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www.ildialogo.org DA BOLOGNA RIPARTE LA SFIDA PER LA SCUOLA DI TUTTI. E PER TUTTI,da Adista Notizie n. 21 del 08/06/2013

DA BOLOGNA RIPARTE LA SFIDA PER LA SCUOLA DI TUTTI. E PER TUTTI

da Adista Notizie n. 21 del 08/06/2013

37186. BOLOGNA-ADISTA. Un referendum locale, per giunta dal valore solo consultivo, ma che oltre ad aver raggiunto una valenza nazionale, ha ottenuto un risultato destinato ad incidere sulle politiche scolastiche dei prossimi anni, grazie anche all’ampia risonanza ottenuta presso i media e l’opinione pubblica. Insomma, alla fine, nonostante ci si fossero messi in molti a cercare di boicottarlo prima, e a tentare di vanificarne nelle urne la dirompente potenzialità poi, la consultazione indetta a Bologna sui finanziamenti pubblici alle scuole private (v. Adista Notizie nn. 41/12 e 18/13 e Adista Segni Nuovi n. 17/13) è stata un successo. E ha ribadito con chiarezza alcune cose: anzitutto, che le scuole – anche quelle dell’infanzia (scuole statali a tutti gli effetti, sin dalla legge 444 del 1968) – devono essere pubbliche; che il Comune deve impegnarsi ad aprirne di nuove, anziché continuare a finanziare quelle private, perché nessun bambino sia più escluso; e, soprattutto, che non si può eludere il dettato costituzionale, il quale, all’art. 33, parlando del diritto di «enti e privati» ad istituire scuole, dice esplicitamente che ciò deve avvenire «senza oneri per lo Stato», cioè senza soldi pubblici. La Repubblica, quindi, deve impegnarsi ad aprire scuole per ogni «ordine e grado», sostenendo le amministrazioni locali affinché garantiscano a tutti il diritto all’istruzione pubblica e statale (un invito che la Costituzione richiama esplicitamente solo per la scuola, ritenendo essenziale il ruolo dello Stato come garante dell’uguaglianza, della libertà e della laicità della formazione dei suoi cittadini).
Il referendum, indetto da un cartello di associazioni riunite nel “Comitato art. 33”, chiedeva ai cittadini bolognesi di esprimersi sui finanziamenti pubblici alle scuole private: un milione di euro che ogni anno (dal 1995: Bologna è stata infatti la prima città italiana che ha “inventato”, a sinistra, i finanziamenti pubblici alle scuole private), il Comune capoluogo dell’Emilia elargisce alle materne private quasi totalmente cattoliche (26 su 27). I cittadini avevano due possibili scelte sulle scheda: l’opzione “A” prevedeva la destinazione dei fondi alle scuole pubbliche, l’opzione “B” alle private paritarie. Alla fine, 50mila bolognesi (il 59% del totale di quanti si sono recati alle urne) hanno risposto alla chiamata dei referendari e hanno votato “A”, contro circa 35mila che hanno votato “B” (41%).
L’affluenza alle urne non è stata però massiccia. Ha votato infatti il 28% degli aventi diritto. Numeri che hanno fornito il destro ai sostenitori della opzione “B”, Partito Democratico in testa, per sminuire la valenza del voto e spingersi ad affermare – come ha fatto Edo Patriarca, ex leader del Forum del Terzo Settore, e quindi particolarmente esperto in materia di “sussidiarietà” – che «si è trattato di una battaglia ideologica che non interessa la gran parte dei cittadini». E che anzi «i bolognesi hanno capito che la sussidiarietà è la chiave di volta laddove lo Stato non riesce ad arrivare». In realtà, le cose non stanno esattamente in questi termini: lo stesso primo cittadino di Bologna, Virginio Merola, alla vigilia del voto aveva fissato in 80mila votanti il limite minimo per tenere conto del risultato delle urne: obiettivo ampiamente raggiunto. Inoltre, non era affatto scontato che l’opzione “A” prevalesse sulla “B”: il sindaco si era mobilitato in prima persona per sostenere il finanziamento pubblico alle private, mandando, tra l’altro, una lettera a tutti i bolognesi per invitarli a votare “B” e facendo un tour propagandistico per tutti i quartieri. Stessa mobilitazione da parte degli assessori, del partito locale, dei parlamentari romani. A ciò va aggiunta la propaganda a favore della opzione “B” fatta da PdL, Lega Nord, Scelta Civica, Cisl; gli appelli al voto del card. Angelo Bagnasco, di Romano Prodi, di Matteo Renzi, della ministra dell’Istruzione Maria Chiara Carrozza; le dichiarazioni delle sezioni locali di Ascom (Associazione Commercianti), Unindustria (Unione degli Industriali e delle Imprese) e Cna (Confederazione Nazionale dell'Artigianato e della Piccola e Media Impresa). Infine, i tanti appelli al voto fatti nelle parrocchie e dai pulpiti. Alla luce di tutto questo, è quasi sorprendente che a votare secondo le indicazioni della stragrande maggioranza delle forze politiche, sindacali, religiose siano state “solo” 35mila persone (tra queste, moltissime suore, le prime a presentarsi ai seggi la mattina di domenica). Una buona parte dell’elettorato, anche cattolico, ha invece disobbedito alle indicazioni della gerarchia, dei partiti, delle associazioni di categoria ed imprenditoriali: è rimasta a casa, oppure ha sostenuto le ragioni dei referendari, riuniti in un comitato di poco più di trenta volontari, appoggiato solo da un paio di partiti minori e dal sindacalismo di base, che ha però raccolto l’appoggio di tanti intellettuali e artisti laici. E di quasi 50mila bolognesi, cioè di circa la metà dei cittadini che nel 2011 elessero Merola a sindaco della città. Anche per questa ragione sarà difficile per la giunta progressista ignorare il risultato delle urne. Lo ha capito bene pure il quotidiano dei vescovi Avvenire (27/5) che, se da una parte insiste a sottolineare quella che a suo dire sarebbe una affluenza “flop”, poi, riferendo il commento negativo del presidente dell’Agesc (Associazione genitori scuole cattoliche) Roberto Gontero, parla di «rischioso precedente per tutto il Paese».
Per la rete delle città solidali, costituita dalle liste Repubblica Romana, “Una città in Comune” di Pisa, “Sinistra per Siena”, “Brescia solidale e Libertaria per i Beni Comuni”, Sel e Pdci-Prc di Ancona, “Cambiamo Messina dal basso” e “Cittadinanza e partecipazione” di Feltre (Bl) la vittoria del referendum costituisce un «primo decisivo passo» per iniziare nelle città la raccolta di firme in calce alla proposta di referendum abrogativo della legge 62 del 2000 (la discussa legge sulla “parità scolastica” voluta dall’allora ministro dell’Istruzione Luigi Berlinguer), «perché la fiscalità generale torni ai cittadini attraverso la scuola pubblica, che è un bene comune». (valerio gigante)

Articolo tratto da
ADISTA
La redazione di ADISTA si trova in via Acciaioli n.7 - 00186 Roma Telefono +39 06 686.86.92 +39 06 688.019.24 Fax +39 06 686.58.98 E-mail info@adista.it Sito www.adista.it



Domenica 09 Giugno,2013 Ore: 07:34
 
 
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