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ISSN 2420-997X

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www.ildialogo.org “I chierici sono obbligati ad osservare la perfetta e perpetua castità per il Regno dei cieli, per cui sono vincolati al celibato…”(can 277 §1),Di Perin Nadir Giuseppe

“I chierici sono obbligati ad osservare la perfetta e perpetua castità per il Regno dei cieli, per cui sono vincolati al celibato…”(can 277 §1)

Di Perin Nadir Giuseppe

Ringraziamo l'amico Perin Nadir Giuseppe per questo articolo sul celibato dei preti cattolici di rito latino. Siamo in prossimità del “convegno dei preti sposati” che avrà luogo ad Ascoli Piceno e inoltre ci avviciniamo alla chiusura dell’anno  giubilare della misericordia ( 20 di novembre). Questo articolo sul vincolo al celibato è costruito su un’analisi del can. 277 § 1 del Diritto Canonico, che dice espressamente che “ tutti i chierici sono obbligati ad osservare la perfetta e perpetua castità per il Regno dei cieli, per cui sono vincolati al celibato”. Può servire a fare un po’ di chiarezza, specialmente dopo la trasmissione di Canale 5 “ pomeriggio 5” andata in onda martedì 25 ottobre 2016.

Prendo lo spunto per questa mia riflessione dalla trasmissione“Pomeriggio cinque” – un programma di attualità condotto da Barbara D’Urso - andata in onda martedì 25 ottobre 2016, su Canale 5.
Ho seguito la trasmissione perché nella seconda parte si è parlato dei “preti sposati”. Un argomento che mi interessa molto perché anch’io sono un prete sposato e tra due anni, se Dio vuole, con Maria, mia moglie, festeggeremo il nostro cinquantesimo di matrimonio.
Per diversi motivi, non mi è piaciuto il modo in cui è stato affrontato l’argomento pur considerando che ogni trasmissione televisiva ha i “suoi tempi” da osservare, per cui, spesso, i temi proposti non possono essere sviluppati in “maniera esauriente”.
L’argomento specifico, riservato per la seconda parte della trasmissione avrebbe dovuto essere “l’obbligatorietà” del celibato. E, questo è stato il motivo per cui le due coppie di preti sposati: Lorenzo Maestri e sua moglie Rosangela; Rosario Mocciaro e sua moglie, hanno accettato l’invito di partecipare alla trasmissione.
In realtà, ciascuna delle due coppie ha avuto la possibilità di raccontare solo l’inizio della loro storia d’amore, dal momento che si è parlato d’altro, anche se riguardava i preti.
Si è data la notizia” di un parroco che aveva lasciato il ministero, dopo aver prosciugato e lasciato “in rosso” il conto corrente della parrocchia, mentre la sua giovane perpetua era “scomparsa” con un bottino di € 300.000,00 (trecentomila).
Si è data la notizia di un altro prete-sposato “Don Peppino” che amava fare lo “spogliarellista”.
Non so quale idea dei “preti-sposati” avranno elaborato le persone che hanno visto la trasmissione . Probabilmente, un’immagine “distorta” dalla realtà e alquanto “impoverita”.
Tanto più che a queste trasmissioni sui “preti sposati”, molte volte, vengono invitati degli opinionisti per esprimere la loro opinione sull’argomento, ma del quale hanno una scarsissima conoscenza.
Penso che trattare argomenti così importanti e seri, come quello del prete che lascia il ministero pastorale per sposarsi o l’ obbligatorietà del celibato, dentro programmi dai tempi molto ristretti che non lasciano il tempo per l’approfondimento, se da un lato può soddisfare la curiosità, spesso morbosa delle persone e fare il pieno di “ascolti”, dall’altro NON servono a far maturare in chi ascolta, una maggiore sensibilità e rispetto nei confronti dei preti che, anche se con sofferenza, ma con maturità, piena e retta coscienza, scelgono di intraprendere, nel rispetto delle leggi e alla luce del sole, la vita matrimoniale, alla quale si sentono chiamati, condividendo con la donna che amano e dalla quale sono amati, ideali e progetti di vita, in conformità al Vangelo che fino a quel momento avevano annunciato dal pulpito, ma che ora vogliono vivere e testimoniare, assieme alla propria sposa, nelle “piccole cose” della vita di famiglia di ogni giorno.
