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www.ildialogo.org Il significato del cambiamento nella “civiltà delle relazioni”.,di Laura Tussi

Il significato del cambiamento nella “civiltà delle relazioni”.

di Laura Tussi

La Rivista "Rassegna dell'Istruzione", edita da Mondadori-Le Monnier, in collaborazione con il Ministero dell'Istruzione, dell'Università e della Ricerca (MIUR) è il Bimestrale di Informazione Scolastica delle Regioni- Anno LXV.

"Rassegna dell'Istruzione" propone i contributi culturali di Laura Tussi

http://www.rassegnaistruzione.it/rivista/rassegna_04_08-9/Tussi_pag11.pdf

http://www.rassegnaistruzione.it/index.html

http://www.peacelink.it/pace/a/34321.html

LA DIVERSITA’ COME PARADIGMA DELL’UMANO.

Il significato del cambiamento nella “civiltà delle relazioni”.

Oltre i totalitarismi ideologici.

 di Laura Tussi

 La definizione “diversità culturale” è una locuzione polisemica, esposta a molte possibili interpretazioni, quale espansione emotiva e concettuale che comporta un arricchimento, un dialogo, un incontro, uno scambio reciproco.[1]

La diversità nasce da riconoscersi diversi nella philia, nel valore della relazione, per cui dopo l'incontro è possibile sapere di un altro pensiero, di un altro linguaggio, di un altro sguardo, ingenerando, contemporaneamente, cambiamento nell'altro che è incontrato.

Il riconoscersi, nel disconoscersi dell'incontro, restituisce momenti di felicità intima, perché ognuno cambierà diventando se stesso e declinandosi nell'altro.

Questa civiltà delle relazioni umane è uno stile e un ethos aperto alla totale comprensione delle condotte, dei comportamenti, dei riti e delle emozioni dell’altro, che ha i suoi fondamenti nella dignità della cultura della persona umana, nel valore dell’incontro e del dialogo nelle agorà e nelle poleis greche antiche, nel messaggio biblico ebraico e cristiano, nella cultura rinascimentale, con una forte etica della responsabilità e del riconoscimento nella diversità dell'altro da sé.

L'idea di un Occidente universale è ingenua e profondamente errata.

Le costruzioni più alte della cultura occidentale sono state prodotte al termine di guerre drammatiche, di rivolte interiori contro se stessi, di intime lotte contro la propria volontà di potenza, contro la propria identità, in un arcipelago di lingue e culture aperte e diffrangenti, in un crogiuolo di differenze e alterità che si incontrano, si accordano, si oppongono, producendo sempre l'imprevedibile delle pluralità irriducibili, nell’interscambio reciproco, nell'armonia di un mondo di tensioni e conflitti in ordini di relazioni spontanee di donne, uomini e società, nelle tradizioni, nelle reti delle comunità, nelle dinamiche di cooperazione, nelle interazioni virtuali e reali.

Il totalitarismo trova terreno fertile nella società massificata, nel sentimento di estraniazione e alienazione che dissolve non solo i legami sociali, ma lo stesso rapporto con la realtà.[2]

Le diversità culturali aprono l'orizzonte delle pluralità umane nel distinguersi delle singolarità dei soggetti che agiscono e che pensano.

Le soluzioni politiche, che prescindono dall'infinita molteplicità delle esperienze umane e delle forme di vita, generano spinte totalitarie che distruggono le tradizioni esistenti ed esasperano i conflitti delle società.

Il riconoscimento della diversità, in opposizione ad una concezione olistica e totalitaria, potrà impedire la negazione delle differenze stesse.

Nei poemi omerici, la pietas per i vinti è la rappresentazione della pluralità interna dell'uomo.

La Commedia di Dante attraversa le fonti bibliche, virgiliane e tomiste, comunicando e parlando alle culture di tutte le epoche e di tutti i luoghi con ricchezza polisemica, polilinguistica, nella varietà delle ambientazioni e dei personaggi, rappresentando un paradigma della diversità culturale umana.

