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www.ildialogo.org CINA <br>SANGUE E SPLENDORI DELLE PRIME DINASTIE,di Daniela Zini

CINA
SANGUE E SPLENDORI DELLE PRIME DINASTIE

di Daniela Zini

“…né cristiano né pagano, saracino o tartero, né niuno huomo di niuna generazione non vide né cercò tante meravigliose cose del mondo come fece messer Marco Polo.”

 

UNA VIAGGIATRICE EUROPEA

ALL’ALBA DI UN NUOVO MILLENNIO

SULLE STRADE CHE VIDERO GENGIS KHAN E MARCO POLO

Viaggiare per diventare senza patria.”

Henri Michaux

Agli asini e ai muli, senza i quali nulla di tutto ciò sarebbe accaduto.

La mondializzazione ha modificato il rapporto con il tempo e con lo spazio.

Le evoluzioni tecnologiche, economiche, politiche hanno provocato, moltiplicato le relazioni tra le persone, le culture.

Ma se le genti si incrociano sempre più, possiamo dire che si incontrano?

La paura dell’Altro, alimentata dall’ignoranza, nutre il razzismo. Vivere con i propri simili rassicura, ma i comunitarismi chiudono, inquietano.

È una banalità affermare che l’incontro con l’Altro permetta l’incontro con noi stessi. È identificando l’Altro che identifichiamo noi stessi.

Chi viaggia senza incontrare l’Altro non viaggia, si sposta.

Diverse ragioni mi legano all’Asia e, negli anni, mi sono specializzata nei territori legati anche a Marco Polo.

Così è nata l’idea di questo viaggio.

Gli imperatori del 2000 a.C. vestono abiti di seta e promuovono la lavorazione del bronzo. Al cruento periodo dei regni combattenti subentra l’età delle scuole di pensiero. Con la Grande Muraglia la Cina si difende dai barbari. La rivolta dei Turbanti Gialli: il mondo cinese si fraziona.

Quattrocentomila anni fa in Cina vivevano, già, i cinesi: i resti del Sinanthropus Pekinensis, scoperti, nel 1927, nella grotta di Chu-ku-tien, vicino a Pechino, presentano caratteristiche morfologiche tali da stabilire la discendenza del gruppo etnico mongolo e, in particolare, cinese, da quel lontano progenitore. Ma il Sinanthropus si reggeva a stento in posizione eretta e non parlava. Dovevano passare centinaia di migliaia di anni prima che l’uomo raccontasse la sua storia, cercasse di dare un senso al proprio vivere civile.

Gli inizi dell’epoca storica si delineano frammentari e confusi intorno al III millennio a.C.: l’uomo parla, racconta di sé e il mito è il primo documento che rifletta le fasi, i problemi e gli orientamenti della civiltà arcaica.

Yao, Shun e Yu sono i tre imperatori della leggenda, infaticabili organizzatori del lavoro umano e impegnati a sottomettere la natura al controllo dell’uomo.

Il figlio dell’ultimo mitico imperatore, Yu il Grande, colui che imbrigliò le acque dei fiumi, è il fondatore della dinastia Xia che, secondo le date convenzionali, va dal XXI al VI secolo a.C.

La Xia è una dinastia non storicamente accertata, ma l’arco di tempo che abbraccia corrisponde, senza dubbio, a un periodo di assestamento e consolidamento: l’insediamento si fa stabile, agricoltura e artigianato si sviluppano lentamente mentre cultura dei cereali e allevamento hanno ancora un ruolo secondario. Ma già gli appartenenti alle grandi famiglie vestono abiti di seta, perché in Cina la sericoltura è nota dal II millennio a.C.

Intorno a questo stesso periodo, nelle piane della Cina centrale, si verifica un fenomeno di importanza capitale, vale a dire appare e si impone la tecnica per la lavorazione del bronzo; sull’introduzione di questa tecnica non sono da escludersi influenze esterne, dell’Asia centrale, ma è provato che questa si perfeziona gradualmente proprio in Cina, raggiungendo un livello eccezionalmente alto rispetto alle altre civiltà primitive. Nel contempo, si estende e consolida, sempre più, la proprietà privata della terra, emerge una aristocrazia dedita alla caccia e alla guerra, la quale avoca a sé anche le funzioni religiose, sacrificando agli antenati e alle divinità del suolo.

