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www.ildialogo.org   L’ORA DI RELIGIONE: CULTURA O CATECHESI?  ,di Renata Rusca Zargar

  L’ORA DI RELIGIONE: CULTURA O CATECHESI?  

di Renata Rusca Zargar

Ho assistito al Convegno “L’ora di religione: cultura o catechesi?” a Savona (locandina in allegato) per l’attualità e l’interesse generale del soggetto. Credo che una corretta informazione e un dibattito non viziato da pregiudizi o confusioni di settore possano essere utili a noi e ai nostri figli.

In quel convegno, ristretto in una piccola parte della Sala Consiliare del Comune, la prima a esporre le sue tesi è stata la prof.ssa Carla Zanasi del Gruppo Laicità nella scuola che, non essendo favorevole all’insegnamento della religione cattolica a scuola (introdotto in epoca fascista), ne ha fatto rilevare le problematiche: 1) è un insegnamento confessionale 2) lo stato deve essere laico 3) pur essendo una materia facoltativa è obbligatorio compilare un modulo per sceglierla o no, non sempre ben compreso dalle famiglie 4) l’orario è all’interno dell’orario scolastico per cui, escludendo chi ha l’ora all’inizio o alla fine della mattinata e quindi può entrare dopo o uscire prima, gli altri devono fare qualche altra cosa 5) l’alternativa non è organizzata in tutte le scuole 6) esiste il problema del credito formativo per chi frequenta l’ora di religione. La prof.ssa, dopo aver rilevato che esistono molti contenuti nei libri di qualsiasi materia che non sono laici, ha concluso affermando che, però, i giovani devono conoscere la storia delle religioni, altrimenti non sono in grado di comprendere diversi contenuti di altre materie quali la letteratura, ad esempio.

Il prof. Marcello Tobia, docente di religione, ha subito precisato che non si tratta di materia facoltativa ma opzionale (quindi all’interno del curriculum scolastico) e che il concetto stesso di laicità dello Stato è molto complesso, differenti paesi ma anche differenti partiti o ideologie ne hanno una visione diversa. Noi viviamo in uno stato di tradizione cattolica dove i cristiani, nei secoli, hanno permeato tutti i campi del sapere (letteratura, filosofia-ecc.) per cui l’ora di religione serve per comprendere la cultura in cui siamo immersi. Chi sceglie la religione –sempre secondo il prof. Tobia- non necessariamente deve essere credente o cattolico, la religione nella scuola è un’ora di cultura e, in questo senso, dovrebbe essere obbligatoria (e non opzionale perché la cultura non può essere opzionale). Infine, lo stato italiano, a differenza degli altri stati europei, nel 1873, ha proibito la Teologia nelle Facoltà statali e quindi le Facoltà di Teologia sono tutte della Chiesa. Di qui si origina un duplice problema: a) lo stato non può controllare la preparazione e le graduatorie degli insegnanti di religione b) chi ha studiato per tanti anni molte materie nelle Facoltà cattoliche non vede che in minima parte i suoi studi riconosciuti dalle Università statali. Infatti, le Facoltà che dovrebbero convertire i crediti degli esami sostenuti presso le Università pontificie non riescono a tradurre specifici esami di ambito strettamente religioso in altri delle statali perché le Università statali non si sono mai occupate di queste materie di approfondimento della religione cristiana, avendo frequentemente solo Storia della Chiesa o Storia del Cristianesimo, Patrologia. Negli altri paesi europei, che noi immaginiamo più laici, c’è maggiore collaborazione tra stato e Chiese anche nell’educazione alla pace (in Germania, ad esempio, è obbligatoria l’educazione confessionale- ognuno sceglie la sua e chi è ateo segue l’Etica; in Olanda la religione confessionale è cultura, in Danimarca sono obbligatorie tre ore la settimana, ecc.). Il fare niente di tanti nostri alunni –scelta certamente non culturale- non è contemplato. Lo stesso Consiglio europeo, considerando le problematiche dei nostri tempi, ha sollecitato gli stati a una maggiore preparazione degli studenti invitando le Chiese a collaborare. Ad esempio, costituire Facoltà teologiche e gruppi per preparare a insegnare nel settore religioso, occuparsi della spiritualità di cui manchiamo nel mondo contemporaneo.

