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www.ildialogo.org Sulle attuali risse tra economisti,di Gianni Mula

Sulle attuali risse tra economisti

di Gianni Mula

Fa bene Barbara Spinelli (Repubblica 12) a ricordare che sono stati i comitati d’affari che, fidando per trent’anni nelle virtù riequilibratrici dei mercati, hanno causato la crisi del 2007-2008, dalla quale ancora non riusciamo a uscire. Ma anche questa maniera di far memoria può essere considerata, al di là di ogni buona intenzione, un esempio di furto di informazione. Infatti asserire come cosa ovvia che alcuni fidavano nelle virtù riequilibratrici dei mercati significa non solo dar loro un’immotivata patente di buona fede, ma far passare in second’ordine gli enormi guadagni che quei comitati hanno realizzato in questi ultimi trent’anni.

Non si tratta di dare un giudizio morale, ma del fatto oggettivo che negli ultimi trent’anni c’è stato un aumento di circa lo 0,8% l’anno del reddito totale disponibile che è finito in gran parte parte al 10% più ricco. Infatti, come documenta Mario Pianta, ordinario di economia politica a Urbino, in un recente libro (Nove su dieci, Laterza 2012, pag. 72 e seg.), in questo periodo il reddito medio annuo pro capite degli italiani in età lavorativa è cresciuto, in termini reali, di 3400 euro (da 16000 a metà anni 80 a 19400 nel 2008), ma quello del 10% più ricco è cresciuto di 11000 euro (da 38300 a 49300), mentre quello del 10% più povero è cresciuto di soli 200 euro (da 4700 a 4900) euro.

C’è quindi un trasferimento netto di ricchezza (dell’ordine di una trentina di miliardi di euro all’anno) dal 90% degli italiani in età lavorativa al 10% più ricco. Con un costo medio annuo della vita dell’ordine di 14000 euro è evidente che politiche fiscali che aumentano l’IVA e la benzina, che tagliano le pensioni al minimo ed escludono tasse patrimoniali, non fanno altro che spostare dai più ricchi ai più poveri il carico dei sacrifici necessari per superare la crisi.

Il vero furto d’informazione sta nel fatto che questi spostamenti vengono presentati come dovuti ai "mercati", cioè a ineluttabili leggi economiche inscritte nella natura umana. È invece non solo noto e incontrovertibile che esistono dottrine economiche alternative ma anche che è tramite esse che, meno di un secolo fa, si è usciti dalla grande depressione economica del 1929. Il fatto poi che, come documenta l’amico Gianfranco Macciotta nel post precedente, il furto d’informazione nella nostra società non si limita ai temi economici ma è ormai endemico dimostra che siamo in presenza di un condizionamento che minaccia gravemente la vita democratica.

Senza un'informazione libera, infatti, non ha infatti senso parlare di libere elezioni. La disponibilità di superiori risorse economiche consente di fatto di realizzare autentici colpi di stato per via perfettamente rispettosa della lettera delle leggi. Perfino negli Stati Uniti, tradizionalmente molto più attenti dei paesi europei ad evitare che conflitti di interesse limitino le fondamentali libertà democratiche, assistiamo proprio in queste settimane a una campagna elettorale presidenziale nella quale la grande stampa dà per scontato che la molto maggiore quantità di donazioni a favore del candidato repubblicano possa influenzare il risultato in maniera decisiva. Come dire che si è giunti al punto di non batter ciglio all’idea che i ricchi di un paese, se solo si mettessero d’accordo su un candidato presidente, potrebbero riuscire facilmente a farlo eleggere, proprio per il fatto di essere ricchi, a dispetto del loro essere largamente minoritari.

È la disuguaglianza economica la chiave per capire dove sorgono i problemi. Come dice il premio Nobel per l’economia Paul Krugman (New York Times 3 novembre 2011) ogni volta che questo tema conquista la luce dei riflettori appaiono personaggi su cui si può contare perché lo rispediscano nell’ombra. Centri di studio pubblicano rapporti che sostengono che la disuguaglianza sembra che cresca ma non è vero. Opinionisti di fama sostengono invece che non si tratta di pochi ricchi che rubano a tutti gli altri ma che si tratta di merito contro demerito. Tutta aria fritta con cui si cerca di nascondere che sempre più denaro si concentra nelle mani di un sempre minor numero di ricchi e che questo fatto mina gravemente la democrazia.

