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www.ildialogo.org SATURNO AL POTERE. MITO DELL'ABBONDANZA E NUOVE GENERAZIONI: STUDENTI, OPERAI, E GERARCHIE DI CANNIBALI. "GIU' LE MANI DAL '68". Una breve nota di Augusto Vegezzi, "contro la gerontocrazia onnifaga" - con appunti,a c. di Federico La Sala

STORIA E MITO: IL GRANDE INCIUCIO DELLE GERIARCHIE SACRE E PROFANE. ITALIA (1994-2010): IL PARLAMENTO "CON LA COPPOLA", QUELLA DI "FORZA ITALIA" E DEL "POPOLO DELLA LIBERTA’" ...
SATURNO AL POTERE. MITO DELL'ABBONDANZA E NUOVE GENERAZIONI: STUDENTI, OPERAI, E GERARCHIE DI CANNIBALI. "GIU' LE MANI DAL '68". Una breve nota di Augusto Vegezzi, "contro la gerontocrazia onnifaga" - con appunti

(...) In Italia la dittatura della Geriarchia giovanilistica si pretende immortale, coopta esclusivamente i propri rampolli e lacché, relega alla sopravvivenza un’intera generazione e blocca l’ascesa delle vere forze produttive (...)


a c. di Federico La Sala

MITO: SATURNO. "Nella Teogonia di Esiodo, un racconto della creazione dell’universo e della salita al potere di Zeus, Saturno viene identificato come figlio di Urano, il Cielo, e di Gea, la Terra. 
-  
Saturno salì al potere, evirando e detronizzando il padre Urano ma venne profetizzato che un giorno uno dei figli di Saturno lo avrebbe a sua volta detronizzato così, per evitarlo, divorò tutti i figli appena nati
-  La moglie di Saturno, Opi, nascose il suo sesto figlio, Giove, nell’isola di Creta,dove fu cresciuto dalle ninfe, ed al suo posto offrì a Saturno un grosso masso avvolto in fasce. In seguito Giove detronizzò Saturno e gli altri titani, liberando così i suoi fratelli inghiottiti dal padre e diventando il nuovo governatore del Cosmo".(Wikipedia)

STORIA: IL SONNO DELLA RAGIONE COSTITUZIONALE GENERA MOSTRI

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 Giù le mani dal’68. Contro la gerontocrazia onnifaga

di Augusto Vegezzi

Un teorema socio-politico oggi emergente mette a fuoco e stigmatizza la perversione dell’attuale casta di vegliardi evergreen che, attaccata al potere e alla vita come una cozza allo scoglio, domina il paese fagocitandone gran parte delle risorse e lo condanna al declino, peggiorando le condizioni dei ceti medi, restringendo le fasce del lavoro garantito, lagerizzando i giovani tra i venti e i quarant’anni, espropriati di presente e futuro, circa tre milioni tra esclusi dal lavoro, esuberi, rinunciatari e precari, oggi inerti, divisi e subornati.

Focalizziamoci su questi estremi della piramide sociale. Il vertice di ricchi giovanilisti che monopolizzano potere e denaro e cercano di assicurarsi una giovinezza artificiale senza scadenza e questa base di paria, un Lumpen Proletariat avvilito e sfruttato. Balza agli occhi la baldanza euforica e aggressiva della casta dei vegliardi e la mesta e rassegnata passività dei giovani.

I primi, per ingordigia saturnina e illusioni d’immortalità, aborrono da meccanismi di trapasso generazionale. Nessun fermento di opposizione e rivolta sembra serpeggiare tra questi umiliati e oppressi. Anche le fasce sociali intermedie, tutte penalizzate dalla bulimia della casta dominante, mentre registrano cadute significative di status e guadagni, non reagiscono, ma si adattano e rassegnano.

La società è una giungla in cui la lotta per la sopravvivenza assume le forme di lotta per l’autoaffermazione attraverso l’apparire, in particolare nei mass media, sulla tv trash. Gli scopi dell’apparire, il denaro, il successo, il potere. Machiavelli, sconosciuto a quasi tutti, ha uno smodato seguito grazie al mantra: il fine giustifica i mezzi. Pure Nietzsche viene plagiato: dio è morto, mortissimo, sostituito da superstizioni popolari: crocefissi d’oro, cadaveri di beati, madonne di cartapesta, lenzuola, corni, giaculatorie, segni tribali, talismani etnici etc. Ogni tendenza a socialità, solidarietà e aggregazione per contro è bandita. I valori morali ed etici sono ridotti a formule pubbliche e icone vuote, soppiantati dal familismo più cinico e dall’egoismo più sbracato.