Il canone 277 § 1 dice testualmente “ I chierici sono OBBLIGATI ad osservare la perfetta e perpetua castità per il Regno dei cieli, per cui sono vincolati al celibato che è un dono speciale di Dio, mediante il quale i sacri ministri, con cuore indiviso, possono più facilmente aderire a Cristo e sono in grado di dedicarsi con maggiore libertà al servizio di Dio e del prossimo”.
Mi domando se sia corretto da un punto di vista teologico e giuridico l’aver obbligato, per legge canonica, tutti i chierici ad osservare la perfetta e perpetua castità per il Regno dei cieli – dal momento che la castità perfetta e perpetua è uno dei consigli evangelici che caratterizzano la scelta della vita religiosa ? E, di conseguenza vincolarli al celibato ? Dal momento che non tutti i chierici hanno scelto la vita religiosa, né tutti coloro che hanno scelto la vita religiosa facendo voto di castità, povertà ed ubbidienza, sono chierici ?
Inoltre, mi domando se la motivazione del vincolo al celibato, ritenuto “sommamente confacente con la vita sacerdotale”, perchè nel celibato i sacri ministri, con cuore indiviso, possono più facilmente aderire a Cristo e sono in grado di dedicarsi con maggiore libertà al servizio di Dio e del prossimo” sia una motivazione sufficiente per limitare il diritto naturale allo “ius connubii” che ogni persona umana ha ?
Premetto che “il matrimonio dei preti”, nelle prime comunità cristiane, ai tempi di S. Paolo e degli Apostoli, non rappresentava un problema, né suscitava alcuna meraviglia, perchè i presbiteri (preti), i vescovi e i diaconi erano sposati , cioè mariti di una sola donna.
Si riteneva, infatti, che se uno non sa guidare la propria famiglia, come potrà aver cura della Chiesa di Dio ? ”
S. Paolo nella lettera a Tito scrive : “Per questo ti ho lasciato a Creta: perché tu metta ordine in quello che rimane da fare e stabilisca alcuni presbiteri in ogni città, secondo le istruzioni che ti ho dato. Ognuno di loro sia irreprensibile, marito di una sola donna e abbia figli credenti, non accusabili di vita dissoluta o indisciplinati.
Il vescovo, infatti, come amministratore di Dio, dev’essere irreprensibile: non arrogante, non collerico, non dedito al vino, non violento, non avido di guadagni disonesti, ma ospitale, amante del bene, assennato, giusto, santo, padrone di sé, fedele alla parola, degno di fede che gli è stata insegnata, perché sia in grado di esortare con la sua sana dottrina e di confutare i suoi oppositori” ( Lettera a Tito 1,5-9)
E, nella lettera a Timoteo : “Questa parola è sicura: se uno aspira all’episcopato, desidera un nobile lavoro. Bisogna però che il vescovo sia irreprensibile, marito di una sola donna, sia sobrio, prudente, dignitoso, ospitale, capace di insegnare, non dedito al vino, non violento ma benevolo, non litigioso, non attaccato al denaro. Sappia guidare bene la propria famiglia ed abbia figli sottomessi e rispettosi, perché se uno non sa guidare la propria famiglia, come potrà aver cura della Chiesa di Dio ? Inoltre non sia un convertito da poco tempo perché, accecato dall’orgoglio, non cada nella stessa condanna del diavolo. E’ necessario che egli goda buona stima presso quelli che sono fuori della comunità per non cadere in discredito e nelle insidie del demonio” ( 1 Lettera a Tomoteo, 3,1-7)
Allo stesso modo i diaconi siano persone degne e sincere nel parlare, moderati nell’uso del vino e non avidi di guadagni disonesti, e conservino il mistero della fede in una coscienza pura. Perciò siano prima sottoposti ad una prova e poi se trovati irreprensibili, siano ammessi al loro servizio….