È l’epoca della dinastia Shang, la prima storicamente accertabile (1766-1112 a.C.), che ebbe trenta sovrani, i cui nomi ci sono stati tramandati dagli Annali dinastici. I nobili riconobbero l’autorità di questi sovrani che erano più capi religiosi, in quanto garanti dell’ordine cosmico, che capi politici. Intorno al nucleo, già, organizzato dello spazio cinese corrispondente, a grandi linee, alle odierne province di Hopeh e di Honan, vivevano popolazioni che i cinesi consideravano barbare. Contro queste popolazioni, la dinastia degli Shang si estenuò in guerre continue fino a quando l’ultimo sovrano degli Shang venne sconfitto in battaglia dal capo dei Chou, Wu Wan.

La gente di Chou, stabilita nella regione dell’odierno Shaanxi, differiva etnicamente e culturalmente dagli Shang. Il successore di Wu Wan, il famoso Duca Chou, diede allo Stato strutture assai simili a quelle del feudalesimo europeo del medioevo: ai suoi parenti e ai suoi alleati il Duca Chou assegnò i feudi principali, ma ebbe la scaltrezza di assegnarne uno anche all’erede dell’ultimo sovrano degli Shang, in modo da ingraziarselo e impedire che intorno alla sua persona si formasse una coalizione legittimista.

I feudatari dovevano pagare un tributo al sovrano e impegnarsi a difenderlo militarmente, ma nel loro feudo godevano di poteri assoluti: i contadini, in posizione simile a quella dei servi della gleba, erano obbligati a prestare corvées a beneficio diretto del loro signore, ma spesso anche a beneficio di tutta la comunità, come l’immane opera di controllo dello Huang Ho e dei suoi affluenti, che richiedeva assiduo impegno di manodopera ingente. Nelle comunità di villaggio le famiglie contadine coltivavano, a turno, gli appezzamenti migliori di terra che rimaneva, tuttavia proprietà del feudatario dal quale la ricevevano in uso. Un campo, generalmente il più fertile, era, poi, coltivato comunemente da tutti i contadini e il raccolto ottenuto doveva essere consegnato interamente al signore.

I Chou stabilirono la loro capitale prima a Hsian poi, verso il 750 a.C., sentendosi minacciati dalle popolazioni barbare limitrofe, specie i jung, la trasferirono più a est, a Loyang, dando, così, inizio a quella che è chiamata dinastia dei Chou orientali. Alla periferia, intanto, si erano formati vari principati autonomi e per i Chou iniziò un lungo periodo di decadenza, durante il quale la loro sovranità fu riconosciuta soltanto formalmente.

Il periodo che va dal 722 al 481 a.C. – durante il quale la, già, affermata unità del mondo cinese entrava in crisi – è noto come Periodo Primavera Autunno, dal titolo di una raccolta di Annali che a esso si riferiscono. Tre grandi principati, Qi nello Shantung, Qin nello Shaanxi e Qiu a sud dello Yangtze, si contesero il primato e si dilaniarono in guerre sanguinose. Le vicende di questo periodo sono estremamente complesse; assetto economico e organizzazione della società subirono profonde trasformazioni. L’evoluzione già in atto si precisò con l’introduzione della tecnica per la fusione del ferro che veniva usato per scopi sia militari sia civili. Solidi attrezzi agricoli permettevano di dissodare terre sempre più vaste e i principati maggiori divennero grandi Stati in cui la produzione agricola assunse un’importanza fondamentale. La terra, prima proprietà inalienabile del signore feudale, divenne oggetto di compra-vendita e venne imposto un sistema di tassazione in base all’area posseduta. La nomina dei funzionari direttamente da parte del principe divenne uso comune, mirante a distruggere i resti dell’aristocrazia feudale e a centralizzare di conseguenza il potere.

