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www.ildialogo.org QUALE FUTURO, PER QUALE ITALIA? OGGI GIANFRANCO FINI, IL COFONDATORE DEL "POPOLO DELLA LIBERTA'", A SILVIO BERLUSCONI, IL FONDATORE DI "FORZA ITALIA", GRIDA: "MIRA BELLO"! Una "mappa" di Ilvo Diamanti,a cura di Federico La Sala

ESPERIMENTO "ITALIA" (1994-2010). L’ANNO DELLA VERGOGNA (1994): "DUE" PRESIDENTI DELLA REPUBBLICA GRIDANO "FORZA ITALIA"!!! NASCE IL PARTITO DEL "NUOVO" PRESIDENTE DELLA "REPUBBLICA" ... E C’E’ ANCORA!!!
QUALE FUTURO, PER QUALE ITALIA? OGGI GIANFRANCO FINI, IL COFONDATORE DEL "POPOLO DELLA LIBERTA'", A SILVIO BERLUSCONI, IL FONDATORE DI "FORZA ITALIA", GRIDA: "MIRA BELLO"! Una "mappa" di Ilvo Diamanti

(...) nel discorso di chiusura della festa Tricolore. Un'occasione singolare e significativa. Dove si celebra la tradizione della Destra dissolta nel contenitore politico di Berlusconi. Fini: fondatore e ultimo presidente di An, erede di Almirante. Il cofondatore del PdL. E oggi Grande Antagonista. Il Nemico di Silvio Berlusconi, che non sopporta l'opposizione, le contestazioni, le correnti (...)


a cura di Federico La Sala

MAPPE

La dottrina Zen del Cofondatore

di ILVO DIAMANTI *

C'E' ATTESA per quel che dirà Gianfranco Fini a Mirabello. Oggi, nel discorso di chiusura della festa Tricolore. Un'occasione singolare e significativa. Dove si celebra la tradizione della Destra dissolta nel contenitore politico di Berlusconi. Fini: fondatore e ultimo presidente di An, erede di Almirante. Il cofondatore del PdL. E oggi Grande Antagonista. Il Nemico di Silvio Berlusconi, che non sopporta l'opposizione, le contestazioni, le correnti.

All'interno del «suo» partito. Berlusconi e i «suoi» – consulenti, discepoli, assistenti – vorrebbero che, infine e finalmente, si esponesse. E divenisse, infine e finalmente, il capo di un nuovo partito. Leader dei futuristi. Oppure si opponesse alle condizioni poste da Berlusconi. I 5 punti. Così potrebbe, infine e finalmente, cacciarlo via. Meglio: Fini si porrebbe automaticamente fuori. Dalla maggioranza. Così il Padrone del Pdl potrebbe elaborare una strategia. Decidere, infine. Se andare a nuove elezione e quando. Come e con chi. Oppure tentare di convincere una parte dei parlamentari di Fli a rientrare a casa. (Lui sa essere generoso con gli amici, come ha rammentato ieri).

Non a caso, Berlusconi – e i suoi giornali – agitano sondaggi che danno Fli, il partito di Fini, intorno al 2%. Cioè: quasi nulla. In realtà, altri sondaggi gli attribuiscono almeno il doppio di quei consensi: tra il 4 e il 5%. Meno di qualche mese fa. Ma non poco, visto che Fini da mesi è «fermo» e il partito è solo un'ipotesi. Una voce. Mentre il Pdl è valutato intorno al 30%, come in luglio (e alle regionali) e la Lega continua a crescere. Al di là del 10-11%. Peraltro, non è possibile fare stime, in assenza di un'offerta politica chiara. Senza sapere cosa farà Gianfranco Fini. Con chi si presenterà il suo ipotetico partito, se davvero nascesse? Da solo contro tutti? Con il NMC (Nuovo Mitico Centro)? Oppure con la SAA-B (Santa Alleanza Anti-Berlusconiana)?