I diaconi siano mariti di una sola donna e capaci di guidare bene i figli e le proprie famiglie. Coloro, infatti che avranno esercitato bene il loro ministero, si acquisteranno un grado degno di onore e un grande coraggio nella fede in Cristo Gesù” ( 1Lettera a Timoteo 3, 8-13)
In nessuna pagina del Vangelo, né negli atti degli Apostoli, né nella lettere di S. Paolo, né nelle lettere cattoliche viene specificato che “è volontà di Dio o di Gesù che coloro che sono “chiamati” al ministero presbiterale, debbano osservare la castità perfetta e perpetua per il Regno dei Cieli, per cui sono vincolati al celibato.
Gesù nel Vangelo parla della rinunzia al matrimonio come di una vocazione positiva e feconda, resa possibile dalla presenza del Regno, alla quale l’uomo può liberamente rispondere, ma alla quale nessuno potrà essere obbligato.
Non tutti capiscono questa parola, ma solo coloro ai quali è stato concesso. Infatti vi sono eunuchi che sono nati così dal grembo della madre; ve ne sono altri che stati resi tali dagli uomini; ve ne sono altri ancora che si sono resi tali per il regno dei cieli” ( Mt 19,12).
Il Vangelo di Gesù NON è una raccolta di leggi da osservare per entrare nel Regno dei Cieli, ma una proposta di vita da accogliere, in piena libertà e secondo i “doni” (carismi) che lo Spirito Santo dà a ciascuno.
A ciascuno, infatti, è data una manifestazione particolare dello Spirito per il bene ( !Cor 12,7) e lo Spirito le distribuisce a ciascuno come vuole ( 1Cor 12,11).
Questo significa che tra matrimonio e presbiterato non c’è alcuna incompatibilità. E, pur essendo due vocazioni distinte, possono “essere vissute” in pienezza di dono da una stessa persona.
Infatti, il Papa Paolo VI scriveva “La vocazione sacerdotale rivolta al culto divino e al servizio religioso e pastorale del popolo di Dio, è divina nella sua ispirazione e distinta dal carisma che induce alla scelta del celibato come stato di vita consacrata, anche se non diventa definitiva ed operante senza il collaudo e l’accettazione di chi, nella Chiesa, ha l’autorità e la responsabilità del ministero per la comunità ecclesiale” ( Cfr. Paolo VI, Encicliche e Discorsi, Ed Paoline, Roma 1968, Vol. XVI, p. 264)
A riprova di quanto sopra affermato c’è la testimonianza che nella Chiesa Cattolica Orientale, oltre a coloro che, assieme a tutti i vescovi scelgono il celibato, con l’aiuto della grazia, ci sono anche degli eccellenti Presbiteri coniugati che dedicano pienamente e con generosità la propria vita per il gregge loro affidato (cfr. Prersbyterorum ordinis n.16).
Quando, allora, il matrimonio dei preti è diventato un problema ?
Quando il celibato che prima veniva solo consigliato ai preti, poi, invece, è stato imposto dal Papa, attraverso i vari Sinodi e Concili ecumenici, a tutti i chierici. Tale imposizione è stata codificata, ma aggirando il problema.
Infatti, la legge canonica (can 277 §1) dice : “I chierici sono obbligati ad osservare la perfetta e perpetua castità per il Regno dei cieli, per cui sono vincolati al celibato.
Questo significa che il vincolo al celibato non è oggetto diretto dell’obbligo, ma solo una conseguenza dell’obbligo ad osservare la perfetta e perpetua castità a cui tutti i chierici sono tenuti , per il regno dei cieli,.
Ma chi sono i chierici ?
