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La conoscenza nel mirino del potere

Colloquio con Girolamo De Michele di Franz Baraggino


Quella del ministro Gelmini non è una semplice riforma. I tagli alla pubblica istruzione misurano l'involuzione del Paese e i rischi che corriamo. Economia, lavoro, welfare, globalizzazione. Tutto dipende dalla salute della scuola pubblica, imprescindibile indice di democrazia. Considerata la posta in gioco, non può trattarsi di una questione di risorse.
Dati alla mano, è il buon senso (nonché gli anni di insegnamento) a guidare Girolamo De Michele nelle analisi che smontano le ragioni del governo. Dai programmi ministeriali al precariato, l'autore di "La scuola è di tutti. Ripensarla, costruirla, difenderla" (Minimum Fax) attraversa l'intero pianeta scuola, smascherando la miopia di una classe dirigente che non valorizza la conoscenza perché non ne comprende il potenziale. O peggio, perché lo teme.

Volendo fare una premessa, che tipo di società e quale Paese hanno in mente coloro che si definiscono 'uomini del fare'?
Una società di uomini dalla mente semplice, che ha bisogno di stimoli semplici, elementari, facili da interpretare. Una società di “gente comune”, che non ha tempo di leggere libri: che lascia a chi governa la fatica di pensare per sé e per tutti. Una società che coltiva come un fibroma dell’anima il rancore, affinché ogni problema, ogni ostacolo, ogni contrarietà sia risolto sfogando la propria frustrazione sul vicino: extracomunitario, meridionale, del quartiere di periferia, del pianerottolo di sotto. Una società di superbi, vittime delle illusioni e delle passioni tristi, già narrata da Leopardi nel Discorso sui costumi degl’italiani e nella Ginestra.

Insomma, non dovremmo stupirci. Eppure la scelta di tagliare le risorse è tutt'altro che scontata. Perché i tagli?
Per due ragioni. La prima: nell’istruzione e nella formazione c’è un enorme potenziale di rendita economica per i privati, le lobbies, i gruppi di potere: e-learning, educazione a distanza, apprendimento per tutta la vita, formazione e aggiornamento, e via dicendo. A condizione che alla scuola pubblica sia impedito di entrare in relazione con la società e farsi carico, in modo democratico ed egualitario, del sistema educativo.
La seconda ragione è l’analfabetismo culturale della nostra classe dirigente, incapace di leggere la società globale con strumenti aggiornati. Siamo governati da una classe dirigente incapace di pianificazione a medio termine, che pensa che il capitalismo sia accumulare l’uovo oggi fregandosene della gallina domani, che non capisce (perché sui quattro libri che ha letto non c’è scritto) che oggi, nella società della conoscenza e della comunicazione, conoscenza, sapere, linguaggi sono immediatamente traducibili in valore.

I soldi per le private però li hanno trovati anche quest'anno.
Basta vedere in quali posizioni di rilievo, all’interno degli apparati del ministero dell’istruzione, sono stati collocati gli uomini e le donne della lobby di CL (che sarebbe ora di chiamare una volta per tutte “Comunione e Fatturazione”) per capire perché i soldi per le scuole private non mancano mai. Soprattutto quelli nascosti tra le pieghe della finanziaria, come nel caso dei fondi per la scuola privata della moglie di Bossi.

Secondo Giulio Tremonti, allo stato attuale la scuola pubblica è un salasso. È possibile smontare questa teoria?
Non ci vuole molto: basta leggere i dati ufficiali, cioè quelli ministeriali. Il bilancio dell’istruzione è, in rapporto al PIL, al di sotto della media europea; la quota di bilancio per l’istruzione, all’interno della spesa generale dello Stato, è di nuovo al di sotto della media europea. Le spese per l’istruzione, al 2008 (cioè prima del ritorno di Tremonti al governo), erano in costante diminuzione. Il numero di insegnanti, come pure quello degli edifici scolastici, erano, al 2008, in costante diminuzione. La quota di spesa per l’istruzione sostenuta dagli enti locali, all’interno della spesa generale per l’istruzione, è in costante aumento, ed è più alta della media europea. Mentre gli alunni aumentano, i lavoratori della scuola diminuiscono. Non c’è bilancio più controllabile e controllato di quello dell’istruzione, insomma. E non è una buona notizia.