Il periodo seguente, che va dal 475 al 221 a.C., è conosciuto come Epoca dei Regni Combattenti, perché le guerre si susseguirono ininterrotte tra i vari Stati di recente e più vecchia formazione: Yen nella provincia di Hopeh, Qi e Lu nello Shantung, Qiu nella media valle dello Yangtze, Shu nello Sichuan. Le città si ingrandirono, il commercio si sviluppò, apparve la figura del mercante e, con il mercante, la moneta.

A queste trasformazioni economiche e sociali si accompagnò una intensa vita intellettuale fiorente presso le corti dei vari principati: è l’epoca delle cento scuole di pensiero, delle dispute tra filosofi impegnati non in speculazioni metafisiche, ma in problemi concretamente politici. È l’epoca di Confucio (551-479 a.C.) cittadino dello Stato di Lu.

Uno Stato, tuttavia, quello di Qin, situato nell’estremo ovest, era, già, decisamente uscito dal feudalesimo e stava fortificandosi grazie alla radicale eliminazione del sistema di proprietà feudale, alla costituzione di una burocrazia centralizzata, all’introduzione del principio della responsabilità collettiva, penale e fiscale, nei villaggi e alla costruzione di opere idrauliche.

Al principe di Qin, ricordato con il nome di Qin Shi Huang Ti (Qin Primo Augusto Imperatore), sarebbe toccata la missione storica di unificare la Cina: dal 230 al 221 a.C., sconfisse tutti i suoi rivali ed estese i confini del mondo cinese fino alla regione dove oggi sorge Canton; dal 221 al 210 a.C., consolidò le sue conquiste, generalizzando le riforme già attuate nel suo Stato. Coadiuvato dal grande statista Li Su, divise l’impero in province e distretti, organizzò una vasta rete stradale che si diramava a raggera dalla capitale. Hsien Yang, unificò pesi, misure, monete e caratteri di scrittura, distrusse tutte le fortificazioni che dividevano un regno dall’altro, ma alla frontiera settentrionale iniziò la costruzione della Grande Muraglia per proteggere la Cina dalle incursioni dei barbari.

In realtà, questa opera gigantesca non ha mai protetto la Cina dalla minaccia delle popolazioni del nord, ma è, sempre, stata orgogliosa testimonianza dell’unità dell’impero cinese, portatore di un ordine e di un sistema di valori al quale i barbari dovevano conformarsi: altrimenti, prima o poi, sarebbero stati ricacciati al di là della Grande Muraglia e più che una difesa un simbolo.

Qin Shi Huang Ti abolì anche tutti i diritti feudali, scatenò la repressione contro i confuciani, impose ai contadini pesanti tributi in natura e lavoro forzato, ordinò la distruzione di tutti i libri che gli suonavano sgraditi perché desiderava che tra passato e presente non vi fosse più nessun ponte. Insomma, Qin Shi Huang Ti era un despota dalla mano pesante, ma in undici anni creò l’impero che ebbe vita più lunga in tutta la storia del mondo.

La dinastia da lui fondata ebbe, tuttavia, durata brevissima: un anno dopo la sua morte si scatenò la prima grande rivolta contadina della storia della Cina, risorsero i particolarismi, si ricostituirono i principati feudali. Il figlio di Qin Shi Huang Ti fu detronizzato, nel 206 a.C., da Liu Pang, rappresentante della nuova classe di latifondisti il quale, sedata la rivolta contadina, concedendo ai poveri di coltivare le terre reali, fondò la dinastia Han che tanta importanza ebbe nella storia della Cina, perché plasmò definitivamente la struttura morale, economica e politica della nazione cinese, al punto che, ancora oggi, i cinesi si definiscono Figli di Han. Liu Pang affidò il controllo dello Stato a una burocrazia di funzionari reclutati per esami e ricalcò, in parte, le leggi dei Qin, riducendo però l’onere che gravava sui contadini.