Sono seguiti gli interventi di insegnanti che hanno spiegato cosa fanno, nelle diverse tipologie di scuola, nell’ora di religione. Tra questi, allego più sotto un esempio della prof.ssa Carola Centenero, insegnante di religione al Liceo Artistico di Savona.

Vorrei, però, esporre alcune considerazioni, più che altro dettate dal buon senso, per dare magari origine a una discussione che non sia solo ideologica.

Certamente, il controllo della preparazione degli insegnanti da parte dello stato è un problema reale e serio che si pone anche quando i musulmani- seconda religione dello stato- potranno accedere all’ora di religione nelle scuole, dato che in Italia non ci sono le strutture culturali presenti nei paesi islamici (come pure sarebbe da verificare la preparazione degli insegnanti attuali sull’Islam, dato che ne parlano spesso nello loro classi). In questo senso, lo Stato dovrebbe trovare una soluzione idonea.

Oltre a ciò, le mie figlie musulmane italo-indiane hanno frequentato l’insegnamento della religione dalla scuola materna fino al Liceo compreso. Questo per alcune valutazioni familiari: una è sicuramente che non amo le persone che perdono tempo al bar (farà sorridere ma da questo si evincono scelte di vita importanti) e l’altra che sono stata sempre convinta che l’insegnamento non sarebbe stato catechismo cattolico ma la conoscenza di un ambiente culturale nel quale le mie figlie studiavano e, per il momento, vivono. Se fossimo stati residenti in India, ad esempio, secondo me, avrebbero dovuto conoscere bene la cultura induista perché con quella si sarebbero dovute confrontare. Le nostre esperienze dell’ora di religione sono state molto positive: nessuno ha insegnato loro il catechismo cattolico ma hanno sviluppato – a seconda dell’età- tanti e diversificati argomenti collegati con le discipline umanistiche, la logica, ecc. Dato, però, che gli insegnanti non sono tutti ottimi (quanti di altre materie leggono il giornale in classe, perdono tempo in pettegolezzi, arrivano in ritardo, si attardano al bar, ecc. ecc.?), ammettiamo che avessero incontrato chi faceva il catechismo cattolico, come magari hanno incontrato chi non gli ha spiegato bene la letteratura o la chimica, tutti fatti ugualmente riprovevoli. Non credo, però, che si possa aver paura di imparare le regole di un’altra religione: siamo forse così deboli nella nostra che, appena sentiamo due assunti altrui, cambiamo subito religione? Non credo che le conversioni siano così facili (se sincere!), né che conoscere il catechismo obblighi a qualcosa in particolare, tanto è vero che, di tutti noi più anziani che lo abbiamo seguito obbligatoriamente a suo tempo, alcuni hanno cambiato religione e moltissimi sono atei. D’altra parte, i figli, come è giusto succeda, diventati adulti e autonomi, faranno le loro scelte e magari cambieranno religione o saranno atei, non mi sembra una tragedia se lo faranno in libertà e consapevolezza, non spinti dal bisogno, dall’interesse o dalla servitù al potere. Io, comunque, non sono neppure d’accordo con i genitori che non danno nessuna educazione religiosa trincerandosi dietro l’affermazione che i figli “sceglieranno da grandi”. Indubbiamente, sceglieranno da grandi, ma la famiglia deve dare la “sua” impostazione in ogni tematica, anche quella religiosa che sottintende, per me, una serie di valori, persino politici (per esempio, valutare se stare dalla parte di chi ha di più o di chi ha meno), un impegno sociale e morale. Come io insegno ai figli, ad esempio, che non si deve rubare (sceglieranno da grandi?) devo dare anche la mia visione del senso della vita umana che poi loro potranno benissimo cambiare e modificare (per questo discuto e faccio ragionare e non amo i pregiudizi ideologici).

