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www.ildialogo.org “Preti laici, ex celibi, sposati”: chi sono ?,di Perin Nadir Giuseppe  

“Preti laici, ex celibi, sposati”: chi sono ?

di Perin Nadir Giuseppe  

Spesso “navigo” sul sito del “il dialogo” ed apro il link : “preti sposati ? Si grazie”, nella speranza di trovare qualchenovità”, soprattutto nel miglioramento dei rapporti (conoscenza, ascolto, dialogo…) tra i vescovi diocesani italiani e i preti che gravitano sul territorio delle varie parrocchie che formano le diocesi.
Ma, verso questi preti che in seguito alla dispensa dalla promessa di celibato – non fanno più parte dello “stato clericale”, ma dello “stato laicale” - sembra che la conoscenza, l’ascolto ed il dialogo tra i vescovi e questi preti sia rimasto ancora “un optional”.
Eppure questa categoria di persone, all’interno della Comunità ecclesiale, hanno gli stessi diritti e doveri che hanno i laici-battezzati, ma con una marcia in più che è quella della conoscenza teologica e biblica della Parola di Dio, dal momento che per essere ordinati preti, hanno dovuto impegnarsi e prepararsi con lo studio, la preghiera, la meditazione.
Sono rimasti “prete” perché – nonostante che qualcuno la pensi diversamente - la sacra ordinazione, una volta ricevuta validamente, non può essere mai annullata: can.290 – ma sono dei preti-laici (denominazione diversa da “prete-secolare) (perché lo stato clericale si perde per rescritto della Sede Apostolica: can 290 n.3), quindi con gli stessi diritti e doveri dei laici-battezzati.
Sono preti-laici ex celibi-sposati perché molti di coloro che hanno chiesto la dispensa si sono, poi, sposati, formando una famiglia che a sua volta, all’interno della comunità ecclesiale, sia parrocchiale che diocesana, ha un suo ruolo pastorale importante nel vivere e testimoniare il Vangelo.
Man mano che passa il tempo, almeno una parte del popolo di Dio, resta alquanto sorpresa ed amareggiato nel constatare come molti di questi preti-laici, ex celibi sposati all’interno delle varie comunità parrocchiali e diocesane alle quali appartengono per “residenza anagrafica”, vivano da emarginati, isolati, tagliati fuori da ogni partecipazione e coinvolgimento alla vita parrocchiale, sia da un punto di vista pastorale, liturgico, catechetico.
A marzo del 2017, a Roma, c’è stato un convegno dei preti sposati, organizzato da Vocatio e che aveva come tema :”Preti sposati per una Chiesa in cammino”.
Per questo convegno c’è stato anche l’interessamento del vescovo Mons. Giovanni D’Ercole, Vescovo di Ascoli Piceno che ha offerto il suo aiuto nel trovare il luogo per ospitare il convegno e si è reso disponibile a presiedere l’Eucaristia per i preti sposati e le loro famiglia, a conclusione del convegno stesso, affermando nell’omelia che per lui i “preti sposati non sono un problema, ma una opportunità ed una ricchezza da valorizzare”.
Tuttavia, dopo che, nell’assemblea della Cei, il vescovo di Cagliari, chiese a Papa Francesco “come comportarsi con i preti sposati” e la risposta papale, alquanto lapidaria : “ facciano i buoni laici” , molti hanno avuto la sensazione che Mons Giovanni D’Ercole si fosse “defilato”….suscitando così una certa delusione…
Penso, invece, che Papa Francesco con il suo stile “sobrio, chiaro, evangelico…ed a volte anche un po’ “sornione” abbia voluto dare a ciascuno dei vescovi diocesani italiani la “giusta chiave” per aprire le porte della conoscenza, del dialogo e della collaborazione con questi preti- laici, ex-celibi, sposati.
A mio avviso, è come se il Papa avesse sussurrato all’orecchio di ogni vescovo: incoraggiate, sostenete e date a questi preti laici, ex celibi, sposati la possibilità di “essere”, di “vivere” ed agire nella comunità ecclesiale sia parrocchiale che diocesana, da “buoni laici”.
In realtà è come avesse detto : “guardate la realtà del prete-laico, ex celibe, sposato con occhi nuovi.
Ma chi sono i “ buoni laici” ? E, quando un battezzato può essere ritenuto un “buon –laico” ?