Sotto il regno dell’imperatore Wu Ti (140-87 a.C.), il confucianesimo divenne l’ideologia ufficiale della classe dominante e lo Stato accentrò ogni funzione imprenditoriale, istituendo monopoli per il sale, il ferro e la zecca. La campagna contro gli unni, intrapresa sotto questo imperatore, ebbe esito vittorioso e la Cina entrò, per la prima volta, in contatto con l’Asia centrale, fino alla Partia, grazie a un’ambasceria guidata da Chang Ch’ien, che aprì quello che, per secoli, fu l’unico e precario canale di comunicazione tra oriente e occidente, la famosa Via della Seta. Ma le campagne militari costavano care, il tesoro pubblico si dissanguava e i proprietari terrieri, sempre più strettamente legati alla burocrazia, sottraevano terre ai contadini, ridotti, per la maggioranza, al ruolo di braccianti agricoli.

Agli inizi del I secolo a.C., scoppiarono rivolte che misero a repentaglio l’esistenza stessa dello Stato.

Nell’8 d.C., Wang Mang, alto dignitario imperiale, rovesciò la dinastia Han, fondò la dinastia Hsin (la Nuova) e varò una serie di drastiche riforme per controbilanciare il potere dei latifondisti: vietò la compra-vendita della terra dichiarata di possesso demaniale e la distribuì ai coltivatori, istituì un sistema di prestiti e consolidò i monopoli statali. Ma tutte queste misure non ebbero effetti immediati e il malcontento popolare sfociò nella rivolta dei Sopraccigli Rossi.

Nel 22, un principe della deposta dinastia Han riuscì a ristabilire il potere del suo casato e trasferì la capitale a est, a Loyang. Per questo gli Han, dal 22 al 186, furono definiti Han orientali mentre gli Han del periodo precedente, che avevano per capitale Hsian, erano noti come Han occidentali. Fu un breve periodo di ripresa economica, di relativa prosperità e di scoperte tecniche, presto minato dalle guerre ai confini contro gli unni, sconfitti, tuttavia, nel 91. Gli imperatori Han non riuscirono a contrastare efficacemente il potere dei latifondisti e la loro corte, dominata dagli eunuchi e dalle concubine, era luogo di intrighi e di corruzione, che dilagavano dal centro nelle province, coinvolgendo tutta la classe dei funzionari.

Nel 184, scoppiò un’altra grande rivolta contadina detta dei Turbanti Gialli, i cui capi si ispiravano al taoismo. Il mondo cinese fu destinato a frazionarsi nuovamente: nel 220, la dinastia Han, il cui potere da anni era soltanto nominale, venne, definitivamente, spodestata dal famoso Ts’ao Ts’ao, condottiero militare e uomo di lettere, che a Loyang fondò la dinastia Wei e colonizzò la valle del Fiume Giallo, distribuendo le terre ai suoi soldati e obbligandoli, in cambio, a pagare un piccolo tributo e a garantire l’efficienza dell’apparato militare.

Ma altri Stati sorsero in concorrenza a Wei, Shu nel Sichuan, Wu nel sud. Iniziava il periodo detto dei Tre Regni, che durò fino al 280, quando una nuova dinastia, la Qin, riuscì a riunificare il Paese, fino al 313. All’epoca dei Tre Regni lo spazio cinese si era frazionato, seguendo frontiere che corrispondevano a nuove autonomie economiche: medio Fiume Giallo, basso Yangtze e bacino rosso del Sichuan. Nel bacino del medio Fiume Giallo si insediarono popoli nomadi delle steppe settentrionali di origine etnica diversa (tungusi, turchi, tibetani) che fondarono Stati propri, adottando i principi, la lingua e gli usi e costumi cinesi.

I seguito a queste invasioni si verificò un flusso di migrazione cinese verso il sud, verso le zone ancora poco popolate del basso Yangtze. Nord e sud, differenziati etnicamente e politicamente, subirono vicende diverse per tutta l’epoca seguente, detta, appunto, dei Regni Settentrionali e Meridionali.