Lo straniero non ha un luogo, non si sente mai a casa propria, coinvolto in un'appartenenza fragile e ambigua dell'essere altrove, nella volontà di non essere assimilato, nell’erranza, dove il singolare ed il molteplice tornano ad unirsi in una pluralità irriducibile.

Il dominio totale ed ogni forma di totalitarismo non permettono libertà di iniziativa.

L'ideologia totalitaria non consente la trasformazione dell'esistenza umana e la riorganizzazione rivoluzionaria della società, perché nega le diversità culturali, in quanto orizzonte della pluralità umana stessa.

Le risoluzioni politiche dei problemi umani, che non tengono presente l'infinita e poliedrica molteplicità delle esperienze viventi, ingenerano processi totalitari che annientano le tradizioni, gli usi e i costumi ed esasperano i conflitti sociali, nella pianificazione politica e culturale delle istituzioni.

La diversità culturale autentica vive nelle relazioni interpersonali spontanee, nei canali dialogici, negli stili di vita, per la valorizzazione di una società ricca di differenze, di varietà e diversità in un mondo multirazziale e multilaterale, nell’insieme di valori che prevedono i diritti inalienabili e imprescindibili delle persone, sanciti dalle carte costituzionali democratiche, con una limitazione del potere politico, nella libertà della ricerca scientifica e della creazione artistica.

Il presupposto ed il fondamento della diversità culturale è la persona, in quanto singolarità irripetibile da cui si realizzano la famiglia, le comunità, le associazioni, le istituzioni e le relazioni umane.

La storia del potere è costituita da centralizzazione, uniformazione ed espansione burocratica, di centri unici di comando, nel confine e nel limite che disconoscono il valore della diversità, nella concezione di un’uniformazione e un’omogeneità costituita di politiche piramidali.

Occorre una pluralità di sovranità, in un'unione libera di persone e comunità che rispondano ai problemi della crisi del potere.

Le diversità risultano fondate sulla singolarità della persona in una cultura relazionale e istituzionale delle molteplicità, che distolga il concetto di periferia e di centro in nome di un radicale cambiamento, di un ampliamento policentrico.

L'uniformazione delle culture e dei popoli contrasterebbe l'evoluzione dell'umanità, mentre la differenziazione, la multilateralità, l'apertura al mondo, sono valori imprescindibili.

La relazione è amore delle complessità culturali opposte alla brutalità del totalitarismo politico, filosofico e scientifico, nel dramma del conflitto tra i dogmi totalitari e il pensiero della pluralità. Un ordine totalitario fondato sull'egemonia di un partito, di una classe, di una nazione, si alimenta con l'odio per le complessità, nell'unificazione forzata delle diversità, dei popoli, delle genti, delle minoranze.

Al totalitarismo noi opponiamo l'amore per le diversità, nella pace.

In ambito scolastico risulta necessario attivare percorsi di dialogo intergenerazionale e di memoria individuale e collettiva rispetto ai temi della differenza sociale, partendo dall'insegnamento dell'Olocausto, quale paradigma assoluto di un disegno predeterminato e sistematico di sterminio e di annientamento delle diversità all'interno del tessuto sociocomunitario, nella terribile e agghiacciante prospettiva di omologazione e annullamento delle differenze sociali.

L'insegnamento dell'Olocausto deve aumentare la conoscenza di questo sterminio senza precedenti, conservare il ricordo delle vittime e incoraggiare gli insegnanti e gli studenti a riflettere sulle questioni morali poste dagli eventi dell'Olocausto e sul loro valore per il mondo contemporaneo. Oltre agli ebrei, il sistema nazifascista ha schiavizzato e assassinato milioni di persone tra cui zingari, disabili fisici e mentali, polacchi, prigionieri di guerra sovietici, sindacalisti, avversari politici, obiettore di coscienza, omosessuali e ancora altre tipologie di persone diverse e colpevoli solo di esistere in quanto tali.