Sono molti gli uomini e le donne che – alcuni per la prima volta- scorgono nel Vangelo la prospettiva di una vita nuova, buona, bella, nella quale è possibile intravvedere la risposta alle ansie più profonde dell’esistenza e alla ricerca del fondamento della speranza.
Dal punto di vista religioso, si può dire che la nostra brava gente è religiosa, ma in tanti la fede è religiosa, non teologale. E’ una fede che nasce da antiche tradizioni con la loro positività, fatta però di sentimenti, emozioni, di consuetudini che portano a rivolgersi a Dio in alcuni momenti della vita o in occasioni di feste religiose popolari, ma tutto finisce lì, senza compromettere la vita di ogni giorno.
Affievolendosi l’annuncio del Vangelo è rimasta la celebrazione dei sacramenti, vissuti come tradizione, ma con poca incidenza nella vita.
A questo va aggiunto il processo di secolarizzazione, di scristianizzazione, di relativismo, di indifferenza o di opposizione al Vangelo.
“Dio stesso rimane oggi uno sconosciuto per molti; ciò rappresenta la più grande povertà ed il maggior ostacolo al riconoscimento della dignità inviolabile della vita umana” ( MM,18)
Lo scenario che abbiamo davanti ci fa dire che oggi più che ad un cambiamento d’epoca, siamo di fronte ad un epoca che cambia.
Il nostro tempo è drammatico ed insieme affascinante. Mentre da un lato gli uomini sembrano rincorrere la prosperità materiale ed immergersi sempre più nel materialismo consumistico, dall’altro manifestano l’angosciosa ricerca di significato, il bisogno di interiorità, della dimensione spirituale della vita come antidoto alla disumanizzazione (cfr RM,38).
La fase di delicato cambiamento culturale che la società sta attraversando, richiede un supplemento di fiducia e di audacia missionaria. Fiducia nella parola di Gesù “ andate in tutto il mondo e proclamate il vangelo ad ogni creatura”(Mc 16,15) e audacia missionaria, sull’esempio dell’apostolo Paolo: “Guai a me se non annuncio il Vangelo”(1Cor 9,16).
Comunicare il Vangelo in un mondo che cambia è infatti la questione cruciale non solo per coloro che fanno parte dello stato clericale, ma per ogni cristiano che vuole essere un “buon laico”.
Ecco la prima caratteristica del “buon-laico” : Comunicare il Vangelo in un mondo che cambia.
Una pastorale tesa unicamente alla conservazione della fede e alla cura della comunità cristiana non basta più. E’ necessaria una pastorale missionaria, che annunci nuovamente il vangelo, ne sostenga la trasmissione di generazione in generazione, vada incontro agli uomini e alle donne del nostro tempo, testimoniando che oggi è possibile, bello, buono e giusto vivere l’esistenza umana conformemente al Vangelo e nel nome del Vangelo, contribuire a rendere nuova l’intera società.
“Serve, però, una chiesa, un popolo di Dio capace di riscoprire le viscere materne della misericordia, perché senza la misericordia non si va da nessuna parte. Viviamo, infatti, in un mondo di feriti che hanno bisogno di comprensione, di perdono e di amore”.
Inoltre, c’è bisogno di un rinnovato annuncio della fede e questo è un compito che ricade su ogni cristiano che forma la Chiesa e che è discepolo e quindi testimone di Cristo. Tocca in modo particolare le parrocchie e tutte le azioni pastorali che in esse si svolgono.
Ecco la seconda caratteristica del buon laico: annunciare la fede in modo nuovo.
Il Papa nell’Evangelii gaudium dice che l’annuncio deve concentrarsi sull’essenziale e l’essenziale è quello che è più bello, più grande, più attraente e, allo stesso tempo più necessario, poiché tutte le verità rivelate procedono dalla stessa fonte divina, ma alcune di esse sono più importanti per esprimere più direttamente il cuore del Vangelo.
Il centro di questo annuncio è Cristo Gesù, figlio di Dio fatto uomo ed unico salvatore del mondo, ieri, oggi e sempre ( cfr. Eb 13,8).
Ecco la terza caratteristica del “buon laico”: prendere coscienza che il centro della fede, che egli è chiamato ad annunciare in modo nuovo è Gesù di Nazareth, figlio di Dio fatto uomo ed unico salvatore del mondo, ieri, oggi e sempre ( cfr. Eb 13,8).
