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www.ildialogo.org Racconti di caccia,di Sergio Grande

Satira
Racconti di caccia

di Sergio Grande

Questa storia mi è stata raccontata da un amico che aveva, ahimè, la passione per la caccia. Lui, che ora è nel mondo dei giusti, diceva che non amava fare strage di uccelletti innocenti. Sparava, diceva, ma giusto per sentire il rumore del fucile e vedere gli uccelli volare via spauriti.

Non so se sia vera oppure no. Lui la raccontava per vera e faceva anche i nomi e cognomi di amici suoi cacciatori che io non conoscevo e che secondo lui erano stati i protagonisti di quella che oramai assumeva i connotati di un fatto mitico. Un fatto che si può raccontare attorno ad un fuoco di bivacco, su in alta montagna, bevendo magari un bicchiere di vino prima di mettersi a dormire sotto ad una tenda. Ma ecco la storia.

Un gruppo di amici cacciatori, sei diceva il mio amico, era solito andare sempre nello stesso posto. Di prima mattina fermavano l'auto ai margini di un paese di montagna in provincia di Avellino e poi a piedi si inerpicavano sulla montagna verso una ben determinata radura che loro conoscevano bene. Ci volevano molte ore di camminata che i nostri amici passavano cacciando, o almeno, sparando un colpo ogni tanto. In quella radura c'era una vecchia casa di campagna abitata da un anziana donna che era solito dare ospitalità ai cacciatori che andavano da quelle parti proprio sapendo che lei era li ad aspettarli.

Di solito i cacciatori arrivavano sul tardo pomeriggio. Erano stanchi e sempre affamati per la lunga camminata. I cani al loro seguito lo erano altrettanto, soprattutto se i loro padroni non avevano ricavato nulla dalla loro battuta di caccia. Si sa i cani da caccia soffrono molto quando loro scovano le prede che poi i loro padroni umani non riescono a colpire nonostante i cannoni di cui dispongono. Certo per strada si erano fermati a mangiare un boccone che si erano portati dietro. Ma la camminata in montagna mette fame e la vecchia signora lo sapeva.

Al sentire l'abbaiare dei cani la vecchia si affacciava sul cortile della casa e accoglieva i cacciatori.

  • Buona sera, ben arrivati, siete stanchi? - diceva sapendo che la risposta era scontata.

  • Si siamo stanchissimi – ripetevano invariabilmente i suoi ospiti.

Anche quella sera andò così. I cacciatori diedero da mangiare e bere ai loro cani sistemandoli in un grande recinto che la vecchia signora aveva approntato dietro la sua casa proprio per tale evenienza.

  • Ci puoi preparare qualcosa da mangiare? - era la domanda retorica che veniva a quel punto fatta.

  • Certo – era la risposta – ora vi preparo un po' di pasta fresca fatta in casa. Ho un sugo di lepre che ho fatto proprio poco fa che vi delizierà. Andate a sistemarvi nelle camere mentre io preparo.

Era come un rito. Lo avevano fatto tantissime volte e i cacciatori, non più giovincelli, già gustavano le pappardelle al sugo di lepre che altre volte avevano mangiato.

Ma quella sera c'era qualcosa di strano. Uno dei sei cacciatori scese prima dalla stanza. Voleva verificare se il suo cane stava bene perché lo aveva visto un po' abbacchiato. E si sa i cani per un cacciatore sono come dei veri e propri figli.

Scendendo al piano terra passò davanti alla cucina e vide la vecchia intenta ad impastare farina. Ma quello che vide non gli piacque affatto. La vecchia quella sera era raffreddata e il naso gli colava. Ed il cacciatore vide distintamente che le gocce di muco colavano dal naso della vecchia direttamente nella farina che essa stava impastando. Forse non se ne accorgeva neppure. Si sa i vecchi hanno altre idee della pulizia, soprattutto in campagna dove mica ci si lava le mani ad ogni minuto.

Il cacciatore a quella vista provò disgusto. Era la prima volta che gli capitava. Anche lui non era affatto schizzinoso, anzi. Aveva mangiato in condizioni igieniche a volte disperate. Però quella volta provò disgusto. “No, disse fra se, proprio non posso mangiare stasera”.

