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www.ildialogo.org QUELLA ISTITUZIONE CHIAMATA “SCUOLA”, COS’E’? COSA SIGNIFICA?,di Raffaello Saffioti

QUELLA ISTITUZIONE CHIAMATA “SCUOLA”, COS’E’? COSA SIGNIFICA?

RICORDANDO DON LORENZO MILANI, DANILO DOLCI, ADOLPHE FERRIERE, FRANCO BASAGLIA


di Raffaello Saffioti

E’ in corso la raccolta delle firme del Referendum per l’abolizione della “BUONA SCUOLA DI RENZI”. Il dibattito su “buona e cattiva scuola” rimane aperto, tiene desto l’interesse dell’opinione pubblica e non viene oscurato dalle varie emergenze: “emigranti”, “razzismo”, “disoccupazione”, etcetera. Ma varrebbe la pena discutere il sostantivo “scuola”, più che l’aggettivo “buona” o “cattiva”.

C’è da chiedersi: cos’è la scuola? Qual è il significato di questa parola?
Ancora una volta, nel dibattito sul tema-scuola, viene ricordata la famosa Lettera a una professoressa (1967), della Scuola di Barbiana, fondata da don Lorenzo Milani.
Nella Lettera a una professoressa si legge: “quell’istituzione che chiamate scuola” (p.9), “Lucio che aveva 36 mucche nella stalla disse: «La scuola sarà sempre meglio della merda» (p. 13).
La definizione di “scuola” nei Vocabolari della lingua italiana:
“Istituzione che persegue finalità educative attraverso un programma di studi o di attività metodicamente ordinate” (Nicola Zingarelli).
“ Istituzione educativa che ha il compito di trasmettere alle giovani generazioni gli elementi fondamentali di una civiltà, di una cultura o di avviare al possesso di una data disciplina o alla pratica di una determinata professione” (Sabatini Coletti).
“Istituzione a carattere sociale che, attraverso un’attività didattica organizzata e strutturata, tende a dare un’educazione, una formazione umana e culturale, una preparazione specifica in una determinata disciplina, arte, tecnica, professione, ecc.” (Vocabolario on line Treccani).
Comunemente si dice che compito della scuola è: educare ed istruire.
Ma cosa significa “educare”?
DANILO DOLCI (1924-1997) ha scritto:
Educare: lo scienziato appura quanto ignora di questo verbo” (Palpitare di nessi, Mesogea, 2012, p. 109).
Viene, così, liquidata con poche parole la presunzione di quanti pensano di sapere con certezza cosa significhi “educare”.
Nella storia secolare dell’educazione e della scuola, Dolci, educatore rivoluzionario nonviolento, ha visto scontrarsi due fronti:
l’uno guidato dai dominatori (ove manca l’educatore autentico), l’altro promosso dai liberatori valorizza l’esperienza di ognuno. La cultura è potere quando autonoma, critica e creativa”.
(La struttura maieutica e l’evolverci, La Nuova Italia, 1996, pp. 196-97)
Quando la scuola è un’istituzione criminale?
In una delle ultime opere di Dolci leggiamo:
Per uno Stato non è certo un crimine, ad esempio, costruire e diffondere scuole. Ma quali scuole? Una serie di piccole galere? Criminale è spegnere nell’immane inerzia la naturale curiosità dei bambini e dei giovani, invece di potenziarla coorganizzandola; criminale è progettare di fatto lo spegnimento sistematico della creatività individuale e collettiva, alimentando così nei giovani e nei precettori la paura, e l’odio, per lo studio; criminale è insistere nel mantenere in situazioni insane miliardi di creature, malgrado le denunce rigorose ormai secolari, anche di medici. (Basti pensare a Decroly e alla Montessori)”.
(Nessi fra esperienza etica e politica. Criminalità privata e criminalità di Stato nei “Tempi Moderni”, Piero Lacaita Editore, 1993, p. 72)
Quanti gli autentici educatori nelle scuole e altrove?
Quanti gli autentici educatori al mondo, nelle scuole e altrove? Non è vero che tutti sono venduti, ducetti soddisfatti delle loro cattedre, impotenti ad ascoltare, irrecuperabili al fronte del cambiamento democratico. E quanti giovani sono disponibili a crescere liberandosi? Decine, centinaia di milioni. Ma agli uni e agli altri in crisi, occorre incontrare occasioni per imparare a comunicare, laboratori di continuativa liberazione”.
(Ibidem, p. 162)
ADOLPHE FERRIERE (1879-1960)
Questo famoso pedagogista svizzero, “il difensore e il diffusore più autorevole della scuola attiva”, nell’opera Trasformiamo la scuola (1947) scrisse “una storia vera” per raccontare la creazione della scuola, “secondo le indicazioni del diavolo”.
La scuola-prigione.
Il bambino ama la natura: fu messo in stanze chiuse. Al bambino piace giocare: fu fatto lavorare. Gli piace che la sua attività serva a qualcosa: si fece sì che la sua attività fosse senza scopo. Gli piace muoversi: fu costretto a restare immobile. Gli piace maneggiare degli oggetti: fu messo in contatto con le idee. Gli piace usare le mani: ci si rivolse soltanto al suo cervello. Gli piace parlare: fu costretto al silenzio. Vorrebbe ragionare: gli si fece imparare tutto a memoria. Vorrebbe cercare la scienza: gli venne imbandita già bell’e fatta. Vorrebbe seguire la sua fantasia: venne piegato sotto il giogo degli adulti. Vorrebbe entusiasmarsi: si inventarono le punizioni. Vorrebbe rendersi utile liberamente: gli fu insegnato a ubbidire passivamente: «Perinde ac cadaver».