Infatti, il cristianesimo in sé, non è una concezione della realtà, non è un codice di precetti, non è una liturgia; non è neppure uno slancio di solidarietà umana né una proposta di fraternita sociale.
Anzi il cristianesimo non è neanche una religione, ma è un avvenimento, un fatto che si compendia in una persona.
Oggi si sente dire che in fondo tutte le religioni si equivalgono perché ognuna ha qualcosa di buono. Probabilmente è anche vero. Ma, il cristianesimo con questo non c’entra, perché il cristianesimo non è una religione, ma è Cristo, cioè una persona ( cfr. DCE,1).
La comunità parrocchiale in quanto tale e ogni battezzato, sono chiamati a farsi carico di questa “ missione”, che Gesù ha affidato ai suoi discepoli : “andate e predicate il Vangelo al mondo intero” anche se ciò avviene secondo gli specifici doni e ministeri e con modalità e forme differenziate.
Tuttavia questo esige una specifica preparazione spirituale e pastorale che investe tutte le componenti del popolo di Dio e il ruolo dei laici è il passaggio dall’essereoggetto dell’azione missionaria a soggetto dell’evangelizzazione evangelizzatrice…
Ecco la quarta caratteristica del buon laico : essere soggetto dell’evangelizzazione, perché ogni fedele laico, dopo essere stato incorporato a Cristo con il battesimo e costituito popolo di Dio, nella sua misura è reso partecipi dell’ufficio sacerdotale, profetico e regale di Cristo e per la sua parte compie nella chiesa e nel mondo, la missione propria di tutto il popolo cristiano ( LG,31).
Il Signore affida ai fedeli laici, in comunione con tutti gli altri membri del popoli di Dio, una grande parte di responsabilità ( n.32) I fedeli laici proprio perché membri della chiesa, hanno la vocazione e la missione di essere annunciatori del Vangelo: per quest’opera sono abilitati ed impegnati dai sacramenti dell’iniziazione cristiana e dai doni dello Spirito Santo…
Ciascun battezzato qualunque sia la sua funzione nella Chiesa e il grado di istruzione della sua fede, è un soggetto attivo dell’evangelizzazione e sarebbe inadeguato pensare ad uno schema di evangelizzazione portato avanti da attori qualificati in cui il resto del popolo di Dio fosse soltanto recettivo delle loro azioni. La nuova evangelizzazione deve comportare un nuovo protagonismo di ciascuno dei battezzati.
Questa convinzione si trasforma in appello diretto ad ogni cristiano, perché nessuno rinunci al proprio impegno di evangelizzazione, dal momento che se uno ha realmente fatto esperienza dell’amore di Dio che lo salva, non ha bisogno di molto tempo di preparazione per andare ad annunciarlo, non può attendere che gli vengano impartiti molte lezioni o lunghe istruzioni.
Ogni cristiano è missionario nella misura in cui si è incontrato con l’amore di Dio in Cristo Gesù.
Questo annuncio di Gesù deve raggiungere con la massima semplicità ed essenzialità ogni abitante della parrocchia, ogni famiglia e risuonare in ogni ambiente di vita e di lavoro.
Per questo bisogna uscire dal tempio per recarsi (andare) nella strada, nelle case, nei luoghi di vita e di lavoro, di studio ad incontrare le persone là dove vivono la propria esistenza.
In ogni parrocchia ci dovrebbero essere centri di ascolto della Parola di Dio per approfondire la propria fede perché sia pensata e si sappia rendere conto della speranza ( cfr 1Pt 3,15).
Dall’ascolto della Parola si passa alla catechesi, per la vita : dei fanciulli, dei giovani, degli adulti, delle famiglie, della scuola, della cultura, del lavoro, dei problemi sociali, degli ammalati, del mondo sanitario, degli immigrati, del dialogo ecumenico, della testimonianza della carità , per diventare comunità che celebra i sacramenti e l’Eucaristia domenicale.
In tal modo ogni parrocchia diventa così luce, sale, lievito in continuo dialogo con il mondo, perché sia sempre visibile che Gesù non è venuto a condannare, ma a salvare il mondo ( Gv 3,17).
Tutti devono mettersi in cammino percorrendo le 5 vie: uscire, annunciare, abitare, educare, trasfigurare.
Ecco cosa dovrebbe fare un prete-laico ex celibe- sposato nella parrocchia in cui vive.