Il can. 207 §1 recita “ Per istituzione divina vi sono nella Chiesa tra i fedeli cristiani i ministri sacri che nel diritto sono chiamati anche chierici; gli altri sono detti anche laici”.
I laici sono i semplici fedeli, che hanno ricevuto il sacramento del Battesimo, mentre i chierici sono i fedeli che oltre al carattere indelebile del battesimo, hanno ricevuto anche quello dell’ordine che li ha costituiti “ministri sacri”, con la missione di “pascere pastoralmente il Popolo di Dio”.
Una missione che ha essenzialmente il carattere di “diakonia” o di “servizio”.
I chierici sono quindi “i ministri sacri”, cioè coloro che hanno ricevuto il sacramento dell’Ordine nei suoi tre gradi : diaconato, presbiterato, vescovo.
Infatti il can. 266 § 1 recita “ Si diventa chierici e si è incardinati nella Chiesa particolare o nella prelatura personale, al cui servizio si è stati ammessi, con la recezione del diaconato che è il primo gradino del sacramento dell’Ordine.
Ma oltre ai laici e ai preti, nella Chiesa ci sono anche i religiosi.
Allora, mi domando “ quanti “stati di vita” vi sono nella Chiesa ?
Ci sono delle diversità tra questi “stati di vita” o sono tutti uguali per quanto riguarda i diritti e i doveri ?
Il can. 219 recita “ tutti i fedeli hanno il diritto di essere liberi da qualsiasi costrizione nella scelta del loro stato di vita”.
La scelta del proprio stato di vita di cui tratta il canone è propriamente la scelta fra la vita secolare e quella ecclesiale, oppure religiosa e nel senso più ampio della parola, la scelta fra il matrimonio e il celibato.
Ma la scelta, per essere tale,cioè una scelta, non può essere imposta da alcuno, ma deve essere il frutto di una libera e cosciente decisione, maturata attraverso la riflessione, il consiglio ed anche la preghiera, poiché ad ogni stato di vita, specialmente a quello sacerdotale e religioso, corrisponde una particolare vocazione divina, una effettiva chiamata del Signore che dà a ciascuno le doti e le capacità relative.
La libertà di scelta è sacra e come tale va rispettata e tutelata.
Essa esclude la violenza e la costrizione, ma anche ogni atto o intervento ( dolo, timore, frode…) che potrebbe ostacolarla o condizionarla.
Da quanto sopra detto si evince che gli stati di vita, specificati nel Diritto Canonico, sono 3 : vita secolare ( laici); vita ecclesiale (ministri sacri); vita religiosa (i religiosi)
E, una delle tre componenti essenziali, teologiche e giuridiche di ogni professione religiosa, temporanea o perpetua è l’impegno –assunto con voto pubblico- di osservare i tre consigli evangelici di castità, di povertà e di ubbidienza, secondo i criteri e le modalità stabilite dalle proprie costituzioni (can 598, §1)
Le altre due componenti della “vita religiosa” sono : la consacrazione a Dio, mediante il ministero della Chiesa e l’incorporazione nell’Istituto, con i relativi obblighi e diritti definiti dal diritto universale e proprio.
Con la legittima professione, il novizio diventa religioso in senso proprio, a tutti gli effetti. Il professo di voti perpetui viene incorporato come chierico all’Istituto, mediante l’ordinazione diaconale ( can. 266, §2).
Ma, dal momento che non tutti i chierici sono dei religiosi, né tutti i religiosi sono dei chierici, perché il can. 277 §1 recita “ I chierici ( cioè tutti coloro che sono ordinati “ministri sacri”: diacono, presbitero, vescovo…) SONO OBBLIGATI ad osservare la perfetta e perpetua castità… per cui sono vincolati al celibato… ?
Qui c’è una violazione del diritto che tutti i fedeli hanno, cioè quello di essere liberi da qualsiasi costrizione nella scelta del loro stato di vita”, come recita il can. 219.
