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www.ildialogo.org BULLISMO A SCUOLA: QUALCHE NOTA AUTOBIOGRAFICA,di Augusto Cavadi

BULLISMO A SCUOLA: QUALCHE NOTA AUTOBIOGRAFICA

di Augusto Cavadi

venerdì 27 aprile 2018
Riprendiamo questo articolo, su segnalazione dell'autore che ringraziamo, dal suo blog Augustocavadi.com
“Repubblica – Palermo”
25.4.2018
IL BULLISMO SCOLASTICO: QUALCHE CONSIDERAZIONE CHE NON HO UDITO IN GIRO
  “Dovrebbero pulire i wc della scuola a mani nude”. “No, bisognerebbe multare in maniera salata i genitori maggiorenni”. “Invece sarebbe meglio…”. Sugli episodi di bullismo contro docenti abbiamo letto e ascoltato di tutto: in effetti la scuola è un luogo da cui passiamo (quasi) tutti i cittadini e la tentazione di dire la propria è troppo forte per resistervi. Chi, però, dalla scuola è non solo passato per alcuni anni ma vi è rimasto per decenni a insegnare (secondo Levy-Strauss in “Tristi Tropici” una strategia inconscia per evitare di diventare adulti…) avrebbe voluto leggere o ascoltare anche considerazioni che non sono circolate.
La prima: che non è vero che si tratta di fenomeni recentissimi dovuti a una lunga litania di cause socio-psico-etico-politico- pedagogiche. Più di mezzo secolo fa, al Liceo Garibaldi di Palermo, alcuni miei compagni di classe chiedevano a mezza voce alla mite professoressa di italiano: “Scusi, signora but…na, potrei uscire?”, costringendo la docente a fare finta di non capire bene e ad affrettarsi a dare il permesso. Pochi anni dopo, da supplente di filosofia, fui chiamato al Liceo scientifico di Termini Imerese (che allora si trovava in una bella, ma vecchia sede). Un alunno, notoriamente di destra, dopo un’ora o due di lezione, mi intimò non so più che ordine aggiungendo che i fori alla parete dietro le mie spalle erano stati provocati dai colpi di pistola sparati contro il docente di ruolo che mi aveva preceduto. Mi limitai ad osservare che evidentemente in quella classe non si aveva una buona mira. Il giorno dopo un suo compagno di estrema sinistra mi spiegò che, in caso di disaccordo, mi avrebbe spaccato la sedia in testa. Gli risposi che, al suono della campana per l’intervallo, visto che era un maggiorenne (anzi, anche consigliere comunale di “Lotta continua”), sarei uscito a denunziarlo ai carabinieri per minacce a pubblico ufficiale nell’esercizio delle sue funzioni. Sul momento sghignazzò, ma quando mi vide sulle scale verso l’uscita mi corse dietro e mi pregò di scusarlo per la “bravata”: lo perdonai solo a patto che chiedesse scusa davanti a tutti i compagni. Lo fece e in giornata si sparse la voce, anche grazie al commento di un bidello: “Ci vorrebbe un supplente di filosofia in ogni sezione!”. Alcuni anni dopo, nel liceo classico che avevo frequentato da alunno, fui chiamato a sostituire un collega di un’altra sezione perché i ragazzi avevano appiccato il fuoco alla cattedra e lo avevano accerchiato urlando a mo’ di pellirosse in girotondo. Quando vi misi piede per la prima volta vidi entrare cinque di loro, dopo la ricreazione, in identico assetto di guerra. Cercai di mantenermi calmo, chiesi i loro cognomi e man mano verbalizzai un rapporto al preside. Una delle ragazze mi obiettò che potevo farlo perché avevo la penna in mano. Allora le porsi la mia penna con gentilezza e la “sventurata” (citazione manzoniana a proposito della Monaca di Monza) redasse un rapporto su di me. Il preside, che li aveva sempre difeso, questa volta andò su tutte le furie e fu costretto a prendere finalmente provvedimenti.
 Come mai il dirigente scolastico per anni aveva taciuto? Qui tocchiamo una seconda considerazione: questi episodi (che adesso i social mediaamplificano e diffondono, ma che sono sempre avvenuti) presuppongono un clima generale di lassismo e di illegalità nell’istituto scolastico. E, se ciò avviene, il cinquanta per cento della responsabilità è dei presidi che vengono selezionati sulla base di varie prove, nessuna delle quali atte a misurarne l’autorevolezza morale, l’equilibrio psichico e il carisma dirigenziale. 
 Meravigliarsene sarebbe da sciocchi. Prima di diventare dirigenti, infatti, essi - ecco una terza e ultima considerazione - sono stati insegnanti: e neanche gli insegnanti vengono valutati per le proprie doti umane. Basta (quando c’è) la preparazione tecnica nella propria disciplina e, se proprio va di lusso, si aggiunge la passione per la trasmissione delle proprie competenze: ma per comandare l’equipaggio di un aereo o per coordinare un collegio di magistrati giudicanti sono necessarie tante altre qualità, senza le quali non si gode del prestigio minimo essenziale a svolgere in maniera dignitosa il proprio lavoro. 
Indubbiamente chi ritiene di avere davvero una buona dose di queste qualità le investe in campi dove esse sono riconosciute socialmente e economicamente (come avviene con i piloti e i magistrati), non nell’insegnamento dove dal primo al quarantacinquesimo anno si resta “soldati semplici”. Ma questo aprirebbe tutto un altro discorso sull’organizzazione del sistema scolastico e universitario.
Augusto Cavadi



Venerdì 27 Aprile,2018 Ore: 22:27
 
 
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