Infine, la polemica sul credito formativo (esiste solo nel triennio finale delle scuole superiori e chi ha almeno un credito formativo può guadagnare un punto nella sua fascia di media dei voti delle varie materie che farà parte del suo punteggio all’esame di stato). Ho assistito personalmente nella mia scuola a polemiche che ritengo ideologiche per le quali si affermava che dare il credito formativo a chi segue per tutto l’anno scolastico il corso di religione è “discriminante” per chi non lo segue. Dopo ricorsi e ricorsi, l’ultima sentenza della Corte è stata che si può dare il credito solo se nella scuola vengono organizzate attività alternative di pari livello. Le mie figlie, e ne sono contenta, hanno avuto, a suo tempo, il credito, anche se a loro non serviva a nulla perché ne avevano molti altri per varie attività e concorsi vinti (si può contare per il punteggio un solo certificato di credito). In ogni caso, per i giovani, un riconoscimento per aver seguito una qualsiasi attività invece che perdere il tempo della propria vita, è gratificante e formativo. Dato che io penso si debba riflettere con il buonsenso e non ideologicamente, mi pongo, così, una questione. Chi frequenta, ad esempio, un corso di violino privatamente o fa parte di una squadra di basket, ha diritto al credito formativo. Dato che un corso di musica e anche un’attività sportiva sono assai costosi e non tutti possono permetterseli, come mai nessuno solleva la questione che sono “discriminanti”? Non mi è mai capitato di sentir dibattere questo problema in un Collegio Docenti.

In conclusione, mi rendo bene conto che l’atteggiamento ostile deriva dal comportamento negativo che la Chiesa, attraverso suoi importanti esponenti, ha avuto nella storia e anche nella cronaca recente. Così come ne deriva l’abbandono della fede da parte di tante persone.

Hans Kung diceva che se la Chiesa non cambierà e inizierà a stare con i poveri in poco tempo rimarrà sola. Ma la critica alla Chiesa non deve viziare la nostra questione. Così come la critica ad autorevoli esponenti di altre religioni.

Nel brano seguente, la prof.ssa Carola Centenero illustra, con un esempio pratico, come la sua ora di religione sia determinante per chiarire la pittura di un determinato periodo storico e anche come venissero educati i giovani a Genova per poter amministrare proficuamente la città.


Prof.ssa Carola Centenero docente I.R.C. Liceo Artistico “A. Martini” di Savona

Relazione del 26/1/2013 presso la Sala consiliare del Comune di Savona al convegno “L’ora di religione, catechesi o cultura?”.

SOGGETTI VETERO TESTAMENTARI NELLA PITTURA GENOVESE DEL 16OO.

Il libro di Tobia diventa nel 1600 genovese un riferimento etico esemplare, tanto nelle prediche che nell’iconografia. Non è l’unico libro ispiratore di nobili virtù da seguire e insegnare, infatti, accanto a questo troviamo altri libri che testimoniano il cambiamento culturale del tempo: il libro di Giuditta, i libri che trattano dei Patriarchi e David.

E’ stato scelto il libro di Tobia in quanto la platea era soprattutto gremita di adolescenti, anche se il tema dell’incontro, come aveva detto l’assessore Isabella Sorgini nell’introduzione, proponeva uno spunto alto di riflessione rivolto particolarmente alle famiglie, ai docenti e ai Dirigenti scolastici.