In sintesi. Salvo per la casta saturnina dei vegliardi onnifagi, il disagio sociale ed economico appare palpabile e crescente ma disgregato dalla convergenza ossimorica di individualismo edonistico, per cui ciascuno persegue il principio del piacere immediato e l’interesse egoistico e si contrappone agonisticamente a ciascun altro, e familismo cinico, che compatta i Narcisi in un’impudente solidarietà parentale. Chi si appella all’etica, all’onestà, all’amore lo fa per ingannare e sfruttare meglio.

Un po’ di storia

La responsabilità dell’attuale degenerazione del sistema Italia viene fatta risalire da critici sprovveduti o nostalgici alla generazione del ’68, vista come unita e compatta, una moltitudine di giovani assatanati e infantilmente rivoluzionari. Di quella generazione, in realtà, partecipò alla Contestazione al massimo un 20%. contando i veri credenti e i seguaci passivi. Il resto fu indifferente o si schierò contro più una frazione fascista ferocemente antagonista e aggressiva.

Il fenomeno del ricambio generazionale è antico come l’umanità e in sostanza si manifestò con i meccanismi e riti di cooptazione patriarcali trasmessi dalla civiltà del pane alla civiltà industriale. Nel corso del ‘900 in Italia si presentò tre volte in forme traumatiche, conflittuali e violente, da inquadrare nelle accelerate trasformazioni della società di massa.

Il regime fascista

Nel 1922 più di centomila giovani della nuova generazione, insofferenti di fronte alla crisi politica e sociale che paralizzava il Paese, marciò in armi su Roma e gettò le basi del nefasto regime fascista, cooptata dai Poteri costituiti e dal Capitale agrario e industriale, che cedettero il governo del Paese garantendosi vent’anni di dominio economico e sociale incontrastato. Essi vinsero perché trovarono le porte spalancate, perfino la gratitudine della casta dominante. Il risultato fu tragico: vent’anni di dittatura, una modernizzazione a senso unico, la soppressione delle libertà politiche e civili, la pesecuzione di ogni dissenso, la corruzione ideologica dei cittadini ridotti a sudditi, due guerre, una coloniale e l’altra mondiale, una sconfitta totale, con la devastazione del paese, mezzo milione di morti, la guerra civile, sofferenze inenarrabili.

La Liberazione ingessata

Il riscatto venne grazie a una successiva generazione, a una sua minoranza. Nel ’43-’45, dopo l’eclissi dello stato con la resa agli alleati, al Sud, e ai nazisti al Nord, si sviluppò il movimento di Liberazione grazie a centomila giovani che seppero prendere nelle proprie mani il destino e realizzare l’impossibile (ring a bell?), cioè costruire dal nulla un esercito di volontari decisi a rischiare la morte, battersi e liberare l’Italia da tedeschi e fascisti per ricostruirla su basi nuove, libere e democratiche.

Il M. L. N. costituì poi il fattore propulsivo e il mito fondatore di una coalizione di forze adulte, questi sì veri Padri, che gettarono le basi della Costituzione e della Repubblica italiana. Le speranze di liberazione dei giovani del ’45, in realtà, trovarono solo un’accoglienza parziale e formale. Il blocco di potere che vinse le elezioni nel ’48 neutralizzò la Costituzione come un’utopia di principi non normativi e ne rimandò per decenni la realizzazione. Confermò invece la continuità dello status quo, cioè una continuità del fascismo. Senza i fascisti? Balle. I partigiani, vincitori, finirono congedati quando non perseguitati dai veri vincitori (dal blocco delle destre, che reintegrò parte dei vinti fascisti), e privati perfino del loro logo autentico: la Liberazione, dinamica, aggressiva e innovatrice, depotenziata e imbalsamata come Resistenza, passiva, difensiva e conservatrice.