Il diavolo rideva sotto i baffi!
Per un po’ parve che avesse successo. Il diavolo si credette vittorioso.
«La noia per la noia? Questo poi no!» esclamarono i più riflessivi fra i bambini che, con l’orecchio alla porta e l’occhio al buco della serratura, avevano sentito e indovinato tutto.
Ma la prigione della scuola non era perfetta: le mancava ancora quello che costituisce la gloria delle carceri, le grosse chiavi, le serrature, i catenacci, la muffa e l’immoralità. Il diavolo aveva fatto male i suoi calcoli. Si videro ragazzi scappare nei boschi, salire sugli alberi, fare marameo al falso «uomo di Dio». […] Conquistarono così la salute che non teme lo sforzo, la felicità che gonfia il petto; la padronanza di sé che porta al dono di sé. Conobbero l’amore e ripeterono con l’evangelista: «Dio è amore».
Allora il diavolo smise di ridere sotto i baffi, digrignò i denti, tese il pugno, gridò loro: «Maledetta razza!» e disparve.
E con lui disparve la «scuola» che aveva così abilmente immaginata.
Lettore, se incontri ancora delle «prigioni» vecchio modello, va a scuotere l’insegnante dalla cattedra, sveglialo, digli che sono giunti i tempi nuovi, che egli tiene in vita un anacronismo, che deve andarsene o convertirsi. Gli renderai forse un servigio, ma renderai certamente un servigio alle migliaia di marmocchi che si agitano desiderosi di vivere, e che esclamerebbero se sapessero il latino: «primum vivere, deinde philosophari».
Sì, la prima cosa è vivere, che diavolo!”
(John Dewey e il problema pedagogico nel pensiero contemporaneo da Pestalozzi a Laporta, a cura di Vincenzo Carbotti, Casa editrice D’Anna, 1974, pp. 193-95)
FRANCO BASAGLIA E DON LORENZO MILANI
DUE ISTITUZIONI “MANICOMIO” E “SCUOLA”
Il libro L’istituzione negata. Rapporto da un ospedale psichiatrico, a cura di FRANCO BASAGLIA (Einaudi, 1974) è la descrizione di una prassi anti-istituzionale e la riflessione su di essa.
“Vi è contenuta la storia di una esperienza paradossalmente «non-psichiatrica»: la trasformazione di un manicomio tradizionale in una situazione operativa dove, forse per la prima volta in modo completo e rigoroso, si è potuto dimostrare che l’immagine comune della follia è fondamentalmente errata”.
(Dalla quarta di copertina)
La Lettera a una professoressa e L’istituzione negata, sono stati dichiarati “testi chiave del Sessantotto italiano”.
Il libro dello storico inglese John Foot, La “Repubblica dei Matti”. Franco Basaglia e la psichiatria radicale in Italia, 1961-1978 (Feltrinelli, 2014), è servito a GIORGIO PECORINI per cercare il denominatore comune di due biografie straordinarie, di Franco Basaglia e don Lorenzo Milani, “eguali e diversi”.
Pecorini ha scritto:
“… proprio nell’isolamento dei rispettivi esilii Basaglia e Milani trovano il bandolo di tutte le possibili matasse di fili con cui tessere le proprie reti: quell’intreccio di affinità, amicizie, condivisioni su cui costruire alleanze, organizzare complicità, gestire contrapposizioni, azzardare compromessi ma sempre controllabili e gestibili: revocabili cioè appena si facessero rischiosi. E’ così che impostano entrambi il proprio rispettivo lavoro, via via verificandone l’ipotesi e all’occorrenza correggendola, senza paura di contraddizioni. Col rifiuto di ogni scopo prefissato e la personalizzazione di ogni singolo intervento, calibrato sulla unicità di ogni singola persona, malato o studente fa eguale. Prassi che genera comunità aperte, auto terapeutiche e auto educative, in evoluzione continua e in continuo confronto con la realtà circostante che viene continuamente influenzata. In sfida continua con i ‘tecnici’: gli esperti, gli operatori, sanitari o docenti, costretti a mettersi in discussione ogni giorno, su ogni fronte e a tutti i livelli.
Basaglia sgretola dall’interno l’istituzione-manicomio usando il potere datogli per conservarla e gestirla, mettendo al suo posto occasioni pratiche di collaborazione sociale responsabile.
Milani, col privilegio d’esserne fuori, sgretola dall’esterno l’istituzione-scuola contrapponendole un progetto educativo di impegno, coerenza e responsabilità: l’unica utopica possibilità-speranza proponibile”.
(Giorgio Pecorini, “Franco Basaglia e don Lorenzo Milani, eguali e diversi”, nella rivista “Segno”, n. 367-368, luglio-agosto 2015, pp. 37-41)
Don Milani, Dolci, Ferriere, Basaglia, hanno segnato profondamente, in vari campi, la storia del Novecento, considerati testimoni del tempo in cui sono vissuti. Serve conoscerli e ricordarli, considerando l’attualità della loro opera e del loro pensiero. Richiamarli serve ad elevare il livello culturale e politico del dibattito in corso, a comprendere ed orientarci in questo nostro tempo di crisi, che è anche tempo di crisi delle istituzioni.
Palmi, 19 settembre 2015
Raffaello Saffioti
Centro Gandhi
Associazione Florense per lo Sviluppo Creativo
raffaello.saffioti@gmail.com



Sabato 19 Settembre,2015 Ore: 20:25
 
 
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