Ben oltre lo svolgimento dei programmi ministeriali, il suo libro riconosce il ruolo sociale che la scuola si è sempre assunta. Di cosa si tratta?
La scuola svolge un positivo e indispensabile ruolo di ammortizzatore sociale. Gli ammortizzatori sociali sono come l’olio nel motore delle automobili: consentono alle varie parti di funzionare in modo integrato e impediscono al motore, cioè alla società, di grippare, di rompersi, di arrestarsi. La scuola si fa carico dell’alfabetizzazione dei giovani migranti; della cura dei ragazzi, in supplenza di quell’attenzione che la famiglia, sottoposta ai ritmi di lavoro della società globale, non riesce a prestare; di una funzione di supporto psicologico per i ragazzi travolti dalla crisi dell’istituzione familiare; di recupero della devianza e del disagio sociale, perché la percentuale di cosiddetti bulli che la scuola recupera è ben più alta di quella di altre specifiche istituzioni disciplinari (carcere, comunità di recupero). E soprattutto, è ormai l’unico luogo nel quale quei meta-valori tradotti in diritti costituzionali – libertà, democrazia, partecipazione, uguaglianza, giustizia sociale – che costituiscono l’ossatura della società italiana sono appresi, discussi, interiorizzati.

“Di sinistra, poco meritocratica, piena di insegnanti fannulloni”. Perché è diventato così facile attaccare la scuola pubblica?
Perché abbiamo tutti tirato due calci a un pallone e siamo tutti stati a scuola, da piccoli. E quindi siamo bravissimi a criticare l’allenatore della nostra squadra, soprattutto se è la nazionale, e a parlar male della scuola. È una tipica modalità di una società governata da passioni tristi, rancorose e a costo zero: una società che si rispecchia nelle telerisse, a partire da quelle tra cosiddetti giornalisti sportivi, e ne mima i comportamenti nella quotidianità. Non è un caso che prima di dare un incarico politico a una figura di secondo piano li si fa passare per qualche mese nei programmi di gossip o da Biscardi.

Il mondo del lavoro è cambiato molto più di quanto non abbia fatto quello della scuola. Quali rischi comporta questo divario?
Corriamo il rischio di una società nella quale il divario tra un’élite dotata degli strumenti intellettuali e cognitivi necessari per governare la società complessa, e la gran parte della popolazione immobilizzata nelle paludi dell’analfabetismo di ritorno, si allarga. Nella società complessa è indispensabile avere una mente ricca, plurale, in grado di imparare ad imparare per apprendere le novità che ogni giorno invadono la nostra quotidianità, e senza il cui controllo siamo cittadini di serie B; se questo diventa privilegio di pochi, in una società come quella italiana, che è tra quelle con la più alta rigidità sociale nell’Occidente, corriamo un grave rischio: di pagare la stabilizzazione dei gruppi di potere, il controllo sociale, la cosiddetta governance, con la perdita di posizioni rispetto ai paesi industrialmente avanzati. Del resto il capitalismo italiano non è mai stato particolarmente progressivo, e ha sempre preferito il controllo sociale al progresso industriale.

Considerato il contesto, smartphones, facebook, google, sono amici o nemici della scuola?
Né l’uno né l’altro. Esistono, come esistevano ieri le lavagne e i calamai. Sono strumenti che, se utilizzati con consapevolezza critica, consentono di allargare la mente e superare limiti cognitivi; se utilizzati in modo passivo e acritico, aumentano la passività e l’impotenza della mente. La scuola non deve né ignorarne l’esistenza in nome del ricordo dei bei tempi che furono, né farsi invadere acriticamente dalla loro presenza.