Di certo Fini, personalmente, preferirebbe il Centrodestra. Perché il suo bacino elettorale di provenienza e di vocazione è lì. Lui si considera un neo-gollista, un uomo della Destra democratica e liberale. Presidenzialista e laico. Ma Berlusconi, ovviamente, non lo vorrebbe mai con sé. E lui, Fini, non vorrebbe mai stare con Berlusconi. Troppo profonda l'ostilità personale. Da tempo. Si sa. Fini non ha mai sopportato che Berlusconi lo tenesse, eternamente, in panchina. Insieme a Casini. Ad attendere una successione senza garanzie né scadenze. Tantomeno ha sopportato le interferenze con la sua vita personale. Da parte dei media amici di Berlusconi. Così, le ragioni politiche e quelle private si sono mischiate. D'altronde, questa è una democrazia personale e personalizzata. Dove i fatti privati sono pubblici e viceversa. Non a caso Fini è stato al centro di una campagna, martellante e quotidiana, per gli affari della sua compagna; o meglio: del fratello e della famiglia Tulliani. Almeno 30-40 prime pagine. Piene. Anche se, dopo la saga berlusconiana (moglie, affari, amiche, amici, residenze estive e invernali, ragazze, escort e quant'altro), è difficile che qualcosa possa davvero scandalizzare gli italiani.

D'agosto, poi, sotto l'ombrellone. Con le notizie e le foto che rimbalzano tra le riviste di gossip e di infotainment, la stampa d'informazione e Dagospia. Diventa quasi un tormentone estivo, a uso di un popolo mitridatizzato. Per questo, oggi c'è attesa. Che Fini parli, dica, decida. Faccia lui. Qualcosa di chiaro. Uno strappo o un segno di buona volontà. Dichiarandosi indisponibile o leale verso il programma dettato da Berlusconi. Tuttavia, è altamente improbabile – diciamo pure: impossibile – che Fini faccia qualcosa di tutto ciò. Liberando Berlusconi dall'incertezza che lo logora. Infine e finalmente. Molto più facile che decida, come fin qui, di stare fermo. In tutti i sensi. Fermo: nel suo ruolo istituzionale. Disponibile a sostenere il programma, ma non contro la Costituzione, non contro la legalità. Disponibile a restare non solo nella maggioranza, ma perfino nel PdL, da cui non se n'è mai andato. Ma fermo. Sui principi e sulle regole.

Più reticente sui contenuti – che lo potrebbero «schierare» in modo deciso. Fermo. Senza reagire, più di tanto, neppure agli attacchi personali e agli scandali cresciuti intorno a lui. D'altronde, la fiducia personale nei suoi confronti è calata, ma resta ancora elevata. Certo, è cresciuta al centro e a sinistra, ma, a destra, Fini continua a godere di un buon livello di simpatie. Non fosse altro che per nostalgia. Per cui è guardato – con attenzione ma anche timore – da Casini, Rutelli, perfino da Bersani. E, nel centrodestra, da Bossi e dai leader leghisti. I quali, dopo tanti attacchi, nelle ultime settimane, hanno iniziato a manifestare stima nei suoi confronti. Bossi, in persona, si è proposto di ricucire i rapporti con Berlusconi. E, nei giorni scorsi, ha garantito per lui: Fini non farà strappi. Una svolta che non deve sorprendere.

Fini e i finiani – finché restano nella maggioranza – indeboliscono il Pdl e Berlusconi 2 volte. Perché gli levano parlamentari e voti. Perché lo rendono più vulnerabile nel Sud. Bossi e la Lega, peraltro, non possono accettare che Berlusconi dialoghi con l'UdC. Che ridurrebbe la forza contrattuale della Lega nella coalizione. Tanto più che il bacino elettorale dell'UdC, nel Nord, è coerente (ex DC) e dunque concorrente con quello della Lega. Per questo, oggi, l'unico ad agitarsi, nervosamente, è proprio Berlusconi. In bilico. Non può decidere. Qualsiasi scelta rischia di danneggiarlo. E non vuole essere lui a dare alibi agli altri. Ad aprire la crisi. A cacciare Fini. Magari per ragioni di «conflitto di interessi». Per questo a Fini conviene muoversi (e muovere) molto. Ma rimanendo Fermo. Secondo i principi della dottrina Zen.