La nuova Liberazione

Nel ‘68 una minoranza di giovani, formatisi nel decennio del boom economico e infiammata dalle promesse di democrazia liberale ed egualitaria della Liberazione e della Costituzione, con tutta la forza vitale dell’età si rivolta e innesca la Contestazione. La rivendicazione del diritto di esprimersi trova forza nella valorizzazione dell’io, un io cosciente e responsabile, in opposizione alla passiva accettazione del destino e dei ruoli prescritti e preconfezionati dalla società patriarcale. I giovani vogliono far valere le loro esigenze, emozioni e idee, vogliono nuove forme di vita, di comunità, di convivenza. E vogliono, tutti insieme, tutto e subito. In gergo freudiano: l’Io si auto-afferma in coniugazione e dialettica con gli altri Io e sullo stimolo degli impulsi vitali (Libido) in un processo comunitario che rifiuta le imposizioni socio-culturali (Super-Io).

Ciò che distingue i giovani del ’68 è il volontarismo e il protagonismo nella lotta per la liberazione dal patriarcato autoritario. ’Non credo si possa parlare di rivoluzione compiuta ... [piuttosto] di rivoluzione simbolica. ... Oggi, [il 3 maggio 1968, a Parigi] è la parola a essere stata liberata. In tal modo si afferma, feroce, irreprimibile, un nuovo diritto, venuto a coincidere con il diritto di essere un uomo e non più un cliente destinato al consumo o uno strumento utile all’organizzazione anonima della società. ... Qua tutti hanno diritto di parlare.’ Michel de Certau

E’ il ’68 una lunga ricreazione, uno sfrenato carnevale, un ininterrotto orgasmo: libero sesso in libera scuola? La caduta di tanti totem e tabù certo induce all’affrancamento dalle autorità arbitrarie e repressive di scuola, stato, padroni, polizia, famiglia, chiesa e alla rivendicazione di vivere liberamente l’amore, il sesso, insomma l la propria. Fragili David si ribellano a giganteschi Golia perché vogliono costruire e, prima, devono liberarsi e distruggere.

La trasformazione

Negli anni ’68-‘78 inizia in Italia il tramonto dell’egemonia patriarcale, autoritaria, gerarchica sulla società, una società della diseguaglianza tra nobili, borghesi, proletari, del padre-padrone, del padrone delle ferriere, del burocrate despota, del matrimonio indissolubile con annesso libertinaggio maschile, dell’inferiorità femminile, dell’autorità come arbitrio, delle convenzioni e dei galatei come norme, dell’aborto clandestino, del divorzio via uxoricidio etc.

Il movimento del ’68, fondamentalmente anti-autoritario, funziona come catalizzatore dei processi, assai più ampi, di libertà ed eguaglianza che hanno riconosciuto la centralità dell’essere umano e della sua responsabilità personale e i suoi diritti fondamentali di cittadinanza, misconosciuti nella società pre-sessantottina.

Tali processi hanno portato

-  1. sul piano sociale a una sostanziale eguaglianza di dignità e diritti tra tutti i cittadini, al diritto di divorzio, dell’interruzione di gravidanza, allo Statuto dei lavoratori che garantisce ai lavoratori sindacati, assemblee, consigli, corsi di studio, ai diritti dei giovani all’autodeterminazione e allo studio, all’emancipazione sessuale, alla parità delle donne, all’elaborazione femminista della diversità di genere, alla liberalizzazione degli accessi universitari, all’abolizione dei manicomi-carceri, al nuovo diritto di famiglia, al Sistema sanitario nazionale; 
-  2 sul piano culturale all’obsolescenza del principio di autorità nelle molte varianti patriarcali, stataliste, accademiche, religiose etc., all’elaborazione di una scienza, una giustizia, un’informazione, critiche e consapevoli delle distorsioni degli interessi di classe e corporativi, ad una revisione delle tecniche e delle logiche della formazione in senso scientifico, democratico e partecipato; 
-  3. sul piano politico al superamento del regime post-fascista con un’attuazione della Costituzione che avvii il riconoscimento dei diritti di cittadinanza di tutti, corrodendo il monopolio del potere di oligarchie, gerarchie e burocrazie. Un’ elite nascente di giovani impegnati si batte per un’alternativa democratica ed egualitaria. Il Potere lo capisce e la stronca con tutti i mezzi.

Evoluzione e repressione: ’69-’78

Come nel teatro globale in cui si diffonde, anche nel teatro italiano, la Contestazione, che in origine ha caratteristiche di spontaneità, originalità e creatività, subisce l’emergere di leader che si circondano di quadri e riciclano ideologie della tradizione leninista, stalinista, maoista. Il movimento si frantuma tra Lotta continua, Movimento studentesco, Avanguardia operaia, Servire il popolo, che inquinano l’originario spirito di ricerca e invenzione.

