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www.ildialogo.org Lettera al vescovo di Roma,di Federazione Europea dei Preti Cattolici Sposati

Preti sposati europei
Lettera al vescovo di Roma

di Federazione Europea dei Preti Cattolici Sposati

Il documento che riportiamo di seguito, in una nostra traduzione dall’inglese, è stato approvato al termine della riunione della Federazione Europea dei Preti Cattolici Sposati (che riunisce i gruppi di preti sposati di Regno Unito, Belgio, Spagna, Francia, Austria, Germania, Italia), tenutasi a Bruxelles dal 7 al 9 giugno scorsi.

Caro vescovo Francesco,

in occasione della sua chiamata a servire la comunità come vescovo di Roma, noi, membri della Federazione europea dei preti cattolici sposati, vorremmo offrirle un caloroso saluto. Guardiamo a lei per la speranza, la gioia e il nutrimento spirituale.Desideriamo condividere con lei una meravigliosa immagine biblica. Nel libro della Genesi, il settimo giorno della creazione, Dio finisce il suo lavoro e vede che non era solo cosa buona, ma molto buona. Abbiamo un’immagine di questo Dio, seduto, che si rallegra della meravigliosa diversità dell’universo, lasciandola crescere e divenire ciò che è nelle sue potenzialità. La “diversità” richiama la nostra attenzione su come il nostro pensiero può essere incarnato. La vita non può sgorgare e svilupparsi in tutta la sua diversità che nei diversi suoli, così differenti da un luogo all’altro.. (…) Per questo chiediamo che il governo della nostra comunità ecclesiale muti da un sistema di potere, con controlli e limiti, a uno che sostiene e nutre la vita della fede nella comunità mondiale in tutte le sue diversità.

Dobbiamo quindi cercare di sviluppare ciò che è stato accennato al Vaticano II: il concetto di collegialità. Il governo della nostra comunità è sorprendentemente ipercentralizzato. Dobbiamo prendere coscienza che è impossibile “microgestire” una comunità che ha una portata universale senza soffocare e opprimere la stessa vita che vorremmo sostenere. Tuttavia bisogna aggiungere che il principio di collegialità è piccola cosa se non è costantemente e rigorosamente collegato al principio di sussidiarietà. Siamo tutti obbligati e chiamati dal battesimo al servizio della comunità cui deve essere consentito di rispondere liberamente e volontariamente, senza restrizioni da parte delle alte sfere della gerarchia.

Il governo della Chiesa deve anche essere rappresentativo della comunità che serve. Abbiamo pensato alla crescita e al nutrimento: nelle nostre famiglie e comunità quale grande contributo è dato dalle donne! Il nostro pensiero va a quell’amorevole immagine del Libro dei Proverbi, quella della “Signora Sapienza” attiva nell’universo e che si rallegra di essere con l'umanità. Dobbiamo immediatamente includere le donne nel governo della nostra comunità. Sono l’incarnazione della Signora Sapienza e hanno così tanto da dare per la nostra crescita nel giardino del Regno di Dio.(…) Osiamo fare un’esortazione: «Abbracciamo tutto ciò che è buono». Troppo a lungo abbiamo ascoltato il linguaggio triste e mortificante del peccato e dei peccatori. Certamente non siamo all’altezza della gloria di Dio. Ascoltiamo allora genitori e insegnanti: se non aiutiamo i giovani a costruire l’immagine che hanno di loro stessi non saranno capaci di fare un lavoro positivo e creativo. Pur lasciando alle comunità ecclesiali nel mondo la libertà di diventare ciò che possono diventare queste devono essere aiutate a vedere il bene che è in loro, per far sì che costruiscano un’immagine solida di loro stesse.

(…)Ci perdoni se offriamo un’altra immagine biblica. Nel Libro dei Re, Salomone può chiedere ciò che desidera: ricchezze, benessere, onore. Egli chiede un “cuore che ascolta” per fare il bene del suo popolo. Il nostro governo purtroppo ha tutto ciò che è stato offerto a Salomone in termini di ricchezza, benessere e potere. Avessimo più semplicità! Ciò che non abbiamo è un cuore che ascolta perché il popolo non ha voce. Quando una voce profetica si esprime sulla nostra mancanza di visione poetica, è spesso brutalmente messa a tacere. Sulla base del principio di sussidiarietà dobbiamo lasciare che la voce della comunità sia ascoltata. Dobbiamo sviluppare le procedure e i meccanismi democratici necessari se vogliamo crescere nel servizio del Regno di Dio. Basta con il manto di segretezza e la totale mancanza di trasparenza nella gestione della nostra comunità!Ci troviamo in una lunga tradizione. Che troppo spesso è stata usata per dire: “Abbiamo sempre fatto così e sempre lo faremo”.