 

* la Repubblica, 05 settembre 2010

__________________________________

Sul tema, in rete, si cfr.:

-  IL CARISMA DELLO SPIRITO SANTO, IL DONO DI STATO DEL COPYRIGHT SU "FORZA ITALIA", E LA POLITICA DELL’ODIO ISTITUZIONALIZZATO

RIFARE UNO STATO?! BASTA UN NOTAIO, UN FUNZIONIARIO DEL MINISTERO DELL’INTERNO E LA REGISTRAZIONE DI UN SIMBOLO DI PARTITO CON IL NOME DEL POPOLO!IL SONNO DELLA RAGIONE COSTITUZIONALE GENERA MOSTRI

 

NUOVO GOVERNO. FEDELTA’ ALLA REPUBBLICA E ALLA COSTITUZIONE. Giuramento di Berlusconi, Bossi e tutti gli altri Ministri. In Parlamento un solo partito e un solo urlo: "Forza Italia"!!! LA COSTITUZIONE E IL MENTITORE ISTITUZIONALE. LA LUNGA E DEVASTANTE OFFENSIVA (1994-2009) DEL CAVALIERE DI "FORZA ITALIA" CONTRO L’ITALIA.

  GIOVANI ITALIANI NEL MONDO (PRIMA CONFERENZA),  ATTENTI AL TRUCCO E ALL’INGANNO. E ALLA VERGOGNA!!!   Il Presidente della Repubblica Napolitano grida: Forza ITALIA;  ma Schifani, Frattini e Fini (nostante Mirko Tremaglia, onore a Lui) gridano per il partito: "Forza Italia"!!!  Un gigantesco conflitto d’interessi

-  LODE A FINI PER LE DICHIARAZIONI SULLE LEGGI RAZZIALI, MA "VERGOGNA" PER LA SUA SUDDITANZA AL PARTITO DI "FORZA ITALIA"!!!


-  CALABRIA, UNIVERSITA’. CARO PRESIDENTE FINI, "L’ARBITRO" NON E’ RISPETTATO DAL 1994. In campo c’è il capo di un partito che fa il doppio gioco e non rispetta le regole!!!


PER L’ITALIA E PER LA COSTITUZIONE. CARO PRESIDENTE NAPOLITANO, CREDO CHE SIA ORA DI FARE CHIAREZZA. PRIMA CHE SIA TROPPO TARDI ... di Federico La Sala

 

 



Domenica 05 Settembre,2010 Ore: 17:48
 
 
Commenti

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Autore Città Giorno Ora
Federico La Sala Milano 06/9/2010 11.52
Titolo:Il manifesto di Fini per un’altra destra ....
Il manifesto di Fini per un’altra destra

di Massimo Giannini (la Repubblica, 06.09.2010)

Forse è davvero finita un’epoca, per l’anomala destra italiana nata dalle macerie del popolarismo democristiano e forgiata nel fuoco del populismo berlusconiano. Con il Manifesto di Mirabello, Gianfranco Fini varca un confine e politico, ed entra in una terra incognita sulla quale può costruire finalmente un’"altra destra". Compiutamente democratica e liberale, moderata e costituzionale. Nel solco delle grandi famiglie conservatrici europee.

Era enorme l’attesa per questo rientro in campo del presidente della Camera, dopo un agosto trascorso nella trincea di Ansedonia a patire in silenzio l’assalto del "Giornale". Quella di Fini, stavolta, è davvero una svolta radicale. Può ridisegnare geografie e geometrie della politica italiana. E può cambiare il corso della legislatura berlusconiana.