D’altra parte, i Padri, cioè i poteri costituiti, di fronte all’espandersi della Contestazione, non osano schiacciarla, come fa De Gaulle in Francia. Non capiscono però quest’occasione imperdibile di rinnovamento offerta dal nuovo soggetto politico, dai migliori tra i loro Figli, che cercano e creano una nuova coscienza sociale e assumono responsabilità nel costruire un futuro libero e democratico, lo stato dei cittadini, la compiuta realizzazione della Costituzione. Alla fine, tra i Padri prevale la razza padrona degli interessi e degli affari, della politica degli scambi e del mercato delle vacche, delle consociazioni segrete e palesi, delle burocrazie avide, degli egoismi spudorati, delle collusioni con le mafie, dei veti incrociati, dei sottopoteri feudali. Ring a bell? A qualcuno viene in mente la casta di oggi?

Il Potere, morbido, criptico, insidioso all’italiana, sceglie tattiche di logoramento, alternando lievi concessioni e repressioni poliziesche, mentre accadono orrendi attentati che allarmano l’opinione pubblica, già preoccupata da estremismi e violenze. Sono anni e anni tremendi di lotte palesi e trame occulte, di oscure stragi, di pesanti repressioni. L’onda del ’68 viene smorzata, divisa, dispersa con una guerra di logoramento. Le speranze avvizziscono e si spengono. I giovani, disillusi e scoraggiati, si ritrovano invecchiati, perseguitati, senza mestiere, senza futuro. E’ la diaspora, il riflusso. Pochi estremisti, già estranei allo spirito del ’68 e infiltrati da servizi segreti passano alla lotta armata, dando il colpo di grazia a ogni residua speranza.

Post hoc aut/et propter hoc? Una beffa della storia.

Nei decenni del lungo abbrivo dopo il ’68 -‘78, un anno che ne durò dieci,’ la società italiana realizza molte rivendicazioni e proposte della Contestazione, ma nelle forme stravolte e mistificate della società narciso-consum-mass-mediatica.

Anche contro il ’68 la regola aurea del trasformismo italiano ha prevalso: ’Cambiare tutto per non cambiare niente’.

La liquidazione del ’68 non fu consumata prevalentemente dal miserabile Potere espressione del corpaccio del nostro pur magnifico Paese. Non solo, per dire, dal miserabile Divo Giulio. Fu il Potere internazionale, soprattutto Usa, che negli anni ’70 avviò il post-fordismo, la destrutturazione della classe operaia, la ristrutturazione mondiale della divisione sociale del lavoro, la riorganizzazione tecnologica delle forme produttive, la manipolazione e riscossione del consenso sociale con i mass media di disinformazione, l’industria culturale, l’utopia del consumismo, la globalizzazione.

In Italia, studenti e operai scandivano insieme Potere studentesco e Potere operaio senza sapere che il loro coro era il canto cigno del fordismo, il cui tramonto condannava anche loro all’obsolescenza. Paradossalmente, mentre essi, insieme, lottavano per la Liberazione democratica ed egualitaria, il nano-Egolatra, inconscio micro agente del nuovo World Plan, poneva le basi del suo impero finanziario e della sua influenza politica con le sue tv spazzatura, colle quali iniziava la manipolazione e disinformazione di massa, la sistematica corruzione culturale e l’imbarbarimento consumistico del Paese, trasformando i cittadini in consumatori, clienti e sudditi etero-diretti, in Narcisi egolatri e antagonisti, ognuno lupo di ogni altro nella generale scellerata disgregazione della comunità sociale. Ciò gli valse il plauso e la complicità dei Padri, che finirono anch’essi contaminati dalla subcultura trash dell’edonismo berlusconiano. Ora tutti insieme nella casta di vegliardi giovanilisti dominano la società consum- narcisistica - postindustriale e accumulano ferocemente tutte le risorse, come Zamparò. Solo la morte, tenacemente differita, li costringerà a lasciare il potere ma esclusivamente ai loro rampolli.

Una società ingessata?

