del lavoro (e non è un caso che il governo Berlusconi abbia sempre lavorato per la divisione).

Ma altri processi unitari, pur trascurati dalle cronache, rappresentano un segno di speranza: dalla storica alleanza tra le cooperative bianche e rosse, che ora si pone alla base di un rilancio dell'economia sociale, alla Rete delle piccole imprese, degli artigiani e dei commercianti, che non vogliono restare esclusi dai processi di innovazione. C'è anche questo nelle vittorie di Giuliano Pisapia e del centrosinistra al Nord. E l'Unità intende raccontare quest'Italia che non accetta di finire in serie B, che vuole premiare il lavoro e l’impresa anziché la rendita, che si impegna per dare un futuro migliore ai propri figli.

Non c'è soltanto un'alternativa di governo da comporre. All'Italia serve un grande patto per la ricostruzione. Un impegno di portata costituente, il cui programma economico e sociale non potrà che avere l'orizzonte di un decennio e la dimensione dell'Europa. Come altre volte è accaduto nella storia, è più di sinistra costruire una larga convergenza attorno a un progetto di cambiamento concreto che non tentare da minoranza la conquista del Palazzo. Perché le politiche di uguaglianza e di innovazione hanno bisogno di condivisione e di responsabilità. Ovviamente hanno anche bisogno di radicalità nei valori, di rigore nei comportamenti, di rispetto per la legalità, di un grande senso etico e civico. L'Unità vigilerà, racconterà, discuterà, darà voce ai cittadini. E non farà sconti. Neppure al centrosinistra.

L'Unità non è un giornale di partito. Nessuno potrà costringerci in uno spazio predefinito. Ma cercheremo anche noi di dare il nostro contributo a definire una nuova cultura democratica. E in questa cultura i partiti sono insostituibili strumenti di partecipazione, a disposizione in primo luogo di chi altrimenti sarebbe escluso dal potere economico e mediatico. Vogliamo uscire dal berlusconismo, combattendo anche quello che ha messo radici nel centrosinistra. In fondo, la contrapposizione tra società civile buona e partiti cattivi è stata la chiave che ha portato il Cavaliere al successo e che, insieme alla vulgata liberista, ha segnato l'epoca che dobbiamo superare. La nostra prospettiva è un'alleanza tra partiti e società, tra buona politica e movimenti innovativi. Così è accaduto nei momenti migliori della nostra storia.

Il populismo e il leaderismo, invece, distruggono i corpi intermedi e il pluralismo sociale prima ancora che la buona politica. Ringrazio l'editore che ha avuto fiducia in me e mi dà la grande opportunità di dirigere questo giornale storico in un passaggio così importante.

Ringrazio Concita De Gregorio per aver portato il testimone con passione e intelligenza: la sua amicizia mi onora e la sua impronta resterà nella nostra impresa collettiva. Mi impegnerò con tutte le forze, sapendo di avere al fianco colleghi appassionati, competenti, generosi.

Un giornale, più di ogni altra cosa, è un lavoro collettivo, un'opera comune. Dei giornalisti che ci lavorano e anche dei lettori che lo apprezzano, lo criticano, ci si riconoscono. Considero un mio compito anche valorizzare questo elemento comunitario.

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