È importante trasmettere la conoscenza di tali eventi alle giovani generazioni partendo dal dialogo intergenerazionale e da percorsi di memoria individuale e collettiva a partire dalla conoscenza di sé e degli altri, dei propri compagni di classe, dei pari, degli insegnanti nell'ambito della comunità educante.

La differenza è uno dei principi della cultura postmoderna che insiste sulla diversificazione, sulla molteplicità e le complessità contro i rischi della pianificazione e dell'omologazione sociale. Attraverso il metodo dell’intervista, in ambito scolastico, si intende analizzare l'aspetto autobiografico, la personale storia di vita e di formazione in rapporto all'impegno culturale, sociale e politico.

L'analisi si sposta sulla comprensione delle nuove ed incombenti sfide dettate da una società e da un mondo sempre più globalizzanti, segnati da diversità multiculturali e dalla coesistenza di variegate culture e differenti modi di essere di pensare, fino a giungere al concetto di annientamento totale delle diversità, attraverso l'analisi di processi concentrazionari, con le pratiche di sterminio nell'Olocausto.

Dal racconto della propria storia di vita, delle proprie esperienze esistenziali, si possono evincere temi sostanziali dell'individuale personalità con la finalità di riconoscersi in un'identità che possa diventare sempre fonte di confronto con l'alterità, l'altro da sé e quindi con l'implicita diversità che l'identità altrui presenta.

Il concetto di diversità sollecita riflessioni e associazioni di idee varie e disparate, dal dibattito sulle opinioni e la democrazia, a quello più complesso e inerente ai contesti, agli scenari economici e sociali e alle persone.

Viene spontaneo pensare alle diversità di genere e generazionali, di nazionalità, lingua e religione, di capacità e competenze, di intelligenza e progettualità, tra chi è sempre più debole e chi è sempre più forte.

Tramite la raccolta di esperienze di vita e di concetti narrati da docenti e studenti, si è potuto analizzare il processo di conoscenza autobiografica, quindi di definizione di differenze nelle reciproche identità, per poi elaborare conclusioni in merito al concetto di differenza individuale, soggettiva e, per esteso, di varietà interetnica e multiculturale.

La conoscenza di sé, attraverso il percorso di autoriflessione, di autonarrazione, di racconto di sé, permette di identificare ed approfondire una propria personalità, in rapporto all'alterità e all'altruità di colui che si pone in dialogo.

Di conseguenza le molteplicità e le complessità interetniche, multiculturali si incontrano, si incrociano e si declinano trasversalmente e in maniera unitaria con le diversità psicologiche, identitarie, soggettive, intergenerazionali, di genere, in un pluriverso di alterità sociali, all'interno di un tessuto sociocomunitario che dovrebbe sempre più aprirsi all'accoglienza, al confronto, al dialogo, all'interscambio tra molteplici aspetti che permeano l'intera umanità e che non si possono classificare e attribuire esclusivamente al concetto di razza ed etnia, perché la differenza è ubiquitaria e trasversale al concetto stesso di umanità.

Ognuno di noi presenta una propria specificità e differisce da ogni altro soggetto nelle personali prerogative identitarie.

La considerazione ed il riconoscimento dell'altro da sé permettono il reciproco confronto e la gestione educativa del conflitto dove spesso l'intesa e l’accordo si presentano come una “bella utopia”.

Dal dialogo risulta possibile generare l'intesa, l'accordo, nel confronto tra identità che con l'analisi autobiografica possono assumere una maggiore consapevolezza valoriale, nel rispetto di sé e di conseguenza dell'altro.

L'analisi introspettiva e psicologica permette l'autoriconoscimento del soggetto che indaga sul proprio sé, rispetto alle proprie esperienze esistenziali, ai propri concetti fondamentali, alle visioni ideologiche della vita, dei contesti sociocomunitari e del mondo circostante.

La personale identità, l'interiorità individuale, si forma tramite le relazioni esterne, nel confronto reciproco tra persone, nell'interscambio dialogico, al fine di superare la solitudine e il disagio esistenziali.