Benché alcuni dei loro capetti si ritrovino oggi inquadrati nella Geriarchia , i sessantottini sconfitti sopravvivono in sonno e ancora e sempre sono impegnati per la Liberazione, anche quella che attendono dalla nuova generazione, la tragica sottocasta, il Lumpen Proletariat dei giovani senza lavoro o precari, divisi, sfruttati e privati della vita oggi e in futuro. Un enorme potenziale di riscossa arde negli animi di questa gioventù sacrificata, lacerati da sofferenza, disinganno, collera, disperazione, odio. I meccanismi manipolati della dinamica sociale e della manipolazione del consenso ne bloccano e soffocano ogni espressione antagonista. Congiurano contro anche corporativismo, familismo, narcisismo, darwinismo sociale, consumismo etc. Quante salvezze e promesse di felicità offerte dalla comunicazione disinformativa del marketing economico e politico: all’individui, uomini e donne più agguerriti, belli e allineati.

Quell’armata Brancaleone, che comprende tre milioni di esclusi dal lavoro, esuberi e giovani rinunciatari, tra cui risaltano i giovani precarizzati, tutti oggi inerti perché divisi e subornati, in futuro può diventare un blocco sociale antagonista? Si tratta di una variante post-moderna della classe già in sé rivoluzionaria, che sta maturando e diventando per sé, coscientemente, rivoluzionaria? No. Se, malgrado tutto, quel potenziale crescente divampasse ed esplodesse, che succederebbe?

Io ho un sogno. No, non ho un sogno. Beh, fingo di avere un sogno.

Questi nostri giovani biologicamente col tempo crescono e diventano adulti, aumentano anche i loro istinti di sopravvivenza e riproduzione, i loro bisogni libidici e le loro fantasie parentali, coiscono e figliano, costituiscono famiglie, vedono crescere con i figli i bisogni e la miseria, mentre la casta dei vegliardi accumula anni, ricchezze e lussi, esasperando il loro avvilimento e sfruttamento. La loro rabbia trabocca, inventano un mito fondante e insorgono. Un tremenda jacquerie spazza la casta dei vegliardi ingordi e cannibali.

Dopo... Ho finto un sogno e mi ritrovo un incubo.

Alla guida del paese s’insediano i più ambiziosi dei Call Center, degli addetti all’archiviazione, dei temporanei delle Poste, dei manovali della logistica, distribuzione, pubblicità, fast food etc. La prima rivolta possibile del secondo millennio Forse un’analisi più articolata scopre altre fragilità e crepe che incrinano la compattezza della piramide. Vi sono focolari di dissenso e di rottura, frange e categorie che potrebbero convergere con la massa dei giovani Lumpen, conferendo alla loro rivolta il valore aggiunto di competenze scientifiche e tecniche. Le forze propulsive cruciali che oggi promuovono e conducono il sistema sociale sono quelle del know how, dell’intelligenza scientifica e strumentale, della scienza-tecnologia, sono gli operatori dei centri di ricerca di Matematica, Fisica, Chimica, Medicina, Ingegneria, Elettronica, quelli delle Scienze antropologiche e sociali, quelli dell’Industria e del Terziario. Certo i super scienziati e super tecnologi, i baroni di tutti i settori sono parte integrante della casta dominante di vegliardi cannibali, ma solo grazie allo sfruttamento di centinaia di migliaia di giovani scienziati, specialisti e tecnici in vari modi da loro utilizzati e subornati, che nei centri di ricerca e produzione lavorano, indagano, sperimentano, inventano, insomma detengono il potere di gestire il sistema con bassi stipendi e scarse prospettive.

La Geriarchia li sfrutta, li esclude ed estorce loro il plus-potere. Essi accettano questa estorsione e la subalternità, allettati dal mito di una cooptazione nell’olimpo saturnino e/o illusi dall’utopia meritocratica, senza ma perdente contro il cinismo familistico dei geriarchi. Queste frustrazioni sono destinate a nutrire un’enorme potenzialità di lotta e cambiamento. In Italia la dittatura della Geriarchia giovanilistica si pretende immortale, coopta esclusivamente i propri rampolli e lacché, relega alla sopravvivenza un’intera generazione e blocca l’ascesa delle vere forze produttive. Se le frustrazioni e la rabbia di queste ultime s’incontreranno con le mortificazioni e la collera dei giovani lagerizzati, scoccherà l’ora della riscossa democratica ed egualitaria.


Sul tema, in rete, si cfr.: 

 

LA FRECCIA FERMA. L’ITALIA IN PREDA A UNA GRAVE E PROFONDA NEVROSI OSSESSIVA.

-  NUOVO GOVERNO. FEDELTA’ ALLA REPUBBLICA E ALLA COSTITUZIONE. Giuramento di Berlusconi, Bossi e tutti gli altri Ministri. In Parlamento un solo partito e un solo urlo: "Forza Italia"!??