Per quale motivo, allora, è stato imposto ai ministri sacri (chierici) che hanno scelto lo stato di vita ecclesiale, un obbligo specifico, cioè quello di osservare la perfetta e perpetua castità, per cui sono vincolati al celibato, che è uno dei componenti della “vita religiosa” a cui i ministri sacri che hanno scelto lo stato di vita ecclesiale, non dovrebbero essere obbligati ?
Inoltre, la motivazione perché sommamente confacente con la vita presbiterale”, dal momento che, in tal modo “i sacri ministri, con cuore indiviso, possono più facilmente aderire a Cristo e sono in grado di dedicarsi con maggiore libertà al servizio di Dio e del prossimo”(can.277 §1) è sufficiente per limitare il diritto naturale allo “ius connubii” che ogni persona umana ha ?
Si sa che le motivazioni per giustificare il vincolo al celibato dei “chierici” (ministri sacri), nei secoli di storia della Chiesa, sono state tante e diverse una dall’altra.
Ma mentre le motivazioni, sono delle “convinzioni” personali degli uomini,
lo ius connubii, cioè il diritto di sposarsi dell’uomo e della donna, scaturisce, invece, dal diritto naturale, cioè dalla volontà di Dio che ha stabilito che tutti gli uomini e tutte le donne abbiano la possibilità di sposarsi (Gen 1,27;2,18)
Lo stesso Diritto Canonico dice che “tutti possono contrarre matrimonio, se il diritto non ne fa loro divieto” (can.1058).
Infatti, nel Diritto canonico viene ulteriormente specificato che il matrimonio, per il diritto positivo, non è valido, senza l’osservanza delle norme legittime sancite dall’autorità civile e, nel caso del matrimonio dei battezzati, dall’autorità religiosa.
Ma perché tale diritto possa essere limitato, in modo permenente o temporaneo dal diritto positivo civile o ecclesiastico (Diritto Canonico) ci vogliono delle motivazioni gravi che siano oggettivamente richieste dallo stesso istituto matrimoniale per la sua rilevanza sociale e pubblica ( cfr. Santa Sede, Carta dei diritti della famiglia, 22 ottobre 1983).
E, se queste restrizioni non sono richieste da gravi ed oggettive esigenze dello stesso istituto matrimoniale, non possono essere poste in essere, né dallo Stato, né dalla Chiesa.
Ora, dal momento che le ragioni di convenienza o la ragione di “sommamente confacente” con la vita dei presbiteri, portate dalla Chiesa per imporre il vincolo del celibato ( cioè di non sposarsi) a chi vuole farsi prete, non scaturiscono, cioè non sono richieste da gravi ed oggettive esigenze dello stesso istituto matrimoniale… coloro che nella Chiesa Cattolica hanno la responsabilità del ministero per la comunità ecclesiale, continuando a mantenere in vigore, per tutti i chierici (ministri sacri) “il vincolo al celibato”, quale conseguenza dell’obbligo ad osservare la perfetta e perpetua castità – che è uno dei consigli evangelici propri dello stato di vita religiosa – si rendono colpevoli di ledere la dignità della persona umana (cfr.Paolo VI, Enciclica “Populorum progressio, n.37)
Nessuno può negare che il celibato, in quanto scelta di non sposarsi, è una proposta di vita contenuta nel Vangelo e fa parte dei consigli evangelici, assieme alla povertà ed obbedienza.
Ma, per essere una “scelta” deve essere fatta in piena libertà, perché il celibato è un dono dello Spirito Santo e quindi non si può meritare.
La scelta di questi consigli evangelici (castità perfetta, povertà, obbedienza) viene chiamata anche una scelta “totalizzante”, nel senso che la persona che abbraccia tali consigli evangelici, si consacra al servizio degli altri, senza distinzioni.
Tale scelta, nel primo millennio era considerata prevalentemnte tipica della vita religiosa e non dei preti. E per secoli le comunità dei religiosi e dei monaci hanno praticato i consigli evangelici senza che questo li abilitasse ad accedere al ministero ordinato.
