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www.ildialogo.org Natale nella crisi. Crisi di dignità?,di Luca Baratto, pastore valdese, curatore del programma di Raiuno “Culto Evangelico”

Natale nella crisi. Crisi di dignità?

di Luca Baratto, pastore valdese, curatore del programma di Raiuno “Culto Evangelico”

EDITORIALE dell'agenzia NEV del 21/12/2011


Non c'è molta serenità in questo Natale che viene. Se nelle chiese quello d'Avvento è un periodo di attesa, nelle strade delle nostre città non c'è molto ottimismo su ciò che ci aspetta: un prolungamento della crisi che continua a mordere, iniziata come finanziaria, proseguita attaccando gli stati nazionali e l'economia reale ed ora in procinto di trasformarsi in recessione. Il tenore di vita di molti si abbasserà, ma il vero spettro è la perdita di posti di lavoro. Più triste del dover rinunciare a un po' (o a molto) del benessere dato per scontato, è la vista degli operai di Termini Imerese al loro ultimo giorno di lavoro; sono i numeri dei cassintegrati che vivono nella sospensione del lavoro, dei giovani precari e di tutti coloro che risultano impiegati senza per questo essere in grado di guadagnarsi da vivere.

Il protestantesimo ha qualcosa da dire su questa crisi? Non è una domanda peregrina, perché, se non è compito di una teologia o di una chiesa definire un programma economico, è pur vero che la Riforma, e in particolare il suo ramo calvinista, ha sviluppato un'etica del lavoro per cui è giustamente famosa. Chi non conosce (almeno il titolo) dell'opera in cui Max Weber esamina il possibile rapporto tra “L’etica protestante e lo spirito del capitalismo”? Se la domanda è: una sostanziosa iniezione di calvinismo nelle nostre società ci tirerebbe fuori dalla crisi?, la risposta è facile: no! Non c'è bisogno di più calvinismo bensì di una rinnovata etica della dignità umana.

Nel XVI secolo la Riforma, attraverso la sua spiritualità e la sua etica, proprio questo ha voluto fare: affermare la dignità all'essere umano nella sua dimensione secolare, operando così una rivoluzione teologica e culturale. Per i Riformatori l'unico ambito in cui la fede può essere vissuta è l'esistenza quotidiana in tutti i suoi ambiti: nel matrimonio e nella famiglia piuttosto che nel celibato e nella comunità monastica; nell'uguaglianza di tutti i fedeli e non nella loro divisione in chierici e laici; nel vivere il lavoro come l'ambito della propria vocazione cristiana. In questo senso, l'affermazione della dignità umana si situa nel quadro di una società secolare operosa dove ogni persona serve Dio e il prossimo.

Che l'affermazione della dignità umana compaia ogniqualvolta il protestantesimo torni a riflettere sul lavoro è evidente nel Settecento inglese della Prima rivoluzione industriale. In un contesto sociale stravolto dalle nuove fabbriche e davanti a condizioni di lavoro massacranti che rendevano impossibile affermare il lavoro come vocazione, il nascente movimento metodista, guidato da John Wesley, portò una predicazione diversa da quella calvinista, insistendo sul concetto di conversione: cioè sul fatto che è possibile cambiare, uscire dall'abbrutimento delle fabbriche e degli slums – i luridi tuguri urbani in cui vivevano gli operai -, riprendendo in mano le redini della propria vita. Una predicazione credibile perché non pronunciata nelle chiese ma nelle piazze e nei luoghi di lavoro.

Non diversamente operò il movimento del Social Gospel negli Stati Uniti di fine Ottocento e inizio Novecento, quando, dopo la guerra di secessione, si affermò il modello industriale degli stati del nord vittoriosi su quelli schiavisti del sud. Questo non evitò l'affermarsi di nuove schiavitù a danno degli operai e delle loro famiglie. Il Social Gospel propose una predicazione basata sull'annuncio del Regno di Dio e della sua giustizia, di cui l'equità sociale è parte integrante. Il Social Gospel si oppose anche a un'altra teologia nata all'interno del protestantesimo: il cosiddetto “vangelo della ricchezza” che dava per scontata e, anzi, incoraggiava la diseguaglianza sociale come mezzo per produrre benessere; la questione etica riguardava solamente l'uso che i ricchi facevano del proprio denaro. Anche in questo caso, l'uso del denaro è importante ma secondario; primaria è l'affermazione della dignità umana.

Allora, è giusto rendere i licenziamenti più facili? A che età si dovrebbe andare in pensione? Su questi temi ognuno può avere le proprie idee. Il protestantesimo, però, storicamente ha questo da dire: ogni provvedimento, ogni decisione, ogni prospettiva abbia come fine la dignità dell'essere umano. Perché parlare di lavoro significa prima di tutto parlare di questo, e null'altro. Quale dignità offre la frammentazione e la precarizzazione del lavoro? Quale società si pensa di costruire se non si offre alle nuove generazioni la possibilità di un lavoro stabile su cui progettare la propria vita? Se le macchine hanno sostituito molto del lavoro umano, oggi i lavoratori sembrano essere considerati come macchine loro stessi, relegando in secondo piano bisogni, diritti, aspirazioni. Forse questo è il peccato capitale della nostra civilizzazione occidentale: la reificazione, la trasformazione in oggetti degli esseri viventi. Come scriveva un pensatore molto critico verso la modernità come C. S. Lewis – e per questo criticabile e contestabile sotto molti aspetti – il fine ultimo della nostra civiltà sembra essere “l'abolizione dell'essere umano”.

Dunque, dignità è la parola che va ripetuta e affermata, ma soprattutto, per non ripeterla vanamente, che va articolata in un nuovo pensiero e in una nuova predicazione. Una sfida e una missione che il protestantesimo dei secoli passati ha saputo assumere e affrontare. Ci riuscirà anche oggi? E' una domanda tutt'altro che peregrina o retorica. Riusciremo a cogliere il nesso profondo tra l'evangelo e il nostro mondo, tanto da riuscire a pronunciare parole di verità? Ma anche: riusciremo a farci ascoltare? I Riformatori, i metodisti del Settecento, i predicatori del Social Gospel erano ascoltati, avevano un pubblico che ne riteneva le opinioni rilevanti. Oggi i dibattiti sono aperti solo agli economisti, come se nessun altro avesse parole significative da pronunciare. Trovare una breccia per far udire la nostra voce non sarà facile. (nev- notizie evangeliche 50/2011)



Sabato 24 Dicembre,2011 Ore: 16:48
 
 
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