La narrazione di sé all'altro implica accoglienza, accettazione, benevolenza, in un reciproco riconoscimento identitario, nella valorizzazione delle identità esterne e diverse rispetto alla propria personalità.

Attualmente risulta necessaria un'innovativa grammatica mentale per costruire la convivenza planetaria in dimensione interculturale.

Sono sempre stata motivata alla ricerca, alla divulgazione culturale per l'importanza del valore educativo, per la trasmissione di contenuti significativi alle giovani generazioni, seguendo i miei maestri, gli intellettuali, come il mio caro amico MONI OVADIA, sempre attivo civilmente, moralmente, politicamente, in strenue battaglie sociali di verità, giustizia e libertà, sul fronte del confronto solidale, del dibattito politico, contro ogni discriminazione, e intellettualmente impegnato in aiuto degli altri, dei diversi, degli emarginati, degli oppressi di tutti gli ultimi e dei più deboli di cui tutti siamo parte nel tessuto sociocomunitario e nel mondo…

Noi riteniamo che lo studio e la crescita culturale abbiano una validità morale ed educativa quando siano posti al servizio degli altri, per i principi sociali, etici e civili, per i diritti universali imprescindibili della persona, sanciti dalla carta costituzionale democratica.

Nel Sistema formativo inteso come ideale comunità educante, l’impegno culturale della testimonianza, del ricordo, della narrazione e del racconto, nel recupero e nella trasmissione del valore di Memoria Storica, individuale, collettiva e condivisa, è il filo rosso del significato di MEMORIA, per il presente e per il futuro, per non dimenticare.

Memoria degli eventi che hanno formato e segnato la coscienza di chi li ha vissuti e, dopo, di chi li ha conosciuti, con il dovere di ricordare...di fronte alla storia, di padre in figlio, di generazione in generazione, dalla resistenza partigiana, ai movimenti operai e studenteschi di lotta e rivendicazione di pari dignità e opportunità, fino alla nuova globalizzazione.

MEMORIA E MEMORIE come modalità interculturale e pedagogica, in ambito sociocomunitario, quale supporto valoriale alla riappropriazione del sentimento etico e civile diun’appartenenza identitaria universale, composta di molteplici alterità, ibridazioni e commistioni umane nella pluriappartenenza etnica al territorio, ai territori nella loro rivalorizzazione ambientale ed ecologica, anche a livello educativo, didattico, socioculturale e lavorativo.

MEMORIA E MEMORIE della città, nelle sue forme, nei suoi monumenti, nelle sue case…contro l’alienante espropriazione del soggetto-persona nella perdita di punti di riferimento e di ideali classici, soppiantati dall’imperante massificazione consumistica e dal mito capitalistico dell’ efficientismo sfrenato e del primato dell’economico, imposti dal sistema.

MEMORIA E MEMORIE di noi donne e uomini, delle nostre idee che si sviluppano nel tempo dell’esperienza, come risorsa interiore, soggettiva, esistenziale di intima festa emozionale, di incontri, dialoghi, rapporti, progetti, da ripartecipare e sperimentare, nella dimensione comunitaria, negli ambiti di intervento socioeducativo ed associazionistico di partecipazione militante e attivismo culturale nei vari settori occupazionali e lavorativi a livello territoriale. 

Lo studio e la cultura devono dunque motivare le giovani generazioni alla solidarietà, alla realizzazione di una società che abbia come valore fondante la pace e la convivenza civile tra popoli, genti e minoranze, nel rispetto dei diritti universali e sociali  di cittadinanza multietnica, cosmopolita e internazionale.

“La bella utopia” è un mondo dove non esistano patrie e nazioni, frontiere e burocrazie, limiti e confini, ma comunità educanti aperte all’accoglienza, al dialogo, al cambiamento rivoluzionario, al progresso costruttivo, senza stereotipi e pregiudizi, nel rispetto delle culture altre, nella coesistenza pacifica, che agevola il confronto tra diversità interculturali e differenze di genere ed intergenerazionali.