Al sud si alternarono, successivamente, cinque dinastie cinesi, mentre tutta la regione del basso Yangtze conobbe uno sviluppo spettacolare nel campo dell’agricoltura, dell’artigianato e del commercio. Era l’epoca in cui il buddismo, introdotto in Cina fin dall’epoca Han, godeva del favore delle corti e si diffondeva tra il popolo assumendo, in certi periodi, caratteristiche di religione privilegiata di Stato. Al nord si susseguirono varie dinastie barbare, ma la più importante fu quella dei Wei, fondata dalla tribù dei Toba che, nel 386, unificò il nord e riuscì a mantenersi, pur con alterne vicende, fino al 557, quando l’ultimo imperatore Toba fu spodestato da un dignitario di sangue misto, Wendi Yang Jian, il quale mosse alla conquista vittoriosa del sud e, nel 581, fondò la dinastia Sui.

La Cina riunificata del VI secolo aveva dimensioni territoriali, etniche, economiche e sociali diverse rispetto alla Cina degli Han. I barbari invasori erano stati, completamente, assimilati e la regione economicamente determinante non era più la valle del Fiume Giallo, ma quella dello Yangtze, prima arretrata e dipendente. Per convogliare alla capitale Loyang, a quell’epoca una città di più di un milione di abitanti, e a tutte le altre regioni consumatrici, i milioni di quintali di cereali prodotti nella zona del basso Yangtze, Yang-ti, primo imperatore della dinastia Sui, iniziò i lavori di scavo del Grande Canale Imperiale, che, per un millennio, fu la più rapida via di comunicazione tra nord e sud. A questo scopo ricorse al lavoro coatto in misura, insopportabilmente, gravosa per le masse contadine: dei sei milioni di uomini reclutati per lo scavo del canale, tre ne morirono di fatica e di stenti. Eguale sorte toccò a coloro che vennero da Yang-ti reclutati per restaurare la Grande Muraglia.

Per potenziare l’apparato burocratico centralizzato, Yang-ti sostenne il confucianesimo, a scapito del buddismo e perfezionò il sistema degli esami imperiali per il reclutamento dei funzionari. Inoltre lanciò imponenti campagne militari, che portarono gli eserciti cinesi fino al Vietnam, al Siam e alla Corea. Ma queste guerre costarono care, la situazione economica generale risentì di cattive annate agricole e bande armate di contadini si sollevarono ovunque.

Nel 618, la dinastia Sui crollò: come i Qin, i Sui avevano avuto la missione storica di preparare il terreno ai loro successori. Gli Han prima e, poi, i Tang non fecero che continuare e perfezionare l’opera unificatrice e centralizzatrice, già, avviata da queste dinastie di transizione. La dinastia Tang, fondata da Li Yuan, un comandante militare dei Sui, portò la Cina all’apogeo della sua grandezza e ne fece uno degli Stati più potenti e civili, non soltanto dell’Asia, ma del mondo intero di allora.

Proprio mentre l’Europa piombava nel Medioevo, arti e lettere raggiungevano sotto i Tang la massima fioritura e basti qui ricordare i nomi di grandi poeti come Li Po, Tu Fu e Pai Chu-yi.

A Tan Chiu

L’amico mio dimora in alto sui monti dell’Est;

Gli è cara la bellezza delle valli e dei monti.

Nella stagione verde giace nei boschi vuoti;

E dorme ancora quando il sole alto rispende.

Un vento di pineta gl’impolvera maniche e manto;

Un ruscello ghiaioso gli terge il cuore e l’udito.

T’invidio! Tu che lontano da discorsi e discordie

Hai la testa appoggiata a un guanciale di nuvole azzurre.

Li Po (701-762)

Sotto i Tang la classe mercantile conobbe un vigoroso sviluppo, la stessa estensione dell’impero favorì l’espandersi dei traffici e l’uso della moneta si impose al punto che anche le tasse vennero prelevate in contanti e non più in natura. Cardine della vita economica rimase, ovviamente, l’agricoltura che, grazie a un editto per la ridistribuzione delle terre emanato, nel 624, ed effettivamente applicato, si sviluppò a livelli mai prima raggiunti, favorendo l’incremento demografico. La Cina dei Tang con i suoi 100 milioni di abitanti, era, in effetti, il Paese più popoloso della terra. L’influenza non soltanto politica, ma culturale e civile cinese si estese a molti Stati limitrofi, ai quali i Tang imposero rapporti di vassallaggio, lasciando loro, tuttavia, un largo margine di autonomia. Sotto la diretta influenza cinese entrarono il Tibet, la Corea e parte dell’Afghanistan.