Krugman parlava degli Stati Uniti ma abbiamo appena visto che lo stesso discorso può essere riproposto negli stessi termini per l’Italia. L’appello contro il furto di informazione, pur avendo il grande merito di aver sollevato il problema, non centra completamente il bersaglio perché sembra ridurre il problema a una questione di scontro fra dottrine economiche, anziché di scontro sociale dovuto alla crescente ineguaglianza economica. Solo questa seconda motivazione può infatti spiegare il totale silenzio sull’appello che è stato tenuto da tutti i grandi mezzi di informazione, sia di maggioranza che di opposizione.

Disturba particolarmente il silenzio tenuto dal Fatto Quotidiano perché, dopo che Repubblica, senza neanche un minimo di perplessità, si è iscritta al partito del Presidente della Repubblica, era rimasto l’unico quotidiano a larga diffusione sul quale si potesse far conto per un minimo di informazione decente. Ma già l’anno scorso, con la mancata risposta alla pubblica domanda rivolta alla direzione da Valerio Gigante di Adista, di Giovanni Sarubbi del sito il dialogo.org e da me (sul perché pubblicasse articoli di un economista come Michele Boldrin senza qualificarlo come ultraliberista) la cristallinità dell’unico quotidiano italiano che non riceve finanziamenti pubblici si era appannata. Ci rimaneva la speranza che la mancata risposta fosse dovuta all’insufficiente autorevolezza dei firmatari (a giudizio insindacabile della direzione) e non a qualche altra ragione più oscura.

Ma ora la situazione si è fatta decisamente più chiara. Se pubblicare articoli di Boldrin poteva essere spiegato con la volontà di presentare un ventaglio di opinioni il più possibile ampio (e Boldrin sulle sue ha almeno il merito di metterci la faccia) pubblicare articoli di Superbonus, che cela la sua identità, evidenzia la scelta di campo di schierarsi, come dice Paul Krugman, dalla parte degli intorbidatori del dibattito. È vero che Il Fatto pubblica ad esempio articoli di Luciano Gallino, il più noto dei firmatari dell’appello contro il furto di informazione, e ospita blogger su posizioni antitetiche come Piergiorgio Gawronski e Fabio Scacciavillani, ma tutto sembra proprio rientrare in una sofisticata strategia di intorbidamento rivolta al lettore medio.

Qualche precisazione è forse necessaria, visto come il Fatto ha reagito all’accusa, fatta recentemente da Luigi Manconi sull’Unità, di essere un quotidiano che lavora per la destra. Non c’è dubbio che vedere l’Unità accusare Il Fatto di essere di destra fa pensare al bue che dice cornuto all’asino. E non è che la linearità politica di Manconi sia qualcosa fuori discussione. Ma rimane il fatto che alcuni argomenti usati da Manconi erano validi e avrebbero meritato un confronto più pacato e approfondito.

In maniera analoga è vero che l’accusa di intorbidare l'informazione economica in altri tempi si sarebbe detta da lavare col sangue, per cui mi affretto a precisare, anche perché lo penso veramente, che è fuori discussione l’onorabilità personale e politica di Padellaro e Travaglio, (oltretutto quello che si sa sulla loro vita privata è compatibile con le loro opinioni pubbliche). Ma come si può giustificare, se non con l’obiettivo di confondere le idee del solito lettore medio, il pezzo di Superbonus del 15 settembre? Superbonus scrive: “Con la decisione del presidente Ben Bernanke – l’annuncio di acquisto di debito per 40 miliardi al mese – la Federal Reserve si è sostituita al Congresso e ha scelto di stampare denaro all’infinito (riducendo il valore reale del debito e sperando che l’economia riparta prima dell’inflazione) giustificando questa scelta con l’eccessiva e perdurante disoccupazione”. Superbonus dice esplicitamente che si sarebbe dovuta invece “imboccare una strada di estrema austerità per molti anni a venire” e che è stata scelta la strada dell’inflazione per motivi “populistici e pre-elettorali per coprire un ragionamento ben più cinico che porterà a una svalutazione del dollaro, una diminuzione delle importazioni e un aumento del tasso di inflazione”.

In altri termini dice che una politica di estrema austerità per molti anni (con tutte le note conseguenze disastrose in termini di occupazione) sarebbe di gran lunga meno cinica di una politica di svalutazione pilotata del dollaro orientata a ridurre la disoccupazione, ovviamente negli Stati Uniti. Mah, a me sembra “ben più cinico” aumentare le diseguaglianze economiche pur di non toccare i dogmi di un’economia liberista.

Neanche i consiglieri economici di Mitt Romney, l'attuale candidato repubblicano alla presidenza degli Stati Uniti, si spingono così avanti nella critica alla decisione di Bernanke, e infatti il più autorevole tra di essi, l’economista di Harvard George Mankiw, se ne guarda bene, anche perché nel 2004 consigliò a George W. Bush, per superare un periodo di recessione molto meno grave di quello attuale, di spingere la Federal Reserve verso una politica molto più aggressiva di quella adottata da Bernanke.