Coniugare la memoria storica consiste nella necessità della costruzione di una coscienza civile che ponga come obiettivo prioritario la conoscenza e la riflessione nelle comunità, nelle città, nel mondo…per un’utopia realizzabile, a partire da ogni singola persona, nel contesto quotidiano e nella partecipazione collettiva, pluralista e democratica.

Laura Tussi, Istituto Comprensivo Via Prati, Desio (Monza e Brianza) 

 

La Biblioteca Civica Comunale di Nova Milanese raccoglie le memorie dei lager

LA DIDATTICA DELLA STORIA.

Diamo un futuro alla memoria, per non dimenticare…

di Laura TUSSI

La Biblioteca Civica Popolare di Nova Milanese, in collaborazione con l’Amministrazione Comunale, si occupa, dagli anni’70, di un aspetto molto specifico di un segmento storico relativo alla Seconda Guerra Mondiale, che riguarda la deportazione, in particolare, per motivi politici. La biblioteca e l’ente comunale novesi costituiscono un autentico punto di riferimento valido e importante per le scuole del territorio locale e non solo, tramite informazioni bibliografiche, videotestimonianze, mostre itineranti tematiche e incontri pubblici con ex-deportati (tra cui “Sacerdoti nei lager”, “Donne nei lager”ecc…e mostre “Sterminio in Europa”, “Il Lager di Bolzano”, “La risiera di San Sabba”), alla luce del rinnovato interesse nei confronti della storia contemporanea, che l’ex Ministro della pubblica istruzione Berlinguer ha in passato prospettato, al fine di promuovere in ambito scolastico, per le giovani generazioni, l’opportunità di prendere coscienza degli orrori generati dall’intolleranza nei confronti delle diversità, che sfocia inesorabilmente nel conflitto.

Quando si parla di “lager” vengono in mente l’olocausto, la Shoah, l’antisemitismo, il razzismo ed è messo in ombra chi ha vissuto la tragica esperienza per motivi politici: scioperi contro il regime fascista, la militanza politica partigiana, e altro. In particolare la Biblioteca di Nova Milanese conduce dal 1996, in collaborazione con l’Archivio Storico della città di Bolzano, un importante progetto di realizzazione, reperimento, registrazione e catalogazione di videotestimonianze e interviste ai sopravvissuti italiani nei lager nazisti, montate in filmato e realizzate in numerose copie distribuite gratuitamente alle scuole, agli istituti e agli enti che ne fanno richiesta. Alla luce degli eventi storici attuali che si ripetono in diverse situazioni e condizioni, in seguito alla perdita di memoria storica che tocca i belligeranti, i popoli in guerra civile, in regimi dittatoriali repressivi nel mondo, tale iniziativa costituisce un punto di riferimento e di riflessione sul passato, al vaglio del presente, circa gli errori commessi, dove i conflitti armati non portano soluzioni e la perdita di memoria è causa dell’intolleranza cieca e del conflitto.

La biblioteca di Nova Milanese con il contributo dell’ANED, (Associazione Nazionale ex Deportati) e dell’ANPI (Associazione Nazionale ex Partigiani), in collaborazione con l’archivio storico di Bolzano e con le relative amministrazioni comunali, rispettivamente impegnate nei progetti dal titolo “Per non dimenticare…” e “Storia e memoria: il lager di Bolzano”, organizza ogni due anni una manifestazione intitolata “La memoria in rassegna”, che consiste nella raccolta e proiezione di videotestimonianze relative ai temi della Resistenza, Deportazione e Liberazione, dove trovano spazio testimonianze di molti protagonisti di avvenimenti resistenziali e dei pochi sopravvissuti ai lager nazisti, grazie a cui risulta possibile ricostruire quanto avvenuto nei campi di concentramento e sterminio.