Con un discorso di un’ora e mezzo, degno per toni e per temi di un congresso di fondazione e non certo di un raduno di corrente, Fini ha reciso per sempre le sfibrate e impalpabili radici che ancora lo tenevano unito a Berlusconi. Certo, le vicende personali hanno pesato. La "macchina del fango" messa in moto a Montecarlo dai giornali-fratelli del presidente del Consiglio non può non aver influito sulla reazione durissima messa in scena a Mirabello dal presidente della Camera. Quei "Tg ridotti a fotocopie dei fogli d’ordine del Pdl", quelle "campagne paranoiche e patetiche", quegli "atti di lapidazione islamica" e quegli "atteggiamenti infami rivolti non a me, ma alla mia famiglia": era difficile, se non impossibile, che la rabbia finiana covata in queste settimane ed esplosa ieri dal palco non si traducesse solo in una inesorabile denuncia dell’aggressione subita, ma alla fine sfociasse anche nell’inevitabile rinuncia a proseguire la convivenza politica nel Pdl.

Ma insieme, e oltre alla rottura umana, pesa la rottura politica. Nell’elenco puntiglioso dei motivi che in questi due anni hanno portato al divorzio definitivo tra fondatore e co-fondatore non c’è solo la rivendicazione del diritto al dissenso che dovrebbe costituire l’essenza di un vero "partito liberale di massa". C’è invece la piattaforma identitaria di una destra politica che non è più conciliabile, e forse non lo è mai stata, con quella berlusconiana. Dall’idea malintesa della "riforma della giustizia" fatta nell’interesse di un singolo e del garantismo come "impunità permanente", coltivata da chi al potere si sente forte e crede per ciò di essere "meno uguale" degli altri di fronte alla legge, al disprezzo per le istituzioni e gli organi di garanzia, esercitato da chi usa "il Parlamento come dependance dell’esecutivo". Dalla mancata difesa dei diritti degli "extracomunitari onesti", praticata da chi declina l’immigrazione come pura "guerra ai clandestini", alla mancata difesa dei veri valori dell’Occidente, svenduti per bieca "realpolitik" nella "genuflessione" di fronte a Gheddafi. Nell’aspra requisitoria finiana su ciò che è accaduto nel Pdl in questi mesi, non c’è conflittualità "congiunturale" che non nasconda anche un’evidente incompatibilità culturale.

E questo non vale soltanto per la "cifra" identitaria delle due anime che in questi mesi hanno faticosamente convissuto nel Pdl. Vale anche per l’azione di governo, che per Fini è stata deficitaria sotto tutti i punti di vista. Dai tagli lineari di spesa che hanno generato le "proteste sacrosante" delle forze dell’ordine e dei precari della scuola al ridicolo "ghe pensi mi" col quale si è creduto di riempire il vuoto al ministero dello Sviluppo. Dal federalismo inteso come "favore a Bossi" alle promesse tradite sul taglio delle province, sulle norme anti-corruzione, sugli aiuti alle famiglie. Il presidente della Camera non fa sconti, né al Berlusconi-leader né al Berlusconi-premier. E il dissenso, stavolta, è totale e radicale. Di metodo e di merito. Perché Fini ha finalmente il coraggio di dire quello che era ormai chiaro da almeno sei mesi. Da quando cioè, in quell’incredibile direzione del 22 aprile scorso, andò in onda in diretta su tutte le televisioni lo scontro "fisico" tra i due. E cioè che si sente ormai "altro" da questo Pdl, che il Cavaliere ha ridotto a "contorno del leader", a "coro di plaudenti" o a "popolo di sudditi". Ha fatto regredire a rozzo "partito del predellino", o a versione scadente di "Forza Italia allargata a qualche ex colonnello di An" pronto a servire qualunque generale.