Molti insegnanti lavorano con contratti di dieci mesi, rinnovati di anno in anno, col rischio di rimanere precari fino alla pensione. È possibile calcolare il danno?
Aggiungo: con salari che restano sempre al livello più basso, perché per i precari non ci sono mai scatti di anzianità: in violazione di una norma dello Stato che viene applicata solo (guarda caso) per gli insegnanti di religione. Il danno sociale è enorme, se solo pensiamo alla mancata progettazione di un’esistenza degna di essere vissuta; ed anche in termini di crescita economica, perché si tratta di un’intera generazione che non può permettersi di andare in vacanza, di andare al ristorante, di fare un cambio d’abito ogni anno. E pensare che basterebbe poco per regolarizzare i precari che già lavorano nella scuola, e che sono, tra docenti e non docenti, circa 180.000. Ad esempio, per assumere i primi 40.000 basterebbe reintrodurre l’ICI sulla seconda casa; per altri 40.000 basterebbe ridurre gli sprechi del nostro esercito, prepensionando gli ufficiali in eccesso, trasferendo alla protezione civile i soldati in sovrappiù rispetto alle richieste dell’Unione Europea e dismettendo gli edifici inutilizzati, che potrebbero ridare ossigeno al mercato delle abitazioni.

Il ministro Gelmini ha garantito che entro una decina d'anni tutti i precari della scuola saranno assorbiti. Le crede?
È una menzogna colossale. Il blocco dei contratti (e, al momento, anche degli scatti di anzianità, sul quale si rincorrono voci per ora prive di certezza) costringerà molti lavoratori che potrebbero andare in pensione a posticipare l’uscita dalla scuola, per non avere peggiori condizioni di vita per l’intera vecchiaia. E quindi ci saranno meno uscite del previsto. E in ogni caso i posti lasciati liberi dai pensionamenti non restano a disposizione dei precari, ma sono tagliati via, e quindi scompaiono del tutto; le materie tagliate via dal riordino dei cicli delle scuole superiori scompaiono, e con loro le cattedre, quest’anno dalle prime, il prossimo anno da prime e seconde, e via dicendo. Non dimentichiamoci che i tagli non sono finiti: il prossimo anno salteranno altri 30.000 posti di lavoro.

La protesta, anche in questi giorni, continua a crescere. Insegnare è ancora il mestiere più bello del mondo?
Non so se sia mai stato il mestiere più bello del mondo: è un mestiere faticoso (un buon insegnante è, tra i pubblici dipendenti, quello che lavora il maggior numero di ore all’anno), stressante (basta vedere i casi di malattie professionali, come il burn out, in aumento), poco interessante dal punto di vista della società dell’apparire, del glamour, dei salotti televisivi. Ed è un mestiere che ha dei tempi particolari, che quasi sempre non consentono di integrare il magro salario con una seconda attività: il precario, una volta entrato nell’ingranaggio della scuola, non può uscirne, anche se quello che guadagna non gli basta. Ma una cosa va detta con chiarezza: ad illudere i precari, facendo spendere loro migliaia di euro per le Scuole di formazione (le SSIS), non sono stati fantomatici governi comunisti, ma il ministro Moratti e la sottosegretaria Valentina Aprea, ai tempi del secondo governo Berlusconi.

Pensando la difesa della scuola come difesa di un bene comune vengono in mente le battaglie per l'acqua pubblica. Il business e gli interessi privati minacciano anche la scuola?
Si, certo. Le lobbies private, a cominciare dalla galassia che orbita attorno a “Comunione e Fatturazione”, hanno enormi capitali da investire. Ma non hanno un’offerta formativa in grado di competere con la scuola pubblica: le nostre scuole private, ci dicono quei test tanto graditi al ministro, sono le peggiori del mondo, e comunque ben peggiori della scuola pubblica. E dunque hanno bisogno di abbassare, e di molto, il livello della scuola pubblica. Però, in tutta franchezza, io non ho molta voglia di prendermela con la destra perché fa il suo mestiere, cioè fa la destra. È con l’opposizione parlamentare, che non ha mai detto che l’acqua è un bene comune (neanche Bersani a “Vieni via con me”!), che con l’ex-ministro Fioroni lancia profferte di collaborazione a Gelmini, che me la prendo. È solo un caso che su scuola e acqua il cosiddetto centro-sinistra balbetta

A cura di Luigi De Paoli



Domenica 28 Novembre,2010 Ore: 16:48
 
 
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