La spinta espansionistica cinese si bloccò, tuttavia, nel 751, con la sconfitta inflitta dagli arabi alle armate imperiali presso il Fiume Tala (vicino al Fiume Ili), che aprì l’Asia centrale all’influenza dell’Islam.

Il primo secolo della dinastia Tang fu dominato da quattro grandi figure di imperatori che contribuirono con le loro doti personali alla potenza della dinastia e alla prosperità del Paese.

Il primo è T’ai Tsung, figlio del fondatore della dinastia Li Yuan, che, nel 627, costrinse il padre ad abdicare e soppresse tutti i suoi fratelli per rimanere unico padrone.

Nel 649, gli successe Kao Tsung, che proseguì l’espansione verso occidente, estendendo il potere cinese alla regione del Lago d’Aral.

Dal 684 al 710, il potere cadde nelle mani dell’imperatrice Wu Tse-tien, donna crudele e di estrema intelligenza che, dapprima, governò in nome del figlio, poi, fondò una propria dinastia, la Chu, e trasferì la capitale da Hsian a Loyang e a Lung-men, i cui resti si ammirano ancora oggi.

Ripristinato il potere dei Tang, grazie a una congiura di palazzo, salì sul trono Hsuan Tsung, un esteta raffinato e un generoso mecenate che, nel periodo del suo lungo regno, dal 712 al 756, portò la dinastia al massimo splendore, ma ne assistette anche alla decadenza. Nel 755, un generale di origine turca, An Lu-shan, comandante della regione oggi nota come Manciuria, marciò con le sue truppe contro la capitale. L’imperatore fuggì, accompagnato dalla sua concubina preferita, la bella Yang Kuei-fei. I soldati della scorta costrinsero la donna al suicidio, convinti che la sua influenza nefasta sull’imperatore avesse provocato la catastrofe. Con il cuore spezzato Hsuan Tsung fu costretto a subire questa morte e, nei secoli a venire, la storia di questi due infelici amanti fu il tema preferito di poeti e drammaturghi (http://www.youtube.com/watch?v=d70OuQbd-tg&feature=related).

La rivolta di An Lu-shan, sedata nel 763, segnò, tuttavia, una svolta nella storia dei Tang perché, nonostante vari tentativi di riforme, le tendenze centrifughe si fecero sempre più forti e quasi tutti i generali delle zone di frontiera si sottrassero al controllo centrale. La Cina dei Tang entrò, decisamente, in un periodo di decadenza, la situazione nelle campagne era disastrosa.

Nell’873, scoppiò una rivolta contadina che presto dilagò nelle altre province: centinaia di migliaia di insorti, guidati da Huang Chao, invasero la capitale. Ma i comandanti militari che, da tempo, godevano di larga autonomia, coalizzandosi, pervennero a sconfiggere i ribelli e uno di loro, Chu Wen, nel 907, dichiarò deposti i Tang e fondò la propria dinastia detta dei Liang Posteriori.

Per circa cinquanta anni, l’impero fu nuovamente diviso.

Al nord si susseguirono cinque effimere dinastie, mentre al sud si alternarono dieci regni diversi. Di questa crisi approfittarono a nord-est i barbari kitan, che, passata la Grande Muraglia, stabilirono la loro capitale, dove sorge, oggi, Pechino e, nel 937, fondarono la dinastia Liao, destinata a durare fino al 1125, nonostante il resto della Cina venisse riunificato, nel 960, da Chao Kuang-yin, fondatore della dinastia Sung. La minaccia barbara al nord pesò, come una ipoteca, sul pur florido assetto, che i Sung riuscirono a dare al Paese.

L’epoca Sung è una delle epoche più contraddittorie della storia cinese, in quanto sia l’arte sia le scienze giunsero a un estremo grado di raffinatezza ma, dal punto di vista politico e militare, fu un’epoca di decadenza. I Sung furono costretti a “comperare la pace” dai barbari, che continuavano a infiltrarsi in terra cinese dalle frontiere settentrionali, ma, il versamento di cospicui tributi non fu sempre misura sufficiente a frenarli.