“La memoria in rassegna”, manifestazione giunta alla terza edizione a livello internazionale, a cui partecipano enti pubblici (Regioni, Province e Comuni) scuole e associazioni che abbiano prodotto video attinenti alla tematica in oggetto, viene presentata sia a Nova Milanese che a Bolzano. Vengono redatte diverse edizioni del catalogo video in quattro lingue (Italiano, francese, inglese e tedesco) con tutte le informazioni utili per facilitare la consultazione e la ricerca. Attualmente l’Archivio Audiovisivo della Memoria conta 140 videocassette e rappresenta l’unica fonte in Italia legata al tema della deportazione politica: esiste un altro archivio a livello nazionale il Cedec (centro di documentazione sulla deportazione ebraica) relativo, appunto, esclusivamente alle questioni razziali.

Con tale rassegna si raggiungono altri obiettivi:

-         raccogliere produzioni difficilmente reperibili

-         valorizzare la storia del territorio, teatro degli eventi

-         stimolare la scuola ad attività di ricerca storica e ad una comunicazione particolare e specifica, tramite la pluralità di strumenti linguistico espressivi.

La Biblioteca Civica Popolare di Nova Milanese, oltre alle videotestimonianze della rassegna tratte dalle interviste ai sopravvissuti italiani dei lager nazisti, realizza altri video in occasione del viaggio-studio che annualmente viene intrapreso con alcune classi delle scuole medie statali novesi presso i campi di prigionia, in particolare a Ebensee, a Gusen, al castello di Hartheim (sottocampi di Mauthausen) e proprio a Mauthausen, dove la prima domenica di Maggio di ogni anno, si svolge una manifestazione internazionale per ricordare la liberazione dei lager nazisti, durante cui la biblioteca di Nova realizza un assiduo lavoro di documentazione e ricerca con i gruppi classe. In tale prospettiva, il “viaggio” assume una duplice valenza per gli studenti: conoscere, capire e ricordare gli avvenimenti storici in un’occasione importante, dove è loro possibile apprendere, “fare scuola” fuori dalle mura degli edifici, praticando un’alternativa tipologia di “scuola aperta”, all’interno di un contesto storico reale. La visita guidata (viaggio/studio) presso i campi di concentramento costituisce un’ulteriore verifica relativa alla ricerca e al recupero della memoria storica riguardante le deportazioni di motivo non solo razziale, ma anche politico, eventi ricollegabili al concetto di diversità e differenza culturale tra individui. L’altro risvolto dell’iniziativa, nell’ambito del discorso relativo alla divulgazione, che consiste nel portare a conoscenza i materiali raccolti in itinere, riguarda l’allestimento di mostre tematiche e l’organizzazione, in collaborazione con i docenti delle scuole medie ed elementari novesi e delle scuole medie superiori della Provincia di Milano (e anche della Regione Toscana, del Trentino, Sardegna e Piemonte) di interventi ed incontri, all’interno degli ambiti scolastici, con alcuni sopravvissuti ex deportati. Parallelamente, in collaborazione con i docenti, la Biblioteca costruisce un percorso educativo e didattico dal titolo "Conoscere e comunicare i lager" che viene proposto agli studenti per approfondire la conoscenza relativa al fenomeno concentrazionario.

Questo immane lavoro di recupero e divulgazione ha ottenuto riconoscimenti a livello nazionale e internazionale. Infatti “La memoria in Rassegna” si svolge sotto l’alto patronato del Presidente della Repubblica Italiana, con i patrocini della Rappresentanza Italiana della Commissione Europea, del Presidente del Senato della Repubblica, del Presidente della Camera, del Ministero della Pubblica Istruzione, del Ministero dei beni e attività culturali, del Presidente della Regione Lombardia, del Presidente della Provincia di Milano e dell’Istituto Ernesto De Martino.