 

 



Mercoledì 08 Dicembre,2010 Ore: 10:56
 
 
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Autore Città Giorno Ora
Federico La Sala Milano 08/12/2010 12.17
Titolo:GIOVENTU' BRUCIATA ....
Gioventù bruciata


di Barbara Spinelli (la Repubblica, 08.12.2010)



Ha ragione Mario Adinolfi a ricordare che è cosa insultante oltre che menzognera, parlare di giovani senza futuro o d’una sola generazione depredata. Un trentasettenne precario non è più giovane, e il fatto che gli tocchi pregare per essere riconosciuto (questa l’etimologia di precario) è lo scandalo che vien mascherato chiamandolo giovane. Una catena di generazioni fatica a preparare prima l’età matura, poi l’anziana. I nati dopo il ‘70 sono la metà degli italiani: 28 milioni 150.000, non più solo figli ma padri che della vita attiva non conoscono che contratti brevi o niente contratti. Che s’imbarcano in lavori low cost o addirittura gratuiti, come denunciato da Michele Boldrin, professore di economia alla Washington University di St Louis ( Il Fatto, 11 novembre).

Lavorare gratis è una pratica in espansione, per chi non ha forze e soldi per fuggire all’estero. È una regressione, nei rapporti sociali e nel riconoscimento reciproco fra l’Italia che ha un posto e l’Italia che ha semplici attività, menzionata di rado. I giovani fanno questa scelta volontariamente, consapevoli d’essere immersi nella Necessità: dare il proprio tempo senza salario li rende visibili, consente di «accumulare punti». Alla fine del tunnel, chissà, il riconoscimento verrà e avrà gli occhi di un lavoro decentemente pagato. Lo sfruttamento s’è fatto banale: è un’usanza dettata dal principe (un bando dell’autorità). È la morale del tempo presente.

Se questa è la realtà, si può capire come la riforma Gelmini sia solo una miccia – così Ilvo Diamanti, lunedì su Repubblica – che ha acceso risentimenti acuti, non limitati all’istruzione che pure è «crocevia nella vita» d’ognuno. Analoghe micce anti-riforme si moltiplicano, a occidente, ma cruciali non sono le riforme, così come per Heidegger l’essenza della tecnica non è la tecnica ma quel che essa disvela, provoca. Nella rivolta dei giovani francesi la pensione è un pretesto: essi sanno che il paese invecchia, che i soldi dello Stato sociale non bastano. Se protestano con tanto accanimento è perché qualcos’altro è in gioco: il disagio, più radicale, riguarda l’esistere stesso; il perché e il come si vive l’oggi e si pensa, tremando e temendo, il futuro.

In tutti i paesi industrializzati il futuro è programmato penosamente. Adinolfi lo spiega bene nella rivista Week, iniziata il 25 novembre. Basandosi su ricerche dell’Istat e del Center for Research on Pensionsand Welfare Policies (Torino), Adinolfi fornisce cifre cupe sulla metà d’Italia che vive il precariato. Al momento, chi va in pensione o sta andandoci è sicuro di ottenere circa il 95 per cento della media dei compensi degli ultimi anni. Non così il precario nato dopo il ‘70: la percentuale crolla dal 95 al 36. Fra 20 anni, quando andrà in pensione, riceverà – se avrà lavorato 32 anni su 40 – 340 euro al mese.

Duro in tali condizioni fabbricare futuro, generare figli che non potremo sostenere e non ci sosterranno, impoveriti anch’essi. I rivoltosi vedono questo, guardandosi allo specchio: uno scenario che mette spavento. Che ti porta a dire, visto che a nulla è servito il titolo di studio: non resta che farmi menare dalla polizia. Esibisco la mia bile nera, come gli eroi di Moby Dick che è uno dei miei libri-vessillo. Non mi resta, come in Gioventù Bruciata di Nicholas Ray, che il chicken run. Il chicken run è la gara mortale che James Dean ingaggia coi compagni: vince chi guida l’auto sino all’orlo del burrone, tentando di saltar fuori in extremis. Chi fugge la prova è un pollo, un vile. È significativo che a costoro si neghi oggi perfino il diritto a morire, quando sei attaccato a un tubo senz’averlo deciso.