Dunque, quando il leader di Futuro e Libertà dice che "il Pdl è morto il 29 luglio", con quell’atto autoritario di marca "staliniana" con il quale il co-fondatore è stato estromesso, non si limita a chiudere per sempre la breve stagione del Popolo delle Libertà. Fa molto di più. Il suo non è solo l’epitaffio conclusivo di un vecchio ciclo. Ma è anche l’atto fondativo di un nuovo corso. Non c’è ancora l’annuncio ufficiale della nascita del partito, che deve dare forma e sostanza a quello che per ora continua ad essere solo un gruppo parlamentare. Ma c’è già il manifesto di principi e di valori sul quale il nuovo partito sarà edificato. Un partito rigorosamente di destra, questo è chiaro. Pronto a rivendicare il suo Pantheon e a risalire all’Msi di Giorgio Almirante, che Fini non esita a celebrare. Pronto a dimenticare in fretta le tappe di uno "sdoganamento" repubblicano che avremmo voluto assai più sofferto, assai più autocritico. Ma un partito di destra pronto a saldare definitivamente il conto con Berlusconi, e a saldare direttamente la "rivolta di Mirabello" del 2010 con la "svolta di Fiuggi" del 1995. Come se il Cavaliere - in questi quindici anni di "traghettamento" dell’ex Movimento sociale, dalle "fogne" di un tempo alle alte cariche istituzionali di oggi - fosse stato una parentesi. Più o meno felice. Ma ormai chiusa per sempre.

Il presidente della Camera ha cercato in tutti i modi di non vestire i panni del Bruto, capace di accoltellare Cesare in nome di chissà quale congiura di Palazzo. "Né ribaltoni, né cambi di campo", quindi. Ed è stato attento anche a non offrire alibi al Cavaliere, né sulla fine anticipata della legislatura (che sarebbe "un fallimento per tutti noi") né sulla minaccia di elezioni anticipate (che è solo "avventurismo politico"). Non solo: il presidente della Camera ha offerto al premier un "patto di legislatura", per far fare a questo governo tutto quello che ha promesso in campagna elettorale e non è stato capace di garantire ai cittadini. Certo, in un quadro e in un equilibrio politico diverso, dove la maggioranza non poggia più su "un tavolo a due gambe di Berlusconi e Bossi", dove i parlamentari non sono in vendita "come i clienti della Standa" e dove le grandi riforme "in nome del bene comune si fanno anche coinvolgendo l’opposizione". Persino sulla giustizia il leader di F&L si è spinto a dare una sponda estrema al Cavaliere, non certo sul processo breve, ma su un provvedimento che ricalchi il Lodo Alfano e il legittimo impedimento, e gli garantisca "il diritto di governare" senza fare strage dei processi che interessano migliaia e migliaia di cittadini in attesa di giudizio.

Ma è chiaro che, al punto in cui siamo, queste offerte appaiono inutili. Improponibili per chi le formula, e irricevibili per chi le dovrebbe accogliere. Se è vero, come dice Fini, che il Pdl non c’è più, e che "non si rientra in una cosa che non c’è più", allora è ancora più vero che non c’è più neanche la maggioranza che ha vinto le elezioni il 13 aprile di due anni fa.

Ancora una volta, la previsione più sensata l’aveva fatta quell’animale politico che risponde al nome di Bossi: "Fini romperà, e allora vedo grossi problemi per il governo: il Cavaliere sarà un premier dimezzato...". Il Senatur è stato fin troppo ottimista. Più che dimezzato, stavolta il presidente del Consiglio sembra finito. Ha di fronte a se soltanto una strada: aprire la crisi, e azzardare la richiesta di elezioni anticipate, che non dipendono da lui ma dalle regole della Costituzione e dalle prerogative del Capo dello Stato. E’ un rischio mortale. Il "pifferaio di Arcore" ha smesso di ammaliare i finiani. E forse comincia a incantare un po’ meno anche gli italiani.

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