In seguito alle collaborazioni con la RAI di Milano e di Bolzano, nell’ambito di due programmi educativo-didattici, legati al mondo della scuola (Pico e Mosaico), attualmente, con la sede centrale di Roma di RAI Educational, l’amministrazione di Nova e l’Ente comunale di Bolzano hanno sottoscritto un accordo con cui la RAI si è impegnata ad acquisire 50 videotestimonianze realizzate dalla Biblioteca, a cui seguiranno la messa in onda e ulteriori sviluppi. Da questa immane attività si sviluppa l’intento di recupero di una memoria storica importante che difficilmente traspare dai manuali storici scolastici e specialistici inerenti la Deportazione. Dalle videotestimonianze si risale, rievocando e rimembrando (ricostruendo gli eventi) attraverso il ricordo, alle vicende, ai luoghi e ai motivi di arresto.

Dall’8 Settembre 1943 al 1945, prima del 25 Aprile, sono state deportate dall’Italia, secondo dati purtroppo incerti, non verificabili per l’assenza di un preciso ed attendibile censimento, circa 40.000 persone tra bambini, donne e uomini, di cui circa solo 10.000 sono stati deportati per motivi razziali (in base ai dati della ricercatrice del Cedec di Milano Picciotto Fargion che appaiono nella pubblicazione dal titolo “Il Libro della Memoria”). Dunque, una rilevante rimanenza (30.000 prigionieri) catturata per motivi politici, dove nel “politico” rientrano diverse categorie di persone, antifascisti, partigiani armati, o partecipanti a scioperi, dissidenti rispetto al sistema vigente, ostaggi e persone catturate durante un rastrellamento che anche attualmente non conoscono le motivazioni dell’arresto. Dai racconti si evince un discorso di connivenza e collaborazionismo della Guardia Nazionale Repubblichina con il nazifascismo (aspetti ricavabili da fonti primarie).

Quindi dalle testimonianze si ricavano diversi elementi utili al fine della ricostruzione storica, come tutta quella gamma di sentimenti e stati d’animo collegati alla separazione dal proprio territorio, dal nucleo famigliare, dalla cerchia dei compagni, si risale al “transport” in carri merci dove i deportati erano stipati e condotti a Fossoli, a Bolzano e nei lager d’oltralpe, come Dachau, Flossenburg, Ravensbruck, Mauthausen e, da questi campi principali, nei sottocampi come Gusen 1, Gusen 2, Ebensee, dove soprattutto i deportati morivano attraverso una condizione esistenziale precaria e di stenti, apparentemente privilegiata a detta degli aguzzini, che nell’etica comune, secondo la normale scala di valori umana attribuisce dignità all’individuo: l’etica del lavoro, che, al contrario, in quel contesto diventava schiavismo, i cui ritmi, per le condizioni precarie, la mancanza d’igiene, la scarsissima alimentazione e le vessazioni a cui erano sottoposti i prigionieri, portava alla inesorabile morte per stenti.

Il 5 Maggio del 1945, con la liberazione di Mauthausen, gli italiani reduci ammontavano a 4500 unità circa.

Dalle testimonianze si evince la mappatura dei sottocampi, le tipologie di lavoro, i nomi delle ditte che commissionavano il lavoro, il tipo di produzione, prevalentemente a carattere bellico, i percorsi di sopravvivenza (in che modo i testimoni sono riusciti a salvarsi).

Da un censimento della Gazzetta Ufficiale tedesca risulta che più di 1600 erano i campi di sterminio installati in Europa. In Italia i campi nazifascisti  erano quelli di Fossoli, di Bolzano, la Risiera di San Sabba a Trieste e Borgo San Dalmazzo a Cuneo. Il fenomeno concentrazionario è considerato uno dei punti di rottura, di crisi nella storia dell’umanità: dopo “il Lager” l’evoluzione, la storia dell’uomo è cambiata, per il fantasma di una prospettiva storica di regressione degradante.

Gli Italiani sono stati gli ultimi a rientrare in patria, anche con mezzi di fortuna, dopo mesi di attesa estenuante nei lager. Da tale situazione si ricava una forte denuncia nei confronti delle istituzioni sociali e politiche del tempo, eccetto l’Opera Pontificia che ha organizzato la fase difficoltosa del rientro in patria, la quale presentava il rilevante problema, il dramma dell’accoglienza, della re-integrazione nel Paese d’origine e il reinserimento nella società (ricostruirsi una famiglia, ritrovare il lavoro…), dove risultava molto carente anche l’assistenza sanitaria (soprattutto per la riabilitazione da malattie infettive e dell’apparato respiratorio). Lo Stato Italiano ha riconosciuto un vitalizio, per giunta scarso, esiguo, agli ex deportati solo negli anni ’80.