Il chicken run che impregna il tumulto è argomento tabù. Se ne ragiona molto sul Web – l’agora di queste generazioni – ma poco sui giornali. C’è una complicità tacita, che impedisce alla verità d’esser disvelata. Non ne parlano gli imprenditori, che del lavoro precario o gratuito profittano; e neanche i sindacati, tutori dei pensionati. Nella Cgil, il 53 per cento degli iscritti aderisce al Sindacato dei pensionati italiani (Spi). Se la crisi dice qualcosa – sulla crescita che nei paesi sviluppati s’abbasserà stabilmente, sul clima da proteggere, sullo Stato impoverito – questo qualcosa dovrà implicare nuove distribuzioni fiscali, e anche una mutazione di linguaggio. Riformismo, accordi bipartisan: sono vocaboli inani, se usati solo per dissimulare tagli. Tutti hanno rovinato l’istruzione, il patto bipartisan già esiste (da Luigi Berlinguer a Mussi, Moratti, Gelmini). L’accordo non va cercato tra partiti ma tra l’Italia che è nello Stato sociale e quella che ne cascherà fuori. Non di patti bipartisan c’è bisogno, ma di dirigenti (politici, imprenditori, sindacati, accademici) che queste cose le guardino in faccia.

Anche il popolo del disagio ha sue responsabilità. È un punto su cui Boldrin insiste crudamente: «Cosa volete fare, ragazzi e ragazze? A favore di cosa siete scesi in piazza, oltre che contro il ddl Gelmini? Perché è questa, non altra, la questione che dovete avere il coraggio d’affrontare». Il risentimento è comprensibile, ma il tema del merito sollevato dalla riforma resta. E che significa rottamare un ceto politico, se non invocare palingenetiche facce giovani? Perché difendere lo status quo universitario, finito in marasma? È come desiderare la crescita squilibrata che nel 2007 causò la crisi economica nel mondo.

Si disserta spesso in Italia della sindrome Peter Pan, che ti reclude nei focolari paterni o materni: secondo l’Istat, il 68 per cento vive coi genitori sino a 35 anni. Lo stesso succede in paesi cattolici dove la famiglia sostituisce il Welfare: Spagna, Irlanda. Ma la vista psicologica è corta, occulta le cause strutturali. Scrive Vincent Venus, direttore del Giovani Federalisti Europei a Berlino, che questa è una generazione diversa: ricorda gli anni ‘40. Non una conflagrazione militare le ha aperto gli occhi; ma la crisi del lavoro, del pianeta, dell’economia, è un’esperienza interiore di guerra: «È una sfida, quella odierna, che i nostri genitori hanno ignorato. Il compito è talmente vasto che somiglia a quello della generazione postbellica. Unica differenza: non si tratta solo di ricostruire la società, in Europa, ma di mantenere in vita il Welfare». Pur rispettando i conti, oggi esistono cose da preservare: la solidarietà sociale, il lavoro, il pianeta. La distruzione non è più creativa.

Fu così anche nel 1942, quando il Welfare prese la forma di un piano comune di lotta al bisogno: il piano di William Beveridge. «È proprio adesso, con la guerra che tende a eliminare ogni genere di limitazioni e differenze, che si presenta l’occasione. (...) Un periodo rivoluzionario nella storia del mondo è il momento più opportuno per fare cambiamenti radicali invece di semplici rattoppi» (Beveridge, La libertà solidale, Donzelli 2010).

Molti si domandano come mai il malcontento non sia esploso prima di Berlusconi, visti gli errori della sinistra. Domanda sensata, ma vista parziale. Lo spirito dei tempi modellato da Berlusconi e dalle sue Tv ha dilatato al contempo i risentimenti dei dannati e lo sprezzo dei salvati, sostituendo lo Stato sociale con la compassione o l’ignoranza. Alessandro Sallusti, direttore del Giornale, ha detto in Tv: «Se un uomo a 37 anni non può pagarsi il mutuo è colpa sua: vuol dire che è un fallito». Nemmeno gli avversari del ‘68 usavano aggettivi simili. Negli italiani è stata svegliata nell’ultimo decennio, e nutrita, ingigantita, la parte peggiore. È come quando, nel febbraio 1932, il socialdemocratico Kurt Schumacher denunciò l’attacco di Goebbels ai socialdemocratici-partito dei disertori: «Tutta la propaganda nazionalsocialista è un costante appello alla brutta canaglia interiore ( Schweinehund) che abita ciascun uomo».

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