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www.ildialogo.org Maria Stella, i neutrini e la scienza,di Gianni Mula

Maria Stella, i neutrini e la scienza

di Gianni Mula

Gianni MulaCredo proprio che Albert Einstein debba qualche ringraziamento a Maria Stella Gelmini, l’italiana arrivata ad esser ministro dell’istruzione attraverso un tunnel ignoto ai più ma certamente non a lei, per avergli risparmiato almeno una parte dell’insopportabile cicaleccio che si è creato, sulla rete e sulla stampa, a causa di un risultato apparentemente anomalo dell’esperimento Opera al Gran Sasso. Sin dalle prime ore dopo l’annuncio si è scatenato infatti un vero e proprio tsunami mediatico che preannunciava lo sconvolgimento che si sarebbe verificato nella fisica teorica, e in particolare attorno alle teorie e alla figura di Einstein, a causa del fatto che i neutrini sembrano viaggiare tra il CERN e il Gran Sasso a una velocità un pochino superiore a quella della luce.

Secondo i media questo fatto, se confermato, avrebbe implicato il crollo della teoria della relatività, la detronizzazione di Einstein dal suo piedistallo di massimo fisico di tutti i tempi, e un’infinità di simili balle spaziali. Se questo tsunami non è riuscito a creare danni permanenti alle capacità intellettive dei non addetti ai lavori, nonostante la disponibilità di tanti a contribuirvi, è almeno in parte dovuto all’eccezionale creatività del Ministro Gelmini e del suo portavoce: neanche Crozza sarebbe da solo riuscito a divertire tanto.

Naturalmente l’allarme creato dai media era senza il minimo fondamento. Anzitutto per il carattere veramente minimo della differenza di velocità, circa 0,00002%. È vero che si tratta di una questione di principio, che quello che conta è il segno della differenza, ma per una differenza percentuale così piccola può essere trovata un’infinità di spiegazioni plausibili senza rottamare per forza una teoria che funziona. L’argomento può sembrare debole, ma solo nei libri di (cattiva) filosofia della scienza succede che le teorie scientifiche vengano falsificate perché in un unico caso è dimostrato (ammesso e non concesso) che non funzionano. La scienza reale è tutt’altra cosa.

Entrando nel merito di come, nella scienza reale, nascono le nuove teorie, è necessario precisare che un complesso di fenomeni spiegato in dettaglio da una teoria continuerà a poter essere spiegato dalla stessa teoria anche quando questa fosse dimostrata non valida per nuovi campi di indagine. Una teoria di successo è infatti sia un insieme di principi e di equazioni che un sistema organizzato di inferenze verificato empiricamente. L’insieme di principi e di equazioni può essere senza alcun problema sostituito da un altro ritenuto migliore, ma il sistema empirico di inferenze rimane sempre valido perché, in fondo, come ebbe a esprimersi una volta Einstein a proposito della meccanica quantistica, noi crediamo che Dio non giochi a dadi.

Per questa ragione la meccanica newtoniana continua ad essere valida (come sistema di inferenze, sempre valido nel proprio ambito) anche dopo la scoperta dei fenomeni quantistici, e l’elettromagnetismo classico continua similmente ad essere valido anche dopo la scoperta della meccanica quantistica. Nel caso di Opera questo significa che la teoria della relatività, in tutti i campi consolidati nei quali è attualmente la teoria di riferimento, continuerà ad essere usata e a funzionare anche nel caso che il risultato anomalo fosse confermato.

Questo non implica, tuttavia, che le ricerche di Opera non siano parte importante della fisica teorica contemporanea. Significa però collocarne le ambizioni nel quadro, non certo brillante, dell’attuale sistemazione teorica della fisica delle alte energie, e quindi situarle in una prospettiva che permetta di valutare l’importanza relativa di nuovi risultati. A questo proposito si deve ricordare che le ricerche che hanno ricevuto quest’anno il premio Nobel per la fisica sono quelle che hanno permesso di scoprire, poco più di dieci anni fa, che, contrariamente a quanto si credeva, l’universo accelera, e non rallenta, la sua espansione. Questa scoperta crea tuttora gravi problemi di principio, come il fatto che non si riesce a spiegare l’origine di ben tre quarti dell’energia dell’universo, oppure che potrebbe essere necessario reintrodurre la costante cosmologica nelle equazioni della relatività generale (era stato Einstein a introdurla, salvo poi pentirsene dicendo che prevederla era stato “il più grande errore della sua vita”). In questa situazione, della quale il minimo che si può dire è che è poco chiara, l’importanza relativa di un’eventuale conferma del risultato dell’esperimento di Opera non può che essere trascurabile.