Partendo proprio dalle prediche del tempo nella Repubblica di Genova, bisogna evidenziare l’importanza del gesuita padre Spinola che nelle sue “Meditazioni” del 1668 fece riferimento proprio all’arcangelo Raffaele che aiutava il figlio di Tobia, Tobiolo, a sconfiggere il male (rappresentato da un mostruoso pesce) e che guidava con i suoi consigli verso la salvezza. La devozione dell’Angelo custode fu sostenuta e diffusa dagli ordini regolari e dai Gesuiti in sintonia con le direttive conciliari tridentine, tanto che Paolo V ne istituì la celebrazione liturgica, completata da Clemente X nel 1670.

In area genovese, non tutti i temi sviluppati nel libro di Tobia vennero rappresentati in pittura ma solo quelli più adatti a uno scopo pedagogico, a formare giovani d’ingegno a virtuose azioni. Già Fabiano Giustiniani, autore di un commento del Libro nel 1621, aveva interpretato il rapporto fra l’arcangelo Raffaele e Tobiolo come una relazione esemplare di amicizia e fiducia che ogni cristiano avrebbe dovuto avere col proprio angelo custode e così fece altrettanto padre Antero Maria, agostiniano.

In pittura, invece, si incominciò a discostarsi parzialmente dal modello biblico in quanto l’arcangelo venne provvisto di grandi ali. Rammento che nel Libro di Tobia l’angelo è un giovane dall’aspetto comune che non svela la sua identità se non alla fine, questo passaggio soprattutto fu promosso anche dai Gesuiti, vedi Spinola, in polemica antiprotestante in quanto la Riforma negava validità all’intercessione degli angeli come dei santi.

Nei dipinti, Tobiolo, a differenza del testo biblico, venne raffigurato più giovane, bimbo o adolescente, per proporre un modello spirituale da imitare fin dall’infanzia nella devozione all’angelo custode.

Molti di questi quadri erano dipinti legati alla sfera privata, quadri “da stanza” come il dipinto di Antonio Van Dick “Piccolo Tobiolo”, conservato alla Galleria Durazzo Pallavicini di Genova. Si suppone che il bimbo rappresentato come un piccolo aristocratico, vestito alla moda del tempo e con un grande pesce in mano, potesse essere un bimbo malato appartenente alla famiglia del committente, di conseguenza l’angelo sullo sfondo indicherebbe la speranza dei familiari nella guarigione miracolosa del loro piccolo come veniva raccontato nel testo dell’Antico Testamento: le interiora del pesce vinto e catturato dal Raffaele e portate da Tobiolo all’anziano padre serviranno a guarirlo.

Il libro di Tobia non ispira solo questo elemento devozionale ma ha un ruolo attivo come paradigma della famiglia esemplare. E’ in questo periodo che gli ordini più attenti all’educazione dei giovani, quali i Gesuiti, gli Scolopi e i Somaschi, consideravano le relazioni familiari fra Tobia e Tobiolo come un exemplum di virtù parentale che anche i giovani genovesi dovevano imitare nei confronti dei loro genitori. L’obbedienza, il rispetto dei genitori e dei valori trasmessi da questi col supporto dell’istruzione impartita dall’istruzione religiosa venivano premiati con la salute e la ricchezza, intesa non come frutto di un illecito guadagno ma come premio di una virtuosa relazione fra i membri della famiglia.

La trasmissione di questi valori venne testimoniata anche dalle prediche del padre gesuita Segneri che in Genova presentava Tobia come uomo parco nel gestire i propri beni, caritatevole verso i più bisognosi e lontano da negoziare in modo disonesto. Così, infatti, avrebbero dovuto comportarsi anche gli uomini che dovevano governare la città o quei giovani genovesi che, educati ai più alti valori, un giorno si sarebbero curati dell’amministrazione della Repubblica, attenti al Bene comune, alla legittimità dei mezzi per arricchirsi nei commerci come nelle operazioni di finanza.

Per quanto riguarda i dipinti che propongono questo tema ricordo la “Guarigione di Tobia”, conservata a Palazzo Bianco a Genova.




Martedì 12 Febbraio,2013 Ore: 19:40
 
 
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