Il principale problema di politica interna Sung era eliminare i fenomeni di separatismo che avevano causato la rovina della dinastia Tang e, a questo scopo, venne perfezionata la macchina burocratica altamente centralizzata, nella quale prestavano servizio circa due milioni di funzionari tra civili e militari. Agricoltura e artigianato erano quanto mai prosperi, ma nelle campagne persistevano gli squilibri e la pesante macchina statale provocò un costante disavanzo del bilancio. Le intelligenti e lungimiranti riforme proposte da Wang An-shi, capo del partito degli innovatori e, dal 1069, primo ministro, vennero osteggiate dai conservatori e non servirono a fermare l’incipiente inflazione.

Intanto nel nord, nel 1125, altri barbari, i juchen, si erano sostituiti ai kitan e avevano fondato una loro dinastia con il nome di dinastia Qin. Nel 1126, invasero la capitale dei Sung, Kaifeng, e fecero prigioniero lo stesso imperatore. La corte si trasferì al sud, a Hang-chou, e il nome della dinastia, da questo momento, nota con il nome di Sung Meridionali, passò a un ramo cadetto. Ma, nel nord, i Qin vittoriosi erano, a loro volta, minacciati da altri barbari, le tribù mongole, unificate da Gengis Khan, e quando, nel 1235, i Qin furono sopraffatti, la sorte dei Sung Meridionali, nonostante l’eroica resistenza opposta ai mongoli, fu segnata.

Nel 1279, l’ultimo imperatore Sung, la cui flotta era stata sconfitta nei pressi di Canton, si uccise gettandosi in mare, e lo spazio cinese fu, per la prima volta, nella sua lunga storia, interamente sottoposto al dominio di un popolo straniero. I mongoli, alla cui testa si trovava il grande Kublai Khan, diedero alla loro dinastia il nome cinese di Yuan, ma si opposero alla fusione con la civiltà cinese, imponendo il privilegio razziale e sottoponendo i cinesi al rigore del loro codice di vincitori. I cinesi erano esclusi dall’amministrazione e dal potere politico ed economico, le loro terre vennero confiscate, a beneficio dei padroni mongoli.

Gli storici cinesi non sono molto benevoli nei confronti della dinastia Yuan, ma sarebbe errato mettere completamente al passivo questi ottanta anni: infatti, artigianato e commercio continuarono a fiorire, le città conobbero un forte sviluppo – Marco Polo nel suo Milione ce ne ha lasciato entusiastiche descrizioni – e si riaprirono le vie di comunicazione con l’Asia centrale, fatto che, appunto, rese possibile il memorabile viaggio del mercante veneziano, il quale, in Cina, entrò al servizio dei mongoli e fece carriera, perché i mongoli non si fidavano dei cinesi e preferivano servirsi di elementi stranieri.

L’atmosfera cosmopolita dell’epoca mongola contrasta con le precedenti epoche di chiusura dello spazio cinese alle influenze e agli scambi con l’estero. In Cina giunsero le prime missioni francescane e si insediarono numerosi mercanti musulmani; alcune scoperte cinesi, quali la polvere da sparo e la stampa, si diffusero in Europa e nel mondo arabo.

Ancora una volta, tuttavia, la scintilla della rivolta scoppiò tra le masse contadine, come mai vessate e, in certe zone, private addirittura della terra, che i mongoli, nella valle del Fiume Giallo, avevano voluto lasciare incoltivata per farne dei pascoli.

Nel 1350, scoppiò, nella provincia di Honan, la rivolta contadina dei Turbanti Rossi, che dilagò presto in tutto il Paese fino a quando, nel 1368, Pechino, la Cambaluc di Marco Polo, cadde nelle mani degli insorti, alla cui testa era un contadino, Chu Yuan-chang, fondatore della nuova grande dinastia Ming.

I mongoli, fallito il loro tentativo di edificare un grande impero continentale, vennero ricacciati nel nord della Grande Muraglia, che i Ming si premurarono di restaurare, come a voler sottolineare la ritrovata unità dell’universo cinese ben distinto rispetto ai barbari. Invano!