Torniamo all’immagine del Dio creatore che lascia che l’universo cresca e diventi ciò che è nelle sue potenzialità. La Tradizione è uno sviluppo fisiologico e perciò, mentre facciamo tesoro di ciò che di buono c’è stato in passato, dobbiamo avere l’immaginazione per fare un passo coraggioso nel futuro, così come il padrone di casa in Matteo 13 che estrae «cose nuove e cose antiche» dal tesoro del Regno di Dio.Fu Newman a dire: «Qui sulla terra vivere è cambiare, e la perfezione è il risultato di molte trasformazioni»?Siamo pronti a incamminarci insieme per condividere un ricco e meraviglioso futuro?

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Che tipo di prete vogliamo?

di Gruppo Advent (Regno Unito)

1. Non vogliamo qualcuno che si senta una vocazione sacerdotale, che si senta chiamato da Dio.Non dobbiamo perdere di vista la base del ministero presbiterale che è la comunità. È la comunità che chiama per il servizio della comunità.

2. Non vogliamo qualcuno che è stato allontanato dalla comunità e isolato per i sei anni della formazione. La maturità appropriata a un leader della comunità non può che svilupparsi in seno alla comunità (…)

3. Non vogliamo qualcuno che sia paracadutato dall’esterno della comunità (…).La nostra teologia, la nostra spiritualità devono essere incarnate. Devono potersi sviluppare nel terreno della cultura particolare, nazionale e locale.

4. Non vogliamo un prete che si considera “in carica”.È la comunità ad avere “in carico” la propria vita (…). Troppi nostri preti sono oberati da un terribile senso di “responsabilità”.

5. Non vogliamo un prete che si veda come un manager della parrocchia.Il suo settore di attività è la preghiera e la crescita spirituale dei membri della comunità, prete incluso, affinché vivano la loro vita come membri del Regno di Dio.

6. Non vogliamo una persona che sia per forza altamente qualificata nei domini del diritto canonico, della storia o della teologia dogmatica.Dobbiamo riflettere su quali dovrebbero essere le esigenze di una teologia più “pastorale” (…).

7. Non vogliamo un prete il cui ruolo sia semplicemente quello di dire messa e amministrare i sacramenti.Di conseguenza, abbiamo bisogno di molti più preti scelti nella comunità, magari part time, affinché abbiano il tempo e la possibilità di condividere tutti i diversi aspetti della vita della comunità.

8. Non vogliamo un prete celibe. Il prete può essere celibe o no, ma questo dato non deve essere considerato parte del suo ministero. Psicologicamente questo lo taglia fuori da tante cose della vita della comunità.

9. Non vogliamo un prete che non sia rappresentativo della comunità. Contiamo la proporzione maschio/femmina tra i banchi delle chiese e finiamola con la discriminazione.

10. Non vogliamo un prete obbediente, una persona che dice sempre sì, rigida e inflessibile, Legge alla mano e agli ordini dei vescovi.Il Vangelo è un vangelo di libertà per il servizio. Abbiamo bisogno di una persona coraggiosa, pronta ad agire secondo la propria coscienza. La capacità di esprimersi e di dialogare, tanto con la comunità che con l’istituzione, è essenziale.

11. Non vogliamo un prete che “sa tutto”.Il prete deve essere allievo per tutta la sua vita, capace di unirsi alla comunità come il capo famiglia in Matteo 13, che trova «cose antiche e cose nuove» nella riserva del Regno di Dio.

12. Non vogliamo una persona che ostenta simboli di superiorità e isolamento.Il suo abito e il suo stile di vita dovrebbero essere quelli della comunità.

13. Non vogliamo un purista liturgico per il quale le categorie sono più importanti del contenuto.La flessibilità, la sperimentazione e l’apprendimento sul campo sono il solo modo di crescere insieme.

14. Non vogliamo un prete la cui visione è limitata a ciò che si è sempre fatto.L’immaginazione è necessaria, lo sguardo rivolto all’esterno, in modo tale che, con il senso della storia, noi possiamo affrontare ciò che accade, ciò che cambia nella realtà della nostra tradizione comunitaria. È necessaria una visione per proiettarsi con coraggio verso il futuro.

15. Non vogliamo qualcuno che si veda come alter Christus.Questa arroganza eleva il prete al di sopra del popolo di Dio, corpo di Cristo. Il prete presiede all’altare come rappresentante della comunità ed è quest’ultima a celebrare.

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Articolo tratto da
ADISTA
La redazione di ADISTA si trova in via Acciaioli n.7 - 00186 Roma Telefono +39 06 686.86.92 +39 06 688.019.24 Fax +39 06 686.58.98 E-mail info@adista.it Sito www.adista.it



Martedì 16 Luglio,2013 Ore: 08:20
 
 
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