L'acredine di questi toni, che rivela un forte coinvolgimento personale, mi ha spinto a cercare su internet qualche informazione su Superbonus. Grazie a Google si scopre facilmente che Superbonus è Mario Blejer, economista argentino di nascita ma con studi in Israele e carriera professionale presso il Fondo Monetario Internazionale e la Banca Mondiale. All’inizio del 2002, quando l’economia argentina attraversava una crisi finanziaria gravissima, Blejer fu nominato governatore della banca centrale argentina (il quotidiano israeliano Haaretz scrisse il 22 gennaio 2002 che Blejer era l’uomo dell’FMI a Buenos Aires). Blejer cessò dall’incarico dopo solo sei mesi senza risolvere alcunché. Da allora l’Argentina ha rifiutato di obbedire alle indicazioni del FMI e nel 2010, dopo sette anni di crescita economica ininterrotta, ha rivendicato (comunicato Reuter del 24 aprile) quel rifiuto come la scelta fondamentale che le permise l’uscita dalla crisi e la lunga ripresa economica. Conoscendo questi fatti a qualcuno può venire l’idea che prestare ascolto alle opinioni di Blejer sul come gestire la crisi dell’euro sia come chiedere alle guardie come si fa a scappare dal carcere nel quale si è tenuti. Anche qui non ho alcuna pretesa di essere infallibile ma solo quella di non essere preso per i fondelli. Se Il Fatto ha motivi presentabili per pubblicare le opinioni di un banchiere internazionale con alle spalle una storia professionale come quella di Blejer, per di più tenendo nascosta al lettore medio la sua identità, mi piacerebbe saperli. Tutto qui.




Sabato 22 Settembre,2012 Ore: 20:35
 
 
Commenti

Gli ultimi messaggi sono posti alla fine

Autore Città Giorno Ora
Guido Pegna Monserrato (Ca) 23/9/2012 14.27
Titolo:E allora?
Condivido completamente. Essendo sconsolatamente consapevole di questa situazione da tempo non leggo più ne’ quotidiani ne’ settimanali. Nel tentativo di capire le cose del mondo e il loro senso mi sono “ritirato” a leggere Borges (occorre conoscere anche quella parte), Soriano, Alvaro Mutis, Vitaliano Brancati, Sciascia, Lussu, e poi Gadda, Bianciardi e di tanto in tanto anche il buon Manzoni.
Autore Città Giorno Ora
Gianni Mula Cagliari 24/9/2012 10.38
Titolo:Quello presente non è l'unico mondo possibile
Caro Guido, la tua reazione è comprensibile e pienamente giustificata dal mondo in cui attualmente viviamo. Ma questo mondo non è l’unico possibile, e quello che tutti siamo chiamati a fare è renderlo diverso e migliore, ciascuno per quello che può fare. Non sto facendo un appello moralistico ad essere più buoni, ma cerco di invitare chi mi legge a rendersi conto che in una società completamente globalizzata non esistono nicchie nelle quali nascondersi ignorando il resto del mondo. Perché quello che succede nel resto del mondo, che lo vogliamo o no, ci riguarda da vicino anche se avviene lontano e anche se riguarda solo persone che non conosciamo.
Grandi del nostro tempo come Ernesto Balducci e Carlo Freccero, ciascuno dal suo punto di vista, di credente impegnato nella testimonianza della propria fede il primo, di laico disincantato ma coerente il secondo, ci esortano, come ho raccontato nel mio post originale sul furto d’informazione, a non aver paura di cercare l’impossibile, cioè a non rassegnarsi alla scomparsa, nella nostra società industriale avanzata e competitiva, di rapporti umani autentici, cioè non soffocati e uccisi dalla convinzione che l’interesse personale è la sola cosa che conta.
E allora quello che possiamo fare è testimoniare tutti, ciascuno nella maniera a lui più congeniale, che la visione del mondo di Balducci e Freccero è anche la nostra. La tua maniera, quella di ritirarti a leggere Borges e gli altri autori che ami, va benissimo, purché non sia vissuta come una rinuncia all’azione e alla testimonianza: la tua azione è contribuire a preservare i valori della cultura non astrattamente, con le solite roboanti e vuote parole della retorica ufficiale, ma concretamente, testimoniando nei fatti che le parole di quegli autori aiutano davvero a vivere e a superare momenti difficili come quello che attraversiamo.
Tornerò presto sull’argomento.

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