Ma quel cacciatore – di cui quel mio amico mi disse il nome che però per me era insignificante perché non lo conoscevo – era anche un gran burlone, noto per gli scherzi che sapeva tirare ad amici e conoscenti. Così subito pensò a come trasformare il suo disgusto in uno scherzo, per potersi divertire quella sera alle spalle dei suoi amici. “Poi gli racconterò come è andata – pensò – e ci faremo delle grandi risate”. Uscì in fretta, andò dal suo cane, lo accarezzo un po', ci parlò e poi tornò su in camera insieme agli altri suoi amici come se nulla fosse successo. Non disse ovviamente nulla di quanto aveva visto.

Quando dopo quasi un ora la vecchia chiamò per la cena il nostro eroe dichiarò di avere forti crampi allo stomaco e di non riuscire proprio a mangiare nulla. “Scendo, vi faccio compagnia ma questa sera è meglio che non mangio”, dichiarò pregustando la scena, con i suoi amici che avrebbero mangiato con gusto la pasta impastata con il muco del naso della vecchia locandiera.

E così fu. Gli amici mangiarono a sbafo e bevvero altrettanto a sbafo. Il vino era buono. La vecchia lo faceva ancora al modo tradizionale. E l'uva era quella che era coltivata in una vigna che si trovava proprio li nella sua terra. Un vino leggero, come tutti i vini di montagna, di un colore rosato che andava giù come fosse acqua fresca. L'aiutava a farlo un suo nipote che ogni tanto la andava a trovare e a portargli le provviste che poi la vecchia usava per i suoi ospiti. “Mangiate, mangiate – pensava il nostro eroe – domani poi rideremo, almeno io riderò”.

E dopo cena tutti a letto. La mattina dopo si sarebbero svegliati presto per rifare tutta la strada al ritroso e ritornare alla loro auto e poi alle loro case dove sarebbero rientrali la sera seguente.

Ma il nostro eroe non riusciva a dormire. Aveva fame. Si girò e rigirò per po'. Poi quando si rese conto che i suoi amici si erano addormentati piano piano sgattaiolò dalla camera e scese giù in cucina.

Conosceva l'ambiente e non accese le luci. Usò la torcia a pile che aveva in dotazione e cominciò a frugare nei cassetti della cucina. “Troverò qualcosa da mangiare che non sia inquinata dal muco della vecchia – pensò il nostro eroe”. Cercava salami, prosciutti... All'improvviso trovò un pacchetto. All'interno di un foglio di carta oleata trovò un bel pezzo di lardo. Almeno così gli sembrò alla luce incerta della torcia. L'odore anzi gli sembrò squisito. Il lardo era striato con quelle che sembravano venature di carne, come capita a tutti i pezzi di pancetta di maiale.

Trionfante cercò del pane dove sapeva che la vecchia lo teneva riposto. E banchettò. E bevve anche molto buon vino. Poi soddisfatto ripose tutto a posto e cancellò tutte le tracce del suo banchetto e ritornò a letto. Dormì tranquillo un sonno profondo. Il sonno di chi si apprestava di li a poche ore a farsi quattro grasse risate ai danni dei suoi amici.

I sei cacciatori furono svegliati al mattino presto, era da poco passata l'alba, dalle grida della vecchia. Sembrava che l'avessero derubata di tutto. Inveiva usando il suo dialetto e chiamava aiuto.

- Cacciatori aiutatemi – ripeteva continuamente.

Preoccupati per le grida i cacciatori si precipitarono al piano inferiore e trovarono la vecchia in cucina che gridava.

“Cacciatori – diceva – me la dovete ammazzare quella maledetta gatta. Mi ha rubato il mio lardo”.

“Signora – gli disse subito il nostro eroe – ma perché ammazzare una povera gatta per un pezzo di lardo. Ci svegliate e fate tutto questo casino per così poco? Ci avete fatto preoccupare.”

Ma la vecchia insisteva, furibonda come se le avessero rubato la cosa più sacra della sua vita.

“Ma signora – ripeteva il nostro eroe che rideva in cuor suo – ma è solo un pezzo di lardo. Suvvia calmatevi. Ve lo paghiamo noi purché la facciate finita”.

Ci volle un po' di tempo e intervennero anche tutti gli altri cacciatori per farla calmare. E più la vecchia inveiva e si arrabbiava e più il nostro eroe rideva di gusto in cuor suo.

Alla fine la vecchia si calmò e spiegò il motivo della sua ira: “Vedete – disse – il fatto è che io usavo quel lardo per ammorbidire le mie emorroidi”.

Sergio Grande



Marted́ 22 Febbraio,2011 Ore: 11:03
 
 
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