Inoltre, se teniamo presente che il prete-laico ex celibe, sposato ha anche una sua famiglia… l’impegno e l’esempio che può dare in parrocchia è positivo e da valorizzare, non da ignorare perché oggi abbiamo bisogno di una chiesa samaritana che sappia farsi più vicina alla gente e al contempo più capace di comprendere i bisogni del mondo.
Non c’è più tempo per lamentarsi e per sottolineare le manchevolezze e gli inadempimenti della società contemporanea, poiché è giunto il momento di individuare strade alternative di crescita per la famiglia che oggi, più che mai è chiamata a vivere autenticamente la misericordia, cioè a realizzare qualcosa di concreto per gli altri.
Ignorare la sofferenza del mondo significa ignorare Dio.
Non è possibile mantenersi a distanza dal prossimo sperando che qualcuno prenda l’iniziativa in nostra vece, siamo noi a dover creare vie di prossimità e d’incontro atteso che, come ci ricorda Papa Francesco, non esistono lontani che sono troppo distanti, ma solo prossimi da raggiungere e da liberare dalla solitudine.
Bisogna passare dalla famiglia ideale a quella reale, strutturare una ”società naturale” che sappia farsi concreta ed empatica, che provi compassione per gli ultimi e che si impegni ad aiutare i deboli, che è in grado di vedere con il cuore puro del buon samaritano e non si lascia sedurre da coloro che guardano, ma ignorano, vedono, ma non provvedono, onorano Dio con le labbra, ma hanno il cuore altrove.
La famiglia è un nucleo autorevole e solidale, all’interno del quale ci sono ruoli importanti, ma non gerarchie o nicchie di emarginazione, dove si vive uno accanto all’altro, il vecchio e l’infante, il malato ed il vigoroso, l’umbratile e l’intraprendente, tutti avvolti in una sorta di alvo materno che diventa il grembo della cultura, dell’incontro ed il luogo in cui, per eccellenza, le diversità si armonizzano e trovano una sintesi.
La Famiglia è dunque un’agenzia educativa – anche quella del prete laico, ex-celibe-sposato, che non può sottrarsi al compito precipuo di essere artigiana della misericordia e fabbrica di speranza per la Comunità ecclesiale e per la società.
Ecco chi è il “buon laico”. Ecco cosa devono fare i “preti laici, ex celibi-sposati” per fare i “buoni laici”.
Perciò al vescovo di Cagliari che chiedeva a Papa Francesco “come ci dobbiamo comportare nei confronti dei preti sposati”? La risposta di Papa Francesco : ”facciano i buoni laici”, significa che i vescovi non devono “lavarsene le mani”, ma impegnarsi perché anche ai “preti-laici ex celibi-sposati” vengano date tutte le possibilità di impegno pastorale e liturgico che sono date ai laici che sono preparati a svolgere tali ministeri e quando ad essi sono chiamati, a norma del diritto.
In virtù del battesimo e della confermazione, i fedeli laici sono testimoni del messaggio evangelico con la parola e con l’esempio di una vita cristiana; essi possono venire chiamati a cooperare con il vescovo e con i presbiteri nell’esercizio del ministero della parola. (can.759).
Nel ministero della parola che deve fondarsi sulla sacra Scrittura, sulla Tradizione, sulla liturgia, sul magistero e sulla vita della Chiesa, si proponga integralmente e fedelmente il mistero di Cristo(can 760).
Per annunciare la dottrina cristiana si usino i vari mezzi disponibili, soprattutto la predicazione e l’istruzione catechetica, che sono sempre al primo posto, ma anche l’esposizione della dottrina nelle scuole, nelle accademie, nelle conferenze e nelle riunioni di ogni genere, come anche la sua diffusione mediante pubbliche dichiarazioni della legittima autorità, fatte in occasione di speciali eventi, attraverso la stampa e con altri strumenti di comunicazione sociale (can.761).
Questo significherebbe abolire tutte quelle proibizioni e divieti che sono contenute/i nel Rescritto di dispensa.
Cari Vescovi, se veramente, per voi, i “preti sposati non sono un problema, ma una opportunità ed una ricchezza da valorizzare”, non ditelo solo con le parole, ma dimostratelo con i fatti.
Perin Nadir Giuseppe ( prete felicemente sposato “canonicamente” da 50 anni).



Sabato 08 Luglio,2017 Ore: 14:43
 
 
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