Con la riforna gregoriana (fatta dal Papa Gregorio VII ( un monaco di nome Ildebrando) – e non senza motivazioni di tipo economico, cioè per fare in modo che le proprietà della Chiesa non passassero ai figli dei vescovi e dei preti - si volle proporre ai preti l’ideale monastico e ai monaci il ministero ordinato.
Da quel momento il celibato imposto divenne per molti preti un dramma.
E, Il più inflessibile sostenitore del celibato dei preti fu proprio Gregorio VII che nonostante l’aperta e continua opposizione degli ecclesiastici, chiamò “prostitute” tutte le donne dei preti.
La storia del celibato imposto diventò così la storia della degradazione femminile e di frequenti aborti ed infanticidi. La storia del clero divenuto una minaccia per le mogli e le giovani donne delle parrocchie. La storia di episcopati divenuti sempre più ereditari. La storia dei peggiori scandali verificatasi nella stessa Roma con i papi al primo posto nella classifica dei libertini. La storia dell’infame “collagium”, cioè la tassa sul sesso che i preti, vescovi e papi dovevano pagare per poter avere una concubina. La storia di conventi e monasteri dove imperversava la promiscuità. La storia di una grande quantità di figli di cui nessuno sa chi siano i padri. La storia del permesso dato ai figli di preti di prendere gli ordini per non rischiare l’estinzione della casta sacerdotale.
La storia di un “celibato”che da “gioiello prezioso” per la Comunità ecclesiale, a causa della sua “imposizione” era diventato, invece, una “macchia infame” ed una vergogna.
Questa posizione negativa della Chiesa Occidentale contro il matrimonio dei preti, portò nel 1054 allo scisma tra la Chiesa Cattolica Occidentale e la Chiesa Ortosossa Orientale,che fondò la sua prassi sui decreti del Sinodo Trullano II ( 691-692),opponendosi al Papa e concedendo ai diaconi e ai presbiteri di continuare a vivere il matrimonio.
Il fatto che molti preti abbiano scelto di sposarsi e continuino a farlo è sempre successo nella storia della Chiesa.
Molti di questi preti hanno chiesto al Papa il rescritto di dispensa dal vincolo del celibato e dopo averlo ottenuto, si sono sposati in Chiesa.
Altri hanno scelto di non chiedere alcun Rescritto di dispensa dal vincolo del celibato e si sono sposati solo civilmente (al Comune).
Ma, sia i preti che si sono sposati in chiesa, come i preti che si sono sposati civilmente, non hanno mai cessato di “essere preti”, in quanto il Sacramento dell’Ordine che hanno ricevuto, ha impresso nel loro animo “il carattere”, cioè un “segno distintivo” che più nessuno potrà mai cancellare.
Lo dice lo stesso diritto canonico: “la sacra ordinazione, una volta ricevuta validamente, non può essere mai annullata (can 290).
Per questo, come il sacramento del Battesimo e il sacramento della Cresima, che imprimono il carattere indelebile, così anche il sacramento dell’Ordine, ricevuto validamente, si può ricevere una sola volta in vita.
Il che significa che un prete validamente ordinato è e rimane prete per sempre.
Tanto è vero che il can 976 recita “ Qualsiasi sacerdote ( quindi anche un prete-sposato, sia in Chiesa che civilmente) ancorché privo della facoltà di ascoltare le confessioni, assolve validamente e lecitamente da qualunque censura o peccato, qualsiasi penitente che versi in pericolo di morte, anche se sia presente un sacerdote approvato”.
Tuttavia, se un prete, validamente ordinato, rimane prete per sempre, può invece “perdere” il suo “stato clericale” del quale è entrato a far parte con il sacramento dell’Ordine ricevuto nei suoi tre gradi : diacono, presbitero, vescovo.