L’ANED ha coniato un motto “diamo un futuro alla memoria” attraverso un percorso di responsabilizzazione e di trasmissione della conoscenza rivolto ai giovani. Attualmente dei quattro campi nazisti installati in Italia (a Fossoli, Bolzano, Trieste, Cuneo) è rimasto ben poco: solo lapidi, baracche manomesse e fatiscenti, muri di recinzione, brandelli di binari costituiscono i reperti superstiti, sopravvissuti all’incuria, al degrado del tempo…ed oltre a tale condizione degradata dell’esistente, il relativo abuso della speculazione edilizia. Non esiste responsabilità per la conservazione e la valorizzazione del bene storico, del reperto testimoniante il passato, l’accaduto. I sopravvissuti sono ormai anziani e molti non hanno mai confidato ad altri la propria esperienza, anche perché dopo il ‘45, pochi credevano agli eventi accaduti prima della liberazione.

I testimoni vanno scomparendo ed i segni del passato non risultano sufficientemente tutelati: occorre recuperare la memoria storica, per ricostruire il rapporto tra gli eventi, per dare voce alla storia. “I segni del tempo” all’interno di un percorso didattico possono fornire alle scuole una serie di elementi storici al fine di conoscere e valorizzare il territorio in cui vivono, da cui recuperare le testimonianze del passato, per riconoscersi in esso ed identificarvisi.

L’IRRE potrebbe proporre agli insegnanti una serie di momenti di formazione finalizzati alla realizzazione di unità didattiche entro un’ampia scansione, toccando i seguenti punti e argomenti:

n     l’uso didattico delle fonti orali nelle scuole (dove il testimone è fonte diretta)

n     cultura materiale (come visitare dal punto di vista educativo e didattico uno spazio lager, come è organizzato, finalità della collocazione geografica ecc…)

n     la didattica museale (nelle nuove architetture, sorte sul preesistente, si riscontra la presenza di musei relativi alla deportazione)

n     progetto per costruire un percorso di visita guidata.

n     Progetto per l’elaborazione di percorsi urbani, in ambito territoriale locale (territori cittadini) finalizzati al riconoscimento, all’individuazione dei segni del tempo, della storia, per analizzare e interpretare i luoghi di dedicazione, la toponomastica, testimonianti un passato gravido di significati, contenuti e valori necessari per vivere ed apprezzare l’attualità della democrazia.

La vita dei partigiani e di tutti i deportati nei lager è stata resa sacra, “sacrificata” per ideali di libertà, di uguaglianza, per realizzare la possibilità di vivere in uno stato in cui i diritti inviolabili della persona non vengano calpestati dall’istituzione, dal regime dittatoriale che si pone come giudice censore della libera opinione dell’“altro”, del pensiero dell’individuo.

L’ANED sottolinea che il richiamo all’antifascismo di tali iniziative non presenta nulla di retorico. Tale richiamo, “…per non dimenticare”, cesserà di costituire un’esigenza politica primaria solo quando tutte le forze politiche daranno prova di convenire sull’attuazione di un’unica e vera concezione della democrazia, priva di subdole pretese revisioniste e, addirittura, negazioniste. Il mondo contemporaneo, in cui si moltiplicano i focolai del conflitto, dimostra un’assoluta esigenza di movimenti antifascisti, motivo di disapprovazione contro guerre e varie forme di discriminazione razziale, politica e religiosa.

Laura Tussi

[1] Cfr Maldonato M., La diversità culturale come patrimonio e paradigma dell’umanità.

[2] Arendt H., Le origini del totalitarismo, 1951



Venerdì 15 Luglio,2011 Ore: 13:52
 
 
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