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www.ildialogo.org Relazione tra Dio e l’uomo : specchio della relazione tra di noi.,di Perin Nadir Giuseppe

Relazione tra Dio e l’uomo : specchio della relazione tra di noi.

di Perin Nadir Giuseppe

Ogni giorno - con il nostro comportamento - noi “parliamo” di Dio e dell’uomo” a chi ci sta accanto e, spesso, il messaggio che “mandiamo” non è corrispondente a verità, perché ci risulta incomprensibile pensare che la misura del comportamento di Dio nei nostri confronti sarà in base alla relazione che ciascuno di noi ha con gli altri.
Quindi il rispetto, la tolleranza, la stima, la capacità di perdono che ogni essere umano ha con le persone con le quali vive, saranno la misura del rispetto, della tolleranza, della stima e del perdono che riceverà da Dio.
Nel mondo, invece, il criterio del comportamento etico dell’uomo nei confronti dell’altro sono: i propri interessi, il tornaconto o la convenienza del momento.
Non ci passa neanche per l’anticamera del cervello pensare che quello che facciamo per gli altri, sarà la misura della nostra felicità o infelicità e che la mancanza di perdono tra i membri di una stessa comunità conduce i suoi componenti alla morte, perché il perdono del Padre verso ciascuno di noi rimane “legato”, finchè non si scioglie il perdono ai fratelli.
In verità vi dico: tutto quello che legherete sulla terra sarà legato in cielo e tutto quello che scioglierete sulla terra sarà sciolto in cielo”( Mt 18,15-20)
Il perdono di Dio diventa operativo ed efficace soltanto quando si trasforma in perdono nei confronti degli altri: “rimetti a noi i nostri debiti come anche noi li rimettiamo ai nostri debitori”(Mt 6,12).
Quando noi, anziché essere misericordiosi, come lo è Dio con noi, ci appelliamo alla giustizia, anche il giudizio di Dio nei nostri confronti sarà senza misericordia, perché non abbiamo avuto misericordia (Gc 2,13).
Chi non perdona lega il perdono di Dio, mentre chi perdona scioglie l’amore del Padre.
Ma questo perdono deve essere “di cuore” ( il cuore è la sede della coscienza), cioè frutto di una nuova mentalità, dove non prevale la giustizia, ma la misericordia.
E’ questo profondo cambiamento nell’individuo che gli permette di perdonare in maniera abituale e continua.
L’amore fraterno all’interno della comunità non è una condizione per avere la salvezza, ma la conseguenza dopo che si è sperimentato l’amore incondizionato di Dio.
In altre parole “l’amore/perdono” che il discepolo riesce a manifestare all’altro non è in vista di ciò che si spera di ottenere da Dio, ma è la risposta logica e cosciente a tutto quello che ha già ricevuto dal Padre (cfr. 1Gv 4,19-20).
Fin qui la Storia della salvezza, strutturata da Dio, prototipo di ogni storia, nel tempo e nello spazio degli uomini.
Tuttavia, nella Comunità ecclesiale, non sempre i riflessi risultano consoni, garanzia di esemplarità che permane nel tempo del regno.
La compassione, a volte, si dissolve e le misure si annebbiano, mentre emerge la rigida giustizia del debito da onorare, dell’equilibrio da ristabilire, persino nei confronti di compagni che insieme avevano condiviso pani, difficoltà e speranze.
Troppo spesso si dimenticano i gesti amorevoli dei perdoni divini.
Nella Comunità ecclesiale, ci sono molti “servi malvagi” che sanno pregare, ma non amare, né perdonare, né aver pietà,
perché non sono in grado di vagliare e tentare di relazionarsi “ così, come…”.
Nella fraternità del Regno, fatta di uomini erranti ma salvati e perdonati, tutti sono invitati ad emulazioni divine, in esperienze di pietà e di perdoni cordiali, perché così vive il Padre comune, così Egli interagisce con tutti.
Ma c’è, anche, chi si esclude da tali prassi di vita, mentre i fratelli autentici di questo Regno/Comunità sperano e si impegnano a donare perdoni, sempre, per sciogliere cuori induriti e garantire salvezza per tutti.
Ancora: se due di voi sulla terra si metteranno d’accordo… per chiedere qualunque cosa, il Padre mio che è nei cieli gliela concederà. Perché dove due o tre sono riuniti nel mio nome io sono in mezzo a loro”(Mt 18,15-20).
Quanto dice Gesù è importante perché indica come dovrebbe vivere la Comunità dei discepoli del Signore”.
Ognuno all’interno di questa Comunità serve a creare una sinfonia dove ci sono diverse voci e diversi strumenti che suonano dando il meglio di sé. Ma, in questa comunità non ci deve essere uniformità di voci e di suoni, ma una varietà, seguendo un unico spartito che è quello dell’amore, vissuto nelle varie forme e fiorito nelle diverse modalità.
Avrete già capito dove voglio arrivare !
Ancora una volta, di fronte alla carenza di preti – di cui tutti siamo consapevoli - il POPOLO DI DIO si domanda : che cosa è cambiato nella relazione tra coloro che nella Chiesa hanno la responsabilità del ministero ( cioè il Papa ed i Vescovi) e quei preti che lasciandosi guidare dalla Parola di Dio hanno maturato nella loro coscienza, la “vocazione al matrimonio”, e di conseguenza - in base al Diritto Canonico- sono stati costretti, dopo aver chiesto al Papa il Rescritto di dispensa dal celibato - a lasciare l’esercizio pubblico del loro ministero presbiterale, per condividere – non clandestinamente, ma alla luce del sole - il progetto di amore e di vita da realizzare insieme alla donna che amano e dalla quale si sentono amati “?