E lo stato clericale si può perdere :
1) per sentenza giudiziaria o per decreto amministrativo, col quale si dichiara l’invalidità della sacra ordinazione;
2) con la pena della dimissione legittimamente imposta (perché il chierico ha commesso un grave delitto) ;
3) per rescritto della Sede Apostolica, che viene concesso dalla Sede Apostolica ai diaconi per gravi motivi, ai presbiteri per motivi gravissimi che fanno istanza per poter abbandonare lo stato clericale” (can. 290 §§ 1, 2,3 ).
Concludo
Sono molti i preti che vivono l’obbligo del celibato con sofferenza, dal momento che non lo hanno mai accettato, ma solo subito per forza maggiore.
E molti pur avendo maturato nella loro coscienza la convinzione di essere veramente innamorati della donna che hanno conosciuto, non hanno il coraggio di cogliere l’invito di Dio “ad uscire… ad andare…(Ge,12,1) sia per paura delle difficoltà economiche da affrontare una volta usciti dal Tempio, sia per la paura di perdere la propria reputazione o il prestigio legato allo stato clericale o per altre motivazioni… scelgono di rimanere, continuando a a vivere da “infelici”, rinnegando la vita e la dignità, incuranti della devastazione morale e psicologica che tale atteggiamento causa in loro stessi e nelle donne che si sono innamorate di loro.
Molti preferiscono vivere i loro rapporti occasionali di amore, nella clandestinità illudendosi in tal modo di avere la coscienza a posto dal momento che, ragionando in punta di diritto, si sono convinti che un prete “viola la legge del celibato, inteso come scelta di non sposarsi, non quando va a letto con una donna, ma quando sposa la donna con la quale va a letto.
Tale celibato imposto, ma mai pienamente accettato, perché ingiustamente imposto, ha contribuito a distruggere nel tempo, in molti preti, la loro identità di uomini e di cristiani, rendendo la loro vita un inferno.
Una terra arida e deserta, senza frutti.
Una terra dove tutto quello che viene seminato di bello e di buono come: sentimenti, emozioni, sensibilità, amore, condivisione… muore.
Una terra dove più nulla riesce a nascere, crescere e svilupparsi nella maturità del pensiero e nella coerenza dell’agire.
Una terra dove la stessa dignità dell’uomo e della donna viene continuamente “deturpata”.
Speriamo che Papa Francesco – illuminato dallo Spirito Santo - ponga fine a questa ingiusta imposizione del vincolo al celibato a tutti i chierici ( ministri sacri) indistintamente a prescindere dallo stato di vita scelto, che ha fatto della storia delle persone e delle coscienze, uno “scempio”, e far sì, invece, che il celibato torni ad essere veramente una libera scelta della persona.
Siamo nell’anno giubilare della misericordia e l’insegnamento che Gesù ci dà attraverso il suo comportamento, come è descritto nei Vangeli, diventa sempre più chiaro ed affascinante : Egli non ha mai agito per motivi di convenienza, ma unicamente per alleviare o risolvere i bisogni delle persone che a Lui si rivolgevano, non esitando per questo di mancare ai doveri imposti dalla Legge e dalla religione ebraica.
Per Gesù l’etica del bisogno veniva prima dell’etica del dovere ed aveva escluso dal suo comportamento l’etica basata sulla convenienza o in altre parole sull’etica basata sul “sommamente confacente con….”.
Quando noi agiamo nei confronti del nostro prossimo seguendo l’etica della convenienza, noi causiano nelle persone la “morte di Dio”.
Di quel Dio che noi impediamo all’uomo e alla donna di trovare nella loro coscienza e nell’amore. Di quel Dio che noi impediamo di trovare nella convivenza umana, nell’abbraccio fraterno, nell’essere insieme. Di quel Dio che noi impediamo di trovare nella dimensione sociale, nella dimensione politica del nostro creare la storia insieme.
Ma soprattutto, noi seguendo l’etica basta sulla convenienza impediamo all’uomo di credere in quel Dio che è amore, perché la sua rivelazione viene offuscata dal comportamento di una chiesa istituzionale che non ha un vero volto umano.



Sabato 29 Ottobre,2016 Ore: 19:21
 
 
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