Alla fine del XVI secolo l’autorità dei Ming declinò, nonostante i successi ottenuti precedentemente: altri barbari erano alle porte, le tribù manciù, che si impadronirono del vasto territorio, che da loro prese il nome di Manciuria, terra dei manciù, e, quando, nel 1628, scoppiò la grande rivolta contadina, guidata da Li Tzu-cheng, vennero chiamati, in soccorso della dinastia, dalla stessa classe dirigente cinese, terrorizzata dalla eventualità di una riforma agraria.

I mancesi ne approfittarono immediatamente, varcarono la Grande Muraglia, occuparono Pechino e proclamarono la fondazione della loro dinastia, la Qing. Nonostante la tenace resistenza opposta dai legittimisti Ming, particolarmente nel mezzogiorno e a Formosa (Isola di Taiwan), dove si era rifugiato il leggendario Cheng Cheng-kung, noto anche con il nome di Koxinga, il quale tenne testa anche alla penetrazione olandese e portoghese, nel 1683, i Qing riuscirono a stabilire saldamente il loro potere.

Sotto i Qing, nonostante certe somiglianze apparenti come la posizione privilegiata dei mancesi rispetto ai cinesi nell’apparato burocratico, la situazione fu diversa da quella dell’epoca mongola. I Qing, infatti, specie nella seconda fase del loro regno, si lasciarono assimilare dalla civiltà cinese al punto da diventare più cinesi dei cinesi e si ersero a paladini dei valori del popolo che avevano vinto e sottomesso. Chiave di volta del loro successo fu la immediata alleanza che riuscirono a stabilire con la classe dirigente cinese, favorendo la conservazione e lo sviluppo della grande proprietà agraria. Sotto il regno di due grandi imperatori mancesi, K’ang Hsi (1662-1723) e Chen Lung (1736-1796) sia l’industria, che dalla fase artigianale era, già, passata a quella manifatturiera, sia l’agricoltura, che si giovava dell’introduzione di nuove colture, conobbero un grande sviluppo e la Cina attraversò uno dei periodi più prosperi della sua storia. Conseguenza prima di questa grande prosperità fu il boom demografico: si calcola che i cinesi fossero 150 milioni intorno al 1600, 300 milioni, un secolo dopo, e, intorno alla metà del XIX secolo, avessero già raggiunto la cifra ragguardevole di 450 milioni.

Ma a questo aumento della popolazione non corrispondeva una eguale crescita della produzione agricola e l’equilibrio si spezzò. L’autorità dei mancesi, nonostante i successi militari ottenuti in Tibet, nel Sinkiang, in Nepal e in Birmania, si affievolì e la resistenza al loro dominio trovò espressione in varie società segrete, il cui programma era “Restaurare i Ming, cacciare i Qing”.

Scoppiarono numerose rivolte contadine, come quella guidata dalla società segreta del Loto Bianco, ma i Qing riuscirono a domarle.

Furono, tuttavia, vittorie effimere perché l’impero agricolo cinese con tutte le sue contraddizioni, risultanti dalla sperequazione nella distribuzione della terra, dalla pressione fiscale e dall’organizzazione burocratico-feudale, che frenava il sorgere di nuovi rapporti sociali, stava per affrontare la crisi più lacerante della sua storia. I barbari, che premevano alle sue frontiere, non erano più tribù provenienti dal nord: venivano dal mare, erano partiti dal lontano occidente, e avrebbero messo in crisi non soltanto la stabilità economica della Cina, ma anche quella ideologica. Infatti, per la prima volta, la Cina ebbe a che fare con barbari che barbari non erano, in quanto portatori di una civiltà altamente sviluppata e padroni di una tecnica superiore a quella cinese.

Lo splendido isolamento era finito, la Cina avrebbe dovuto rinnovarsi o perire.

Il processo sarebbe stato doloroso e gravido di conseguenze sia per gli aggressori sia per gli aggrediti.

Daniela Zini
Copyright © 26 gennaio 2011 ADZ



Domenica 06 Febbraio,2011 Ore: 16:33
 
 
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