Ma l’aspetto forse più insopportabile del cicaleccio mediatico sul risultato anomalo di Opera erano i riferimenti rituali al metodo scientifico. Ad esempio (Repubblica, 8 ottobre): "Qualunque cosa succeda stiamo osservando il metodo scientifico in azione. Aspettiamoci per molto tempo ancora una decina di articoli scientifici al giorno. E tanta confusione. Ma nel lungo periodo non ci sono dubbi, saranno i risultati degli esperimenti a darci la risposta giusta". Ma queste dichiarazioni corrispondono a un’idea sostanzialmente infalsificabile di metodo scientifico, per dirla con Popper. In fondo il loro carattere quasi apotropaico esprime una fede nell’unicità del metodo scientifico del tutto analoga alla fede ingenua espressa da frasi come “Dio non paga il sabato”. Nulla di male, naturalmente, ad avere una fede, ingenua o sofisticata che sia, nell’unico metodo scientifico o nell’unico vero Dio. Basta non pretendere che a questa fede venga tributato un assenso razionale da parte di chi non crede.

Si dirà che le vecchie teorie sono semplicemente approssimazioni più o meno buone delle nuove, ma questo punto di vista presuppone che ci sia una teoria vera della quale le altre teorie siano semplici approssimazioni. Questo presupposto, che ha peraltro utilmente ispirato la ricerca fisica sino a buona parte del ventesimo secolo, oggi non è più attuale.

Non è più attuale perché, in un tempo nel quale con i metodi della fisica teorica è diventato possibile studiare le scienze politiche e quelle sociali (per non parlare dell’economia e delle scienze biomediche), non è più sostenibile seriamente la tesi che ci sia un unico metodo scientifico valido per tutti i campi. Non esiste un sistema elettorale migliore degli altri, o un sistema pensionistico o di welfare preferibile in assoluto. Quello che la scienza può fare è solo dire che se si sceglie un certo punto di vista ne derivano certe conseguenze, ma non esistono punti di vista superiori o assolutamente neutrali.

 Esistono invece tanti metodi quante sono le aree scientifiche caratterizzate da prassi condivise. Nessuna di queste prassi, tuttavia, può porsi come garanzia assoluta di validità predittiva rispetto a grandezze non ancora misurate, ma solo come l'espressione di un accordo tra gli addetti ai lavori, sempre provvisorio anche quando unanime, sulle metodologie e sui presupposti che sono alla base di risultati affidabili. Ogni estrapolazione al di fuori di questo accordo, che sia anche un’estrapolazione al di fuori del sistema associato di inferenze empiricamente verificato, è equivalente a un atto di fede, o se si preferisce a una scommessa sulle cui possibilità di successo si possono fare ipotesi razionali, ma la cui probabilità è comunque inferiore a uno.

Si badi sempre, e non sarà mai sottolineato a sufficienza, che mettersi in grado di valutare l’importanza relativa di una serie di fatti scientifici non è la stessa cosa che farne una gerarchizzazione assoluta, che presupporrebbe, appunto, quell’unico metodo scientifico che oggi non è più proponibile. Se un tal metodo ci fosse, allora si avrebbero gli elementi per formalizzare le gerarchie tra i vari saperi specializzati, ma non c’è, e, in un tempo nel quale la fisica ha iniziato ad occuparsi di economia, biofisica e scienze sociali, a me pare un gran bene che non ci sia.

Perché la scienza non è un insieme di regole universali il cui rispetto garantirebbe da solo l’ottenimento della verità, ma è invece l’insieme delle conoscenze che abbiamo acquisito nella storia, non importa se sulla base di punti di vista ancora attuali o ormai superati. È l'insieme delle realizzazioni tecnologiche e delle esperienze di vita che hanno accompagnato l’evoluzione delle civiltà. Al cuore della scienza non stanno regole inevitabilmente morte nel momento stesso nel quale sono fissate, ma comunità di scienziati caratterizzate dalla costante apertura verso contributi esterni e dalla sistematica disponibilità al riesame pubblico e critico di ogni acquisizione. È proprio per difendere questa concezione della scienza come comunità critica e aperta che è necessario abbandonare l’ormai ossessivo vincolo di un unico metodo scientifico di validità universale. Perché mantenerlo farebbe diventare gli scienziati una sorta di sacerdoti depositari dell'unico vero, attori di un processo di sacralizzazione e imbalsamazione della scienza che la trasformerebbe in una sorta di religione laica, chiusa in rituali autoreferenziali, senza più senso e quindi senza più vero.

Gianni Mula



Marted́ 01 Novembre,2011 Ore: 14:36
 
 
Commenti

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Autore Città Giorno Ora
Gianluigi Marredda Cagliari 01/11/2011 20.33
Titolo:commento articolo Gianni Mula
questo articolo esprime magistralmente concetti acquisiti da molti uomini di scienza che spesso, per un errato senso del "politically correct", preferiscono non esprimerle. Complimenti all'autore.

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