Purtroppo : NULLA. Siamo di fronte a troppe parole e a pochi fatti !
Papa Francesco era convinto che con il Giubileo straordinario della Misericordia, le “muraglie” che per troppo tempo avevano rinchiuso la Chiesa in una cittadella privilegiata, si sarebbero sgretolate sotto l’azione dello Spirito Santo che avrebbe fatto comprendere ai pastori delle comunità ecclesiali che era giunto il tempo di annunciare il VANGELO in modo nuovo, usando la medicina della misericordia, invece di imbracciare le armi del rigore, per servire l’uomo in ogni sua condizione, infermità e necessità.
Invece, le “MURAGLIE” che dividono e separano alcuni dagli altri non sono ancora cadute a causa dell’incapacità di molti: sia vescovi che preti e laici, a “comunicare”, a “dialogare”, cioè a “costruire ponti” per transitare reciprocamente le proprie voci, i sentimenti, le differenze e le proprie aspettative.
Mentre Dio, nel relazionarsi ai suoi figli con amore misericordioso e tenerezza, abbraccia tutti… noi, invece, nella nostre relazioni tra umani, facendo prevalere il diritto sul VANGELO, escludiamo sempre qualcuno!
L’immagine della Chiesa, ancora oggi, è quella di una “barca” scossa dalle varie correnti.
Una barca in cui alcuni operai, felici del fatto che si è alzato un vento ritenuto favorevole, issano le vele per riprendere allegramente la navigazione.
Nello stesso tempo, altri operai calano l’ancora per paura che quel medesimo vento, ritenuto pericoloso, porti la barca alla deriva o la faccia incagliare tra gli scogli.
Mentre tutto ciò avviene, il Signore sembra dormire placidamente sul suo cuscino ( Mc 4,38), non certo ignaro di questo trambusto, ma forse abbastanza disinteressato.
Il Signore lascia che ci impauriamo, persino che ci arrabbiamo e solo quando avremo dato fondo alle nostre risorse e alle nostre liti e andremo a svegliarlo, chiedendogli di aiutarci a salvarci, riporterà la pace che si può ritrovare solo nel profondo del nostro cuore.
Quanto è difficile convertirsi dall’atteggiamento dei farisei e dei dottori della Legge - che si sentono investiti della responsabilità di “dirigere il traffico della vita”- all’atteggiamento evangelico di Gesù che vive una reale compromissione con la vita, talora caotica, di tutti e di ciascuno.
E’ inutile nascondercelo: all’interno della Comunità ecclesiale ci sono ancora molti “attriti” e “frizioni” tra i pastori del POPOLO DI DIO.
Da una parte ci sono Vescovi e preti che difendono una fedeltà assoluta al Magistero precedente e alle sue verità, a prescindere dai vari e mutati contesti di vita dell’uomo, mentre dall’altra parte ci sono Vescovi e preti che sostengo la visione di una Chiesa che dovrebbe occuparsi delle tante situazioni di sofferenza e di privazione di cui le persone soffrono.
Queste frizioni ed attriti richiamano alla memoria lo scontro tra i “Maestri della Legge”: difensori delle loro tradizioni religiose ed il comportamento di Gesù che invece curava gli ammalati, anche di sabato, dava da mangiare ai poveri, si era fatto amico dei pubblicani, dei peccatori e aiutava tutti ad uscire da una situazione di emarginazione e di sofferenza.
Gesù non è stato un uomo esemplare al suo tempo.
Per incontrare la gente che soffre e si sente abbandonata da tutti e rendersi conto dei loro disagi esistenziali, è necessario “uscire dalle mura del Tempio sacro, non essere legati da alcun comportamento predefinito dal cerimoniale, andare al di là delle formule e di un linguaggio obbligato, essere disposti a dialogare, guardandosi negli occhi e lasciare che il proprio cuore batta all’unisono con quello dell’altro.
La barca di Pietro deve avere il coraggio di prendere il largo ( Lc 5). Si tratta di un cammino lungo, ma appassionante, aperto e richiesto ad ogni credente: libertà, non costrizione; invito e non controllo; misericordia e non mero adeguamento a norme.
Ma per trasformare questo “sogno” in “segno”, dobbiamo scacciare dal nostro cuore la paura, fidandoci di Gesù che ci invita a “NON TEMERE”.
La Chiesa non deve aver paura di errori e di ambiguità, ma deve imparare ad attraversare il mare della storia senza chiudersi in una corazza di riti e di modi che si presumono immodificabili.
Gesù ha curato gli ammalati, alleviato le pene, accolto le persone abbandonate, ha mangiato con i peccatori e le prostitute, senza considerare, in alcun modo, se quelle guarigioni e quei pranzi con persone di mala vita e cattiva fama, fossero permessi o proibiti dalla religione.
Per Gesù l’etica del bisogno veniva prima dell’etica del dovere ed aveva escluso dal suo comportamento l’etica basata sulla convenienza.
La Chiesa non deve essere una dogana, ma la casa paterna dove c’è posto per ciascuno con la sua vita faticosa” ( EG,47).
Perin Nadir Giuseppe



Mercoledì 20 Settembre,2017 